Читать бесплатно книгу «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12» Эдварда Гиббона полностью онлайн — MyBook
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Dieci giorni dopo giunti a Scutari i Crociati, e come soldati, e come Cattolici, al passaggio del Bosforo si prepararono. Pericolosa impresa! Largo e rapido è questo canale; in tempo di bonaccia, la corrente dell'Eussino, potea portare in mezzo alla flotta, quel fuoco formidabile che si conosce sotto nome di fuoco greco; settantamila uomini schierati in battaglia stavano difendendo l'opposta riva. In sì memorabile giornata, che volle il caso contraddistinta da cheto aere e da cielo sereno, i Latini in sei spartimenti distribuirono il loro ordine di battaglia. Al primo, ossia all'antiguardo comandava il Conte di Fiandra, uno fra' Principi cristiani de' più poderosi, e temuto pel numero e per l'abilità de' suoi balestrai; il fratello di lui Enrico, i Conti di S. Paolo e di Blois, Mattia di Montmorency guidavano i quattro altri corpi alla pugna; e sotto il commando del Montmorency marciavano volontarj il Maresciallo e i Nobili della Sciampagna. Al Marchese di Monferrato, condottiero degli Alemanni e de' Lombardi, obbediva il sesto spartimento militare, retroguardo e corpo di riserva di tutto l'esercito. I cavalli di battaglia, sellati, e coperti delle lor gualdrappe che sino a terra scendevano, nelle barche piatte vennero collocati66. Dietro il proprio cavallo teneasi in piedi ciascun cavaliere, nascosto il capo nell'elmo, brandendo la lancia, armato di tutto punto. I sergenti e gli arcieri si posero entro i legni da trasporto, ognun de' quali era rimorchiato da una ben armata ed agile galea; laonde tutti questi sei spartimenti, senza incontrare nemici, nè ostacoli, il Bosforo attraversarono. Ciascun corpo, ciascun soldato non faceva altro voto che di essere il primo a sbarcare, altra deliberazione che di vincere o di morire. I cavalieri, gelosi d'affrontar essi i rischi più grandi, appena il poterono, si lanciarono armati nel mare, e coll'acqua che il loro fianco radea raggiunsero il lido. I sergenti67 e gli arcieri il loro esempio seguirono, gli scudieri, abbassati i ponti delle palandre, posero a terra i cavalli. I Cavalieri in arcione aveano appena incominciato ad ordinare gli squadroni e a mettersi colle lance in resta, quando i settantamila Greci che stavano ad essi a fronte, sparirono. Alessio diede l'esempio di questo scoraggiamento ai soldati non lasciando altro segnale di essersi trovato in quel campo, che una ricca tenda, dal cui spoglio soltanto i Latini compresero che contro un Imperatore avean combattuto. Fu risoluto giovarsi del primo terrore che comprese i nemici per forzare con doppio impeto l'ingresso del porto. Di fatto i Francesi presero d'assalto la torre di Galata68; intanto che i Veneziani si assumeano il più arduo cimento di rompere la sbarra, ossia catena tesa da questa torre alla riva bisantina. I primi sforzi a ciò parvero inutili, ma l'intrepida loro perseveranza la vinse: venti legni da guerra, quanto rimanea della greca marineria, vennero presi o mandati a fondo. Gli speroni delle galee69, o il loro peso, troncarono, infransero gli enormi anelli di quella catena; per lo che la flotta veneta vittoriosa, e senza scomporsi, gettò l'áncora nel porto di Costantinopoli. Tai furono i primi fatti, per cui i Latini con ventimila uomini che tuttavia ad essi avanzavano, si procacciarono i modi di avvicinarsi, per assediarla, ad una città che racchiudeva quattrocentomila uomini70, cui solamente qualche coraggio per difenderla avrebbe bastato. Un tale calcolo per vero dire suppone che la popolazione di Costantinopoli, sommasse in circa a due milioni d'abitanti; ma ammettendo ancora che il numero de' Greci in armi non fosse sì sterminato, gli è certo che i Francesi il credeano, e tale persuasione fa evidente prova di lor magnanima intrepidezza.

