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–Come si chiama la deliberazione del giurì?

–Verdetto.

–Questa parola significa forse l'obbligo nei giurati di colpire nel vero?

–Nossignore. Questa parola significa semplicemente "è vero che i giurati hanno detto quel che hanno detto!"…

–Che cos'è dunque il verdetto?

–È la cosa meno seria, fra le cose serie di questo mondo.—

C. COLLODI.

VII.
A UN FIORE SECCO

ECCOTI qui, tra le mie mani, sotto i miei occhi.

Nulla è più in te di ciò che era meraviglioso in te. Non hai nè colore, nè rilievo, nè profumo. Il vento non ti culla più, gli insetti non ti cercano, le farfalle ti hanno dimenticato. Appena appena al vederti si può credere che tu sia stato un fiore, e che tu sia stato bello nessuno lo crederebbe se io non lo affermassi.

Ebbene: in cotesto tuo aspetto freddo e rassegnato tu vali per me più di tutti i fiori che abbelliscono e abbelliranno i giardini della terra. Non perchè dal delicato ramo che ti diede la vita sia venuta a staccarti trepidante la mano d'una donna, chè tale felice sorte non ti toccò. Non perchè tu sappia la voluttà del riposo sopra il seno di lei che amo, o conosca il divino contatto delle sue labbra. No: in una notte buia, quando tutto attorno a te era silenzioso e vuoto e tu dormivi sognando forse il lieto sole del domani, io venni a coglierti.

Perchè ti colsi, quella notte, allorchè tutto taceva ed era vuoto attorno a te? Perchè approfittai di quell'istante in cui tu eri rimasto solo, e perchè ora sei mio e ti tengo celato e caro come il più prezioso di tutti i tesori?

Perchè tu, un giorno, vivo, scarlatto, profumato, spiccando in mezzo al verde tenero delle foglie, fosti il testimone.

Perchè tu fosti presente quando i miei occhi per la prima volta si incontrarono nei suoi, e ammirasti il sorriso che illuminò la sua faccia allorchè essa rispose leggiadramente al mio saluto.

Perchè tu assistesti al nostro primo incontro e contasti, uno ad uno, i minuti di quell'ora che non ritornerà giammai.

Perchè mi vedesti felice al suo fianco, udisti il suono della sua voce e la mirasti ascoltare benevolmente le mie parole.

Perchè contemplasti la mia sommissione e vedesti i miei occhi inalzarsi a lei supplici.

Perchè udisti il suo riso e ammirasti la gentilezza della sua persona.

Perchè tu puoi far fede77 che ella un istante mi amò, affinchè io mai non ne dubiti; perchè tu sentisti il dolore che velava la mia voce allorchè le indirizzai l'ultima parola, e vedesti il subitaneo smarrimento che passò in quell'istante dentro i suoi occhi.

Per questo io corsi a te, solo, di notte, e ti tolsi al tuo ramo senza pietà, e mi impadronii di te come cosa che a buon diritto dovesse appartenermi. Per questo ti tengo ora qui, mio prigioniero, e voglio che tu mi risponda, e ti invito a raccontare lungamente. Descrivi in tutti i suoi più minuti particolari la storia di quell'ora e falla78 divenire la storia di cento secoli. Dimmi79 la sua bellezza, rivelami tutte le grazie della sua persona, ricordami il colore dei suoi occhi come se io già lo avessi dimenticato. Parlami della soavità del suo sguardo e pensa insieme a me alla voluttà di un suo bacio. Parlami di lei, di lei sempre, e quando credi di aver terminato, ricomincia ancora!

ENRICO GUIDOTTI.

VIII.
LA DOTE D'ORSOLINA

SE in un giardino si trovano dei pomi maturi, una bella ragazza di diciott'anni, e un bel giovinetto di venti, e non si rinnova la storia di Adamo ed Eva, è proprio un miracolo. Non occorre nemmeno il serpente.

Nei dintorni di Milano c'è uno stabilimento industriale circondato da un parco, ove il signor Carlo Y–, figlio del proprietario, s'incontrava sovente con l'Orsolina, figlia del capo-fabbrica.

