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IX.
RIVELAZIONI D'UN'OSTRICA

IL dotto naturalista signor X– si presentò all'Accademia scientifica di N– chiedendo d'essere ammesso a leggere in pubblica adunanza alcuni suoi studi. La domanda venne accolta favorevolmente da tutti i membri della presidenza, che lo invitarono a prender posto fra loro.

–Ella ci fa un vero onore,—gli disse il presidente.—La stampa ci porta via il lavoro dei nostri soci che preferiscono presentarsi direttamente al pubblico. I pochi che danno la preferenza alla qualità sulla quantità degli uditori mostrano il loro acume. So che Ella studia molto....

–Sì signore,—rispose il naturalista,—studio moltissimo… e non so nulla.

–Troppa modestia.... Ora siccome dobbiamo inserire gli argomenti delle letture nell'ordine del giorno delle adunanze, la prego di voler favorirmi il titolo dei suoi studi.

–Intendo di presentare all'Accademia… le rivelazioni d'un'ostrica.

La presidenza non seppe rattenere uno scroscio di risa.

–Il naturalista se ne trovò offeso.

–Che cosa c'è da ridere!—egli chiese con indignazione.—Voi ascoltate seriamente le nenie dei vostri poetuncoli, i verbosi vaniloqui dei vostri filosofi, i fantastici sproloqui dei vostri teologhi, e non potete prendere sul serio le modeste rivelazioni d'un mollusco? Vi sorprendete forse perchè vi prometto le rivelazioni d'un acefalo? O credete che colui che non ha testa non possa pensare col cuore… o collo stomaco! Non avete mai veduto degli uomini che ragionano coi pugni? Mi fareste venir la voglia di darvi un saggio di argomentazioni persuasive col solo uso delle gambe.

E così parlando si animava gradatamente, e vedendo che i dotti si facevano dei segni coi gomiti, e lo guardavano con paurosa diffidenza, la sua indignazione giunse al colmo. Si levò in piedi e disse:

–Signori… voi ignorate che il sublime sta nel semplice. Voi siete un composto d'imbecilli… e d'idioti… io vi disprezzo, e vi scaccio da questo tempio della scienza, che profanate colla vostra dabbenaggine!

E così dicendo alzò in aria una sedia, coll'evidente intenzione di rompere la testa ai membri della presidenza, che non volevano credere al linguaggio degli acefali.

Tutti gl'illustri accademici se la svignarono85 per la porta più vicina.

Allora lo sdegno furibondo del signor X– si sfogò sugli scaffali dei libri, rompendo le lastre, mandando in aria i volumi, le carte, i calamai, le lampade, e quanto gli cadde sotto mano. Poi discese le scale gesticolando; e si mise a passeggiare per la via con passi concitati, parlando da solo, e dimenando le braccia.

Alcuni agenti di questura86 avvertiti dal presidente lo seguirono per qualche tempo e quando giudicarono di poterlo afferrare senza pericolo, gli saltarono addosso, lo legarono strettamente, e lo condussero al manicomio.

Sorpreso dall'inaspettata violenza, rimase sbalordito, non oppose la minima resistenza, e si lasciò condurre macchinalmente; ma quando giunse davanti il portone del famoso ospizio, alzò gli occhi in atto di profondo disprezzo, ed esclamò:

–Adesso capisco! è il caso attribuito a Salomone di Caus!87

*   *   *

Pochi giorni dopo questo avvenimento l'Accademia tenne un'adunanza a porte chiuse, nella quale il dottore Z– fece delle comunicazioni intorno ad alcune sue recenti ricerche sulla pazzia.

Risulterebbe da studi profondi, che gli uomini sono tutti più o meno matti… senza far eccezione delle donne. I pazzi rinchiusi nei manicomii sono varietà di poca importanza, che si trovano all'ospizio per circostanze fortuite. Non sono quasi mai i più pericolosi, tanto è vero che gli assassini, che non sono altro che pazzi, si consegnano alle prigioni, e molte volte con stupida barbarie si guariscono dalla malattia di cervello, coll'amputazione della testa!

Il genio è un'esuberanza vitale, come molte altre manifestazioni intellettuali che passano per pazzie. Leggete senza pregiudizi le vite di tutti gli eroi, e vi troverete molti sintomi di pazzia. Ogni guerra offensiva è l'azione furiosa d'un pazzo seguito da migliaia d'altri pazzi. Ogni colpo di Stato che non mena al potere, conduce direttamente al patibolo. La storia non è altro che la narrazione delle più strane pazzie dell'umanità.