Sul modo dell'assalto, i Francesi e i Veneziani diversi furono d'opinione, preferendo ognun d'essi quel genere di battaglia in cui avea maggiore esperienza. I Veneziani, nè a torto, sostenevano essere Costantinopoli più accessibile dal lato del mare e del porto; ma i Francesi poteano, senza vergognarsene, protestare che bastantemente cimentato avevano le loro vite e fortune entro un naviglio e sopra un infido elemento; laonde chiesero ad alta voce prove degne della cavalleria, fermo terreno, e combattimenti a tu per tu, fossero poi a piedi o a cavallo. Prudentemente convennesi nell'adoperare le due nazioni in quel servigio che meglio fosse a ciascuna di esse addicevole. Protetta dalla flotta l'armata, si condusse fino al fondo del porto, avutasi diligente cura di restaurare il ponte di pietra posto sul fiume: e i sei spartimenti de' Francesi accamparono rimpetto alla capitale sulla base del triangolo che tiene quattro miglia dal Ponto alla Propontide71. Situati in riva ad una fossa larga e profonda, e a piè d'un altissimo baloardo, ebbero tutto l'agio di meditare la difficoltà dell'impresa. Dalle porte della città uscivano continuamente, a destra e sinistra del loro picciolo campo, drappelli di cavalleria e di fanteria leggiera che trucidavano i soldati lontani dagli altri, devastavano la campagna per affamar gli assedianti, costringeano questi a prendere l'armi cinque o sei volte al giorno: per lo che i Francesi dovettero provvedere alla loro sicurezza coll'ergere un palizzato, e scavare una fossa. O i Veneziani non avessero somministrate bastanti vettovaglie ai Francesi, o i secondi le avessero dissipate, incominciarono questi, cosa non insolita, a lamentarsi della penuria, e fors'anche a soffrirla. Non rimanea farina che per tre settimane, e i soldati stanchi di mangiar carni salate incominciarono a prevalersi de' loro cavalli. Se un codardo era l'usurpatore, il difendea però Teodoro Lascaris divenutogli genero, giovine valorosissimo che aspirava a rendersi liberatore e padrone del suo paese. I Greci mostratisi fino allora indifferenti per la lor patria, furon ridesti dal pericolo che la religione correa, ma ogni propria speranza fondavano sul coraggio delle guardie varangie, composte, al narrar degli storici, di Danesi e di Inglesi72. Dopo dieci giorni di un lavoro che posa non ebbe, la fossa nemica fu colma, gli assedianti si accinsero alle fazioni regolari dell'assalto, e dugentocinquanta macchine inalzate contro il baloardo, continuamente adopravansi a scacciarne i difensori, a batterne le mura, a smoverne le fondamenta. Alla prima apparenza di breccia, i Francesi piantarono le scale, ma il numero e il vantaggio di sito all'audacia prevalsero. I Latini furon rispinti, benchè imprimesse terrore e ammirazione ne' Greci l'intrepidezza di quindici cavalieri o sergenti, che saliti sulle mura, si mantennero in quel posto pericoloso sintanto che fossero precipitati abbasso, o fatti prigionieri dalle guardie imperiali. Dal lato del porto, i Veneziani, più felicemente l'assedio loro condussero. Questi industriosi marinai posero in opera tutti gl'ingegni conosciuti prima della invenzion della polvere. Le galee e i vascelli si schierarono in doppia linea, il cui fronte estendevasi per tre gittate di dardo all'incirca. Erano lo galee, ne' rapidi loro moti, sostenute dalla forza e dal peso de' vascelli, i cui ponti, le poppe e le torri fornirono altrettanti pianerottoli alle macchine che lanciarono sassi al di sopra della prima linea. Appena i soldati dalle galee si lanciavano sulla riva, piantavano le scale, e le ascendeano, intanto che i grossi legni avanzandosi più lentamente fra gli intervalli, e calando altrettanti ponti levatoi, presentavano ai soldati un cammino per aria, paralello alla cima degli alberi delle navi, che di lì sui baloardi li trasportava. Nel fervor della mischia, il venerabile e maestoso Doge, armato di tutto punto, teneasi in piedi sul ponte della sua galea; la bandiera di S. Marco sventolavagli innanzi; usava giusta l'uopo minacce, preghiere, promesse per animare la solerzia de' suoi remiganti; la galea che il conducea prima arrivò, e il Dandolo precedè tutti i suoi sulla riva. I popoli ammirarono la magnanimità del cieco vegliardo, senza per altro considerare che gli anni appunto e le sue infermità scemavano agli occhi di lui il prezzo della vita, e quello della gloria che non perisce mai aumentavano. D'improvviso una mano invisibile (che forse il Porta-stendardo era stato ucciso) piantò sul baloardo la bandiera della Repubblica. Ratti furono i Veneziani nell'impadronirsi delle venticinque torri, e l'espediente crudele dell'incendio scacciò i Greci da tutte le abitazioni che all'intorno vi stavano. Il Doge avea mandata ai confederati la notizia de' riportati buoni successi, allorchè l'altra del pericolo in cui questi si stavano venne a sospendergli il corso della vittoria. Con nobiltà degna di lui protestò amar meglio perdersi in lor compagnia che ottener trionfo a costo di vederli sagrificati. Abbandonando gli avuti vantaggi, richiamò le truppe, e in soccorso degli amici affrettossi. Trovò gli estenuati avanzi di quell'esercito tolti in mezzo da sessanta squadroni di cavalleria greca, un sol de' quali superava di numero ciascuno de' sei corpi di truppa in cui s'erano distribuiti i Francesi, perchè la vergogna e la disperazione aveano finalmente spinto Alessio a tentare l'ultimo sforzo di una generale sortita: ma il fermo contegno de' Latini la sua speranza e le sue risoluzioni fe' vôte. Dopo avere scaramucciato in lontananza, sparve sul tramontar del giorno co' suoi soldati. Il silenzio, o il tumulto della notte i costui terrori aumentò: dai quali finalmente vinto, ordinò si trasportassero in una barca diecimila libbre d'oro, e abbandonando vilmente il trono, la moglie e i suoi sudditi, attraversò il Bosforo, colla protezione dell'ombre cercandosi ad un picciolo porto della Tracia obbrobrioso rifugio. Saputasi appena questa fuga dai cortigiani di Alessio, corsero per implorar perdono e pace a quel carcere, ove il cieco Imperatore palpitava aspettandosi ad ogni istante i carnefici che affrettassero il termine dei suoi giorni. Dalle sole vicissitudini della fortuna fatto salvo e ritornato all'antica grandezza Isacco, vestì di nuovo l'imperiale porpora, risalendo il trono, in mezzo ad una turba di prostrati schiavi, ne' cui volti non gli era dato il leggere nè la realtà dello spavento, nè l'ostentazion della gioia. Allo schiarire del giorno gli atti ostili furono sospesi, e i Latini stessi maravigliarono in ricevendo un messaggio del legittimo Imperatore, che restituito ne' proprj diritti mostravasi impaziente di abbracciare il figlio e di rendere dovuto guiderdone ai suoi generosi benefattori73.