Egli è un bel giovane che ha appena finiti i suoi studi, e la ragazza è un tipo milanese perfetto; svelta, brunetta, graziosa. Si vedevano ogni giorno, si piacquero, e dichiararono di amarsi sul serio, coll'intervento del Sindaco e la registrazione nello "stato civile."80 Per disgrazia, invece del serpente che incoraggiasse i loro progetti clandestini, li vide il cassiere della casa, che si credette in obbligo di avvertirne il padrone, il quale appunto in quel giorno aveva ricevuto una lusinghiera proposta di matrimonio pel figlio. Si trattava d'una ricchissima signora di Como,81 che portava in dote case, campagne e capitali, con un quarto di nobiltà per giunta, e le solite speranze.

Il babbo del signor Carlo, uomo di lunga esperienza, capì subito che non bisognava attaccare il giovinotto di fronte; nell'amore, l'opposizione è un incentivo, e gli ostacoli sono sproni.

–Sarà un amoretto giovanile,—egli pensava,—bisogna farlo cessare con prudenza, e si fece chiamare il capo-fabbrica.

Il sor Fabrizio era un ambrosiano all'antica,82 la probità in persona, calmo e operoso ad un tempo, e fino come una volpe, sotto un'apparente bonomia.

–Dite un po', Fabrizio, vi siete accorto che mio figlio va ronzando intorno alla vostra figliuola?83

–Non me ne sono proprio mica accorto.

–Ebbene, ve lo dico io per vostra norma a scanso di pericoli. 10

–Pericoli non ve ne possono essere, la mia Orsolina è una perla!

–Lo so benissimo, ma la gioventù… m'intendete....

–Anzi non intendo niente!… io vado superbo… e mi chiamo altamente onorato della predilezione del signor Carlo.

–Va bene fino ad un certo punto,… ma sapete… i giovinotti… non bisogna troppo fidarsi....

–Mi meraviglio!… sono discorsi questi che mi sorprendono… e, se non fosse lei che parla, farei subito tacere chi osasse di calunniare i miei signori padroni. Sono quarantadue anni e quattro mesi che li servo, e non ho avuto che a lodarmi di tutti loro. Primo il signor Giacomo di venerata memoria,… poi il signor Gaspare di pari probità,… adesso lei che seguita le onorate tradizioni della casa, poi verrà il signor Carlo a continuare l'inalterabile sistema.... A Milano li conoscono, neh? e anche fuori! Sono case vecchie… e bisogna andar superbi di servirle!

–Vi ringrazio, vi ringrazio, ma non bisogna confondere le cose; gli amoretti non hanno a che fare cogli affari. Insomma, capite bene che i giovani si scaldano presto la testa, e allora....

–Allora tocca a lei, se non è contento, di allontanare il signor Carlo. Da parte mia, se i giovani si amassero, do il mio pieno consenso, ed anzi mi reputo ben fortunato di diventare il suocero del mio futuro padrone!

–Oh, là… là… come andate avanti! non si tratta già di matrimonio!

–Ma allora,… di che si tratta?

–Infatti vi parlerò chiaro. Mi vien fatta una proposta di matrimonio, che potrebbe convenire a mio figlio, e che a me conviene perfettamente. Si tratta d'una ricchissima signora!… capite bene....

–Capisco benissimo… se colla ricchezza ci entra anche l'amore, niente di meglio! ma se l'amore mancasse… ci sarebbe il superfluo senza il necessario.

–Ma neanche il solo amore basta per maritarsi… ci vuole la dote!

–Sicuro!… è giustissima, ci vuole la dote, anzi, ci vogliono delle doti… e il denaro è la cosa meno necessaria alla felicità,… specialmente per chi ne ha più del bisogno.

–Converrete, caro Fabrizio, che un padre ha pieno diritto di scegliere per suo figlio un partito conveniente.

–Verissimo!… Qualora al figlio convenga il principale, che è la donna, il padre ha diritto di occuparsi dell'accessorio… che è la dote.

–Ebbene, vi dirò in confidenza chi sarebbe la donna, e poi mi direte francamente la vostra opinione. Si tratta della figlia unica del signor B–, della casa B. S. e Comp., di Como.

–Una bellissima ragazza… e ricchissima.

–Il padre vedovo cede alla figlia tutta la dote materna, la magnifica villa sul lago, la galleria dei quadri, e vi aggiunge un cospicuo capitale. Poi, alla sua morte il resto. Di più, la madre della ragazza era contessa, ciò che la mette in parentela colle famiglie più nobili. Trovatemi, caro Fabrizio, fra le vostre aderenze un simile partito!

–Ecco, le dirò quello che penso. Fra le mie aderenze conosco le terre dell'Orsolina;… essa le ha divise in quattro tenute; un vasetto di geranio, uno di reseda, un garofano e un rosaio. Non ha spese di coltura, perchè governa tutto da sè; non teme la grandine, perchè ad ogni minaccia li mette al coperto. Denaro non ha che quello che guadagna colle sue mani, ma siccome spende sempre meno di quanto guadagna, così ha sovente qualche risparmio da mettere alla banca del popolo. Conosco la signora B–, l'ho veduta quest'inverno a Milano; è bella, ma meno dell'Orsolina; si veste di velluto, ma lo trascina nel fango delle strade; ha carrozze e cavalli di lusso, cocchieri in parrucca, palchi in teatro, ma non so se le rendite della sua dote basteranno a pagare tutte le spese! È vero che i miei signori padroni non hanno bisogno di denaro,… e possono fare anche un matrimonio passivo, per il gusto d'avere una villa sul lago, una galleria di quadri… e un quarto di nobiltà. Alla mia Orsolina bastano i giardini pubblici e la galleria di Brera,84 nostre proprietà comuni, come cittadini milanesi,… e per la nobiltà l'Orsolina ha la sua parte, e tanto bella che non vorrebbe cederla per nessuna altra. Essa ha ereditato la medaglia del merito militare, che mio figlio ha guadagnata combattendo valorosamente nelle guerre per l'indipendenza della patria, e che morendo sul campo di battaglia ha mandata a sua sorella col mezzo d'un camerata ferito al suo fianco.

Così dicendo, Fabrizio si asciugava gli occhi gonfi di lagrime, e non potè proseguire; le parole gli rimasero strozzate nella gola alla memoria di tanto sacrificio!

Il padrone, parimenti commosso, lo guardava tacendo, quando s'aperse l'uscio, ed entrò nello studio il giovane Carlo.

–Padre mio,—egli disse,—so tutto; il cassiere mi ha informato delle vostre intenzioni; io vengo ad aprirvi il mio cuore. Amo teneramente l'Orsolina, e le ho promesso di sposarla; essa è degna di portare il nostro nome, e sarà la provvidenza della nostra casa, come lo era la povera mia madre, che dal cielo approva la mia scelta. Voi non vorrete che io manchi alla parola d'onore, sagrificando anche il mio affetto. Ho tutta la venerazione per il signor B– di Como e sua figlia, ma rinunzio volentieri a tutte le loro ricchezze e sento che sarò più felice coll'Orsolina senza dote....

–Come senza dote?—saltò su a dire Fabrizio un po' risentito.

–Se parli con lui,—soggiunse il padre di Carlo, con mal dissimulata ironia,—sua figlia è più ricca della signora B–.

–Sicuro,—rispose Fabrizio,—mia figlia appartiene alla classe che produce, e le signora B– alla classe che consuma. È facile tirarne le conseguenze. Se poi le doti morali sono da preferirsi alle materiali, chi più dell'Orsolina ha un cuor d'oro, una mente retta, un giudizio sano, un'anima onesta? È certo però che, per quanto possa essere profonda la sua affezione, essa non concederà mai la mano di sposa ad un giovane, che non abbia ottenuto il pieno consenso paterno, specialmente se questo giovane è ricco! C'è dunque realmente un pericolo, quello di passare per intriganti, o di veder mia figlia deperire per un amore infelice; noi non abbiamo altre ricchezze che l'onore e la salute, ma queste ci bastano per vivere e non abbiamo bisogno d'altro. Io condurrò mia figlia lontano da tale pericolo,… e da questo momento domando il mio congedo.

Fabrizio era sincero ed era alieno dal conoscere il proprio valore. Bensì lo conosceva il padrone che fidava interamente il buon andamento della fabbrica sull'onestà e sull'attitudine del suo capo. La partenza di lui equivaleva ad un fallimento; un buon capo-fabbrica val più d'una ricca dote; il padre di Carlo si affrettò quindi a chiedere a Fabrizio la mano di Orsolina per suo figlio; e quando alle doti morali della futura nuora aggiunse anche il valore del padre di lei, s'accorse benissimo che se mantenendo la promessa del figlio aveva fatta una buona azione, aveva conchiuso, in pari tempo, anche un ottimo affare.

ANTONIO CACCIANIGA.
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