Il dottore Z– discendendo colle sue prove fino agli avvenimenti del giorno, parlò d'uomini illustri che vivono circondati dall'ammirazione dei contemporanei, e provò, come due e due fan quattro, che sono matti.

Ascoltando le dotte elucubrazioni dello scienziato, qualche socio credeva di scorgere nel fondo della propria coscienza un germe fosforescente di pazzia, come si vede una fiammella attraverso un vetro appannato.

Taluno ebbe paura che la scienza colle sue progressive scoperte giungesse a leggere i pensieri attraverso le pareti del cranio, e pensava già d'inventare una berretta impermeabile agli sguardi scientifici e di ottenerne il brevetto.

Tal altro pensava invece che il dottor Z– studiasse l'uomo guardandosi nello specchio, e giudicando la società come la riproduzione perpetua di sè stesso.

Però finita la comunicazione scientifica, tutti i soci indistintamente circondarono il lettore, gli strinsero la mano, e gli prodigarono le più lusinghiere congratulazioni.

Tuttavia il presidente dopo replicati elogi, pregò il dottore di voler conservare inediti tali studi, a solo beneficio della scienza, non giudicando la società abbastanza matura per conoscere positivamente i propri destini. Ed anzi allo scopo di prevenire almeno in parte i pericoli minacciati dal progresso delle scienze naturali si propose di fare una lettura in una prossima adunanza, sull'argomento seguente: "Dell'assoluta necessità d'ingannare il genere umano sulle sue origini, e sulle condizioni dell'esistenza, incominciando dall'insegnamento delle scuole elementari, e seguitando a cullarlo d'illusioni, secondo i suoi gusti speciali, per mezzo della libertà di tutti i culti."

I soci approvarono in grande maggioranza.

*   *   *

Intanto al manicomio, dopo un accurato esame del signor X–, era insorta una discrepanza di pareri fra i medici: il dottor L– lo dichiarava affetto da alienazione mentale idiopatica, con delirio ricorrente; il dottore Z– non vedeva che sintomi di neurosi ipocondriaca. Il paziente passava rapidamente da un profondo abbattimento ad eccessi d'esaltazione furibonda. Egli urlava che i veri pazzi non sono all'ospedale, che lo lasciassero andare in pace, se non volevano che diventasse pazzo davvero.

La famiglia del signor X– venne invitata ad informare sulla condotta di lui, sulle sue abitudini, occupazioni e tendenze. Venne dichiarato di carattere bizzarro, capriccioso, ineguale; ora taciturno ora impetuoso. Abitualmente chiuso in sè, immerso in profonde meditazioni, si mostrava intollerante d'ogni volgare pregiudizio, e si accendeva di collere subitanee. Misantropo, disprezzava gli uomini, e studiava i costumi delle bestie. Da qualche tempo88 aveva gettato sul fuoco tutti i libri della sua biblioteca, dichiarandoli un ammasso di assurde corbellerie. Diceva di non voler più leggere altro che il libro inesauribile della natura, e passava il giorno coll'occhio intento sul microscopio, e molte notti sul tetto a contemplare le stelle.

Tali informazioni servirono a confermare i due medici nelle loro diverse opinioni e valsero di prova, al primo per dimostrare l'evidenza della pazzia, al secondo l'evidenza contraria.

Le dichiarazioni della famiglia vennero accompagnate da alcuni foglietti manoscritti, fra i quali si ritrovarono le note seguenti:

"Nel segreto del mio gabinetto io ho interrogato un'ostrica sulle sue idee.

"Essa mi rispose:—Prima di uscire dal mare, io credeva, come tutte le mie compagne, che il mondo fosse stato creato per le ostriche; e che Iddio fosse un'ostrica gigantesca, al cui cenno tutto obbedisse. Però vi sono delle ostriche atee che negano Dio, perchè non lo vedono, si burlano delle ostriche dabbene che credono all'ignoto, e suppongono che fuori del mare tutto sia finito, non potendo immaginare un'altra vita.

"Io stessa non mi sono mai immaginata che vi potessero essere degli animali colla testa.

"Io non la trovavo necessaria, non ne sentivo il bisogno, nè per mangiare, nè per vivere, nè per fabbricare la mia casa, nè per propagare la specie.

"Quale non fu la mia sorpresa, quando cavata fuori dal mare dalla mano d'un uomo, venni posta con alcune mie sorelle in un panierino, e portata in giro per la città! Quali meraviglie! quanti splendori! quale incanto alla vista di tante cose varie, strane, incredibili! e di tanti esseri superiori alle ostriche… almeno in apparenza!

"E se nel solo piccolo mondo si trova tanta varietà d'esseri viventi e di meraviglie, che cosa deve trovarsi in tutti quei globi luminosi che girano negli spazii incommensurabili, e che brillano in ogni parte dell'infinito orizzonte!

"Anche l'uomo, come l'ostrica, non conosce che un minimo frammento del creato, un granellino di sabbia dell'universo!

"Ma l'uomo, tanto superiore alle ostriche, non deve avere la vista corta come i poveri molluschi!

"Egli non giudicherà certamente l'immensità dell'infinito ignoto, dal pochissimo che gli è noto; egli colla sua testa orgogliosa non potrà limitare il suo spirito alle idee dei crostacei, e non vorrà essere nè religioso nè ateo alla maniera delle ostriche!

"—Se io leggessi tali rivelazioni d' un'ostrica all'Accademia scientifica?

"Vado subito a chiederne la licenza."

*   *   *

Dopo avergli somministrate alcune doccie, e praticati dei salassi, il signor X– mostrandosi tranquillo, venne restituito alla sua famiglia, raccomandandogli un regime deprimente, e di vivere in calma, abbandonando affatto gli studi di storia naturale, e lasciando vivere e morire in pace gli uomini, le accademie, e le ostriche.

ANTONIO CACCIANIGA.

X.
VENI, VIDI… NON VICI!

—Ci si provò anche lei, eh,89 professore?

–Se mi provai?! E come… e come!

–Ottenne?—

Rise il professor Gianlucardi scotendo la testa: poi soggiunse:—Non me ne volevo mescolare, perchè sono faccende troppo delicate; ma quella povera madre così afflitta mi faceva compassione, e pregato e ripregato mi provai… ma… tanto è inutile, son cervellini, quelli, che non si raddirizzano.

–Crede lei, professore,—gli dissi,—che una seria educazione non possa....

–L'educazione…—interruppe con voce tonante il professor Gianlucardi che aveva il difetto d'interrompere sempre e quello di stemperare un'idea in un lago di parole:—l'educazione…—e continuò così a lungo che io credei volesse affogarmi in uno di quei trattati di educazione a regole stabilite, applicabili in tutti i casi, come le medicine delle quarte pagine dei giornali. Quando il professor Gianlucardi, pensai, sarà deputato, non starà in parlamento per alzarsi e rimettersi a sedere; ma chiederà spesso la parola, e se l'ottiene non la vorrà lasciare tanto per fretta; sarà più facile che i suoi colleghi lascino lui. Toltone, però, quei due difetti, il professor Gianlucardi è un fior di galantuomo e la perla degli insegnanti.

Esaurita la digressione sui vari modi pratici di educare, più o meno efficaci, si venne al fatto, il quale, in verità, è così meschinuccio per sè stesso che non merita le circonlocuzioni verbose del professor Gianlucardi, e si racconta in quattro parole. Ecco la cosa come sta.

Si trattava di convertire alla religione del dovere, e in conseguenza del buon senso, una scapatella di marchesina, sposa da poco tempo, che minacciava di abiurare e l'uno e l'altro. La madre si disperava: madre ottima, o meglio ottima donna, che aspettava sempre dall'alto un consiglio, un aiuto, e spesso anche il miracolo: era come quelli che a forza di guardare in su non guardano mai dove mettono i piedi. Rimase vedova presto la contessa Cecilia con quell'unica figlia, che fino dai primi anni prometteva molto per avvenenza, per astuzia, per vanità; e veniva su un maligno serpentello che dava da fare per quattro, e avrebbe dovuto anche dar pensiero per l'avvenire.

–Coi bambini non si ragiona,—diceva la contessa Cecilia;—quando la mia Albertina avrà qualche anno di più, avrà anche un diverso contegno.—E gli anni passavano e il contegno era diverso, ma in peggio; tantochè alcuni amici consigliarono la contessa Cecilia a mettere la figlia in convento: ma lei dichiarò che in convento non l'avrebbe messa mai, perchè non voleva, non poteva separarsi dalla figliuola.

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