Questi generosi liberatori però non aveano in animo di lasciarsi sfuggir di mano il giovine, loro ostaggio, prima di aver ottenuto dal padre il pagamento, o almeno la formale promessa delle ricompense pattuite col figlio. Elessero quattro ambasciatori, Mattia di Montmorenci, il nostro storico Maresciallo della Sciampagna, e due Veneziani per portare le loro congratulazioni all'Imperatore. Al loro avvicinare si apersero le porte della città, una doppia schiera di guardie inglesi e danesi, colla loro azza da guerra fra le mani, fiancheggiava entrambi i lati delle strade; nella sala del trono abbagliava gli sguardi lo splendore dell'oro e dello gemme preziose che mal teneano vece di perduta possanza e virtù. La moglie di Isacco figlia del Re d'Ungheria, sedeasi a fianco del marito, circondata da tutte le nobili matrone della Grecia, convenute ivi alla prima notizia del nuovo esaltamento della sovrana, e confuse in mezzo a molta mano di senatori, e soldati che facean cerchio al trono. I Francesi, col ministero del Maresciallo favellarono, siccome uomini persuasi di quanto ai loro servigi doveasi, ma che però rispettavano l'opera delle lor mani, onde Isacco chiaramente comprese come gli convenisse adempire senza titubazione, od indugio gli obblighi che il figlio suo coi Veneziani e co' pellegrini aveva contratti. Dopo aver fatto introdurre i quattro messaggeri in una stanza interna, ove si trasferì, accompagnato dall'Imperatrice, da un ciamberlano, e da un interprete, il padre del giovine Alessio chiese con inquietezza in che si stessero le cose promesse dal figlio suo. Il maresciallo di Sciampagna avendogli fatto noto che l'Imperatore greco dovea impor fine allo scisma col sottomettersi egli e i suoi popoli alla supremazia del Papa, contribuire coi proprj soccorsi alla liberazione di Terra Santa, sborsare in contanti una contribuzione di dugentomila marchi d'argento: «Questi patti son gravi, rispose accortamente il Monarca, duri da accettare, difficili da adempire; nondimeno, non vi è cosa che possa superare i vostri meriti e i vostri servigi». Soddisfatti di questa risposta, i Baroni montarono a cavallo, e accompagnarono sino alla reggia l'erede del trono, al quale la giovinezza e il tenore delle sue avventure cattivavano tutti i cuori; insieme al padre fu coronato nella Chiesa di S. Sofia. Nei primi giorni del nuovo regno, il popolo esultante pel ritorno della pace e dell'abbondanza, godea che tal fosse stato lo scioglimento della catastrofe. I Nobili nascondeano sotto la maschera di giubilo e di fedeltà, il rincrescimento, l'astio, i timori. Ad evitare gl'inconvenienti che avrebbe potuto produrre nella città la mescolanza delle due nazioni, vennero assegnate ai Veneziani e ai Francesi le stanze ne' sobborghi di Pera e di Galata, lasciata però ad essi ogni libertà di diportarsi a trafficare entro le mura di Costantinopoli. La divozione e la curiosità conducea ogni giorno un gran numero di pellegrini a visitarne le chiese e i palagi. Non mossi forse dalla perfezione dell'arti che in questi edifizj signoreggiava, i nostri ruvidi antenati sentivano però il prezzo della magnificenza che in essi ammiravasi. La povertà delle città ove erano nati, rendea più splendente ai loro sguardi il fasto e la popolazione della prima metropoli della Cristianità74. Abbandonandosi, non con bastante cautela ai sentimenti della giustizia e della gratitudine, il giovine Alