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V.
SOTTO L'OMBRELLO

MANCAVANO ancora più di tre chilometri per arrivare alla villa quando cominciò a piovere.

La signora Susanna guardò in alto, allungò il braccio e ricevette le prime goccie sul dorso della mano e sulla faccia. Poi disse a suo nipote ch'era un ragazzo tra i quattordici e i quindici anni:—Ferruccio, va in due salti laggiù dalla63 vecchia Marta; ella avrà forse da prestarci un ombrello. Tu, Cecilia, resta qui.... Non faresti che inzaccherarti tutta.

In pari tempo la signora Susanna aperse il suo ombrellino e disse alla figliuola:—Finchè torna Ferruccio, vieni sotto anche tu. Non sarà un gran riparo, ma a qualche cosa servirà pure.—Però Cecilia rispose:—No, mamma, è inutile, in due non ci si sta.64

Ferruccio non tardò a ricomparire, seguito a pochi passi di distanza da una donna trafelata che teneva sotto il braccio un grande ombrellone rosso.

–Non sarebbe meglio che s'accomodassero da me per un quarto d'ora?—disse officiosamente la nuova arrivata.—Già questo tempaccio tanto non può durare.... Creda, signora, sarebbe meglio.... Se poi non vuole, eccole un ombrello.... Un ombrello da povera gente, ma non ho che questo.

–Grazie, Marta,—replicò con affabilità la signora Susanna.—Verrei da voi volontieri; ma è già tardi e il desinare ci aspetta. Accetto il vostro ombrello che vi farò avere più tardi. E grazie di nuovo.

Ferruccio e Cecilia ridevano fra di loro contemplando quell'ombrellone da curato che pareva dover proteggere sotto le sue ali un'intera famiglia.

–Tutti e tre a braccetto, tutti e tre a braccetto,—esclamò la ragazza battendo le mani.

–Nemmen per sogno,65 bimba che sei,—riprese la madre.—A te il mio parasole, Ferruccio terrà l'ombrellone e farà da cavaliere a me.

Queste disposizioni piacquero poco a' due cugini le cui facce si allungarono di alcuni centimetri. Ma la signora Susanna non se ne accorse, perchè in quel momento ella s'era voltata al rumore di una carrozza che si avvicinava.

Era la timonella del dottor Lonzi.

–Signora Mellini,—gridò il dottore fermando il cavallo e sporgendo la testa fuori del mantice alzato a metà,—vuol salire in timonella? Ho un posto disponibile.

–In verità,—rispose la signora Susanna,—se non credessi di farla deviare dal suo cammino, accetterei.

–Si figuri.... Passo anzi davanti alla sua villa. E in ogni caso.... Mi dispiace piuttosto di non potere offrire ospitalità a que' due signorini.

–I due signorini vanno a piedi,—disse Cecilia tutta contenta.

E restituendo alla madre l'ombrellino si ricoverò sotto l'ombrello rosso.

–Quella lì resterà una bimba sino all'estrema vecchiezza,—osservò la signora Susanna mentre, aiutata dal dottore, saliva in timonella. E continuò, rivolgendosi ai due ragazzi:—Mi raccomando di non far pazzie e di andar subito a casa. Ferruccio, tu sei il più giovine, ma sei anche il più savio. Abbi tu giudizio per tua cugina. Te l'affido.

Il dottore Lonzi scosse le redini sul collo al cavallo che si mise al trotto.

–Ha sentito?—disse con aria d'importanza Ferruccio.—È affidata a me. Dunque rispetto e soggezione.

–Oh!—esclamò Cecilia.—Che cavaliere formidabile! Con un buffetto lo getterei in fosso.

–Questa vorrei vederla,—replicò Ferruccio piccato.

–To', mi negheresti d'esser tre buone dita più basso di me?

–È una calunnia. Ci siamo forse misurati quest'autunno?

–Quest'autunno no, ma l'autunno passato.

–Qui sta il busillis.... In un anno io son cresciuto e tu no… almeno in altezza.

Quest'allusione alle curve nascenti di sua cugina parve a Ferruccio un'audacia immensa, ond'egli arrossi e chinò gli occhi a terra.

La ragazza rimase un momento in forse se doveva ridere o arrabbiarsi, e si contentò di borbottare fra i denti:—Sguaiato!

–Un altr'anno poi ce la conteremo,—soggiunse Ferruccio, lieto d'averla passata liscia.66

–A proposito di che ce la conteremo?

–Oh bella! A proposito della mia statura.

–Sicuro… diventerai il gigante Golia.... Ma andiamo, grullo, lo sai tenere o no quel famoso ombrello?

È innegabile che Ferruccio lo teneva piuttosto male, costretto com'era a camminare in punta di piedi per non parer meno alto della cugina. Per peggio tirava vento, e ogni tanto una raffica faceva piegare l'asta ora da una parte, ora dall'altra.

–Io faccio la doccia dal lato destro,—osservò Cecilia.

–E io dal lato sinistro.

–Vuoi lasciar provare a me?—disse la giovinetta.

–Lasciarti l'ombrello?

–Sì, per cinque minuti.

–Ma nemmen per sogno.

–Via, sii compiacente.

–Ti dico di no.

Ma Cecilia, ostinatella per indole, non voleva smettere e tentava di conquistare con la forza ciò ch'ella non poteva ottener colle buone.67 Tira di qua, tira di là, l'ombrello che non aveva le molle ben salde si chiuse a un tratto pigliando come in una trappola le teste dei due contendenti.

Quando poterono riaprirlo, Ferruccio aveva il cappello a sghimbescio e Cecilia era tutta arruffata; grondavano poi tutti e due come se fossero usciti allora da un bagno.

–Colpa tua,—gridò la ragazza.—Sgarbataccio!

–Ah colpa mia! Fosti tu che....

A questo punto però l'ilarità prese il sopravvento e i due cugini si guardarono in viso ridendo a più non posso.68

–Fu una bella capata.

–Eh, lo credo io. Debbo aver un bernoccolo sulla fronte.

–E anch'io qui....

–Povera cuginetta!—esclamò Ferruccio.

–Non rider così forte,—disse Cecilia fingendo un comico sgomento.—Se scuoti troppo l'ombrello, esso ne fa ancora una delle sue69 e torna a chiudersi.

–La gran disgrazia! Non si stava punto male lì sotto.

Anche questa volta Ferruccio credette d'essersi lasciata sfuggire una frase arrischiata anzichenò, e divenne rosso.

Cecilia gli lanciò un'occhiatina in cui c'era un fondo d'inconscia civetteria; poi, atteggiandosi a donna di proposito:—Orsù,—disse,—facciamo da gente soda il resto del cammino.

Ella passò di nuovo il braccio sotto a quello del suo cavaliere e gli si strinse addosso quanto più era possibile.—Così sarò al coperto con tutta la persona,—ella disse.

Ferruccio si sentiva intorno una specie d'inquietudine, un malessere non provato ancora; un malessere però così delizioso che in quel momento egli non l'avrebbe cambiato con nessuna cosa al mondo.

E Cecilia intanto, chinando verso di lui la leggiadra testina, gli parlava come non gli aveva parlato mai sino a quel giorno, come si parla, non già a un fanciullo che si prende per compagno di chiassi, ma a un giovinetto che può essere il confidente, l'amico.

A vedersi finalmente trattato da pari a pari da una ragazza che aveva quasi quindici anni e mezzo e ch'era bellina davvero, Ferruccio non capiva in sè dalla contentezza. Sulle prime era confuso, si impappinava, ma a poco a poco gli si sciolse lo scilinguagnolo e cominciò anch'egli a discorrere con un calore, con un'enfasi insolita.

Quante cose si dissero i due cugini sotto a quell'ombrello! Ricorsero i tempi dell'infanzia allorchè vivevano nella stessa città e passavano insieme molte ore della giornata, bisticciandosi spesso, tirandosi anche di tanto in tanto per i capelli, ma non potendo mai star divisi. Più tardi le famiglie erano andate ad abitar paesi diversi, e Cecilia e Ferruccio si rammentavano d'aver pianto dirottamente il giorno della separazione. Sì, certo, avevano pianto, avevano giurato di scriversi, ma poichè sapevano fare appena le aste, non c'era stato caso di mantener la promessa. Però Ferruccio era venuto sin da quell'autunno a passar le vacanze presso gli zii, e così negli autunni successivi. Era quella anche per Cecilia la più lieta stagione dell'anno. È vero, c'era stato un po' di raffreddamento quando Cecilia pareva voler diventare un campanile e Ferruccio invece non si decideva mai a crescere. Allora ella lo guardava proprio dall'alto al basso.70 Basta; ormai questa umiliazione era finita, e Cecilia riconosceva lealmente che Ferruccio non faceva punto una cattiva figura al suo fianco. Ma! Che peccato di non poter andar a braccetto tutto l'anno! Che peccato di non poter sempre confidarsi i pensieri intimi, i desiderii segreti, le piccole contrarietà della vita!

I due cugini sdrucciolavano nel patetico. Chi sa che cosa riserbava loro l'avvenire? Una serie di disinganni, una morte precoce forse… brr… l'idea sola faceva gelare il sangue.

–Non dirlo nemmeno, Cecilia,—esclamò Ferruccio.

–Ti dispiacerebbe davvero se io morissi?

–Oh che discorsi!—egli replicò fissandola con occhi umidi.

Ella, per risposta, gli premette dolcemente il braccio.

Questo dialogo sentimentale fu interrotto da una voce.

–Ehi, ragazzi, volete spicciarvi?

Era la signora Susanna la quale aspettava la figliuola presso la cancellata della villa ov' essi erano giunti senz'accorgersene.

–E adesso,—continuò la signora Susanna,—mi farete la grazia di spiegarmi perchè tenevate l'ombrello aperto? Son più di venti minuti che ha smesso di piovere.

–Ha smesso di piovere!—gridarono Cecilia e Ferruccio pieni di maraviglia.

–Ma sì.... Eravate nelle nuvole? Di Cecilia non mi stupisco; ella non sa mai dov' abbia la testa; ma tu, Ferruccio, vergogna! E in che stato siete! Col fango fin sopra i capelli! Su, presto, andate a mutarvi vestito, e poi subito a tavola. Tu, Ferruccio, consegna l'ombrello a Menico che lo riporti alla vecchia Marta. Già per quello che vi ha servito, si poteva fare a meno di prenderlo.71

–No, mamma, credilo, sotto quell'ombrello si stava benissimo,—disse Cecilia avviandosi a casa.

–Birichina!—le susurrò all'orecchio Ferruccio mettendosele al fianco.

ENRICO CASTELNUOVO.

VI.
IL GIURATO

L'ISTITUZIONE dei giurati è un mistero come un altro. Più si studia e72 meno si arriva a capirlo.

Difatti, a che serve fare un corso intero di giurisprudenza, subire esami, addottorarsi, avvocatarsi e, cominciando dal primo gradino del pretore, salire su su fino a giudice o presidente della Corte, quando un bottegaio, un farmacista, un negoziante d' olio, un venditore di fiammiferi all'ingrosso, vengono in Tribunale a pigliare il posto del vero giudice, e il loro verdetto, quale e' si sia,73 decide sommariamente della sorte dell'imputato?

Mistero!…

Perchè si crede e si deve credere che dodici o quindici persone, sprovviste per il solito d' ogni studio legale e d' ogni pratica forense, debbano essere più competenti, in un dibattimento grave e spesso complicatissimo, a emettere un giudizio retto e spassionato, di quello che potrebbero esserlo gli stessi magistrati, largamente forniti di studi, di criteri e d' esperienza?

Mistero!…

E perchè, per la medesima ragione, dovendo giudicare della gravità di un caso chirurgico, invece di chiamare un professore dello Spedale o un altro valente operatore, non si chiama il lattaio, il calzolaio o il tappezziere di casa?

Mistero!…

Perchè ostinarsi a cantare tutti i giorni la coscienza, la rettitudine e l'incorruttibilità della nostra magistratura, mentre poi, all'atto pratico,74 questa medesima magistratura così coscienziosa, così retta, così incorruttibile la facciamo controllare (il verbo è francese, ma il significato è italiano) da un' altra magistratura, apocrifa, posticcia, improvvisata?

Mistero!…

Perchè deve esser lecito strappare dalle sue consuetudini giornaliere un povero diavolo, il quale per venti o trent' anni non ha fatto altro che fabbricare o sapone, o camiciole di lana, o versi endecasillabi, per costringerlo a mascherarsi lì per lì da giudice di Tribunale, col pericolo che egli assolva innocentemente qualche arnese galerabile,75 e mandi all'ergastolo qualche malcapitato galantuomo?

Mistero, mistero, e sempre mistero! vale a dire76 tutte cose che si vedono fare, senza poterne capire la ragione ragionevole per cui si fanno.

–Che cos' è il giurato?

–Il giurato è un libero cittadino, condannato dalle libere istituzioni a far da urna, rigirandosi in bocca due pallottole, sopr'una delle quali è scritta la condanna, e sull'altra l'assoluzione dell' imputato. La prima pallottola che il giurato sputa, è quella che il vero giudice è tenuto a fare eseguire.

–Qual'è, per un giurato, la più grande afflizione di spirito?

–Quella di non saper mai a che ora potrà pranzare.

–Che fa il giurato, durante il dibattimento?

–Quando va a prendere il suo posto è rassegnato: dopo un' ora, è uggioso: dopo un' ora e mezzo, è impaziente: dopo un' ora e tre quarti, diventa atrabiliare: dopo due ore, finisce col credersi più infelice dello stesso imputato, perchè egli si sente già condannato, mentre l'altro ha sempre qualche speranza.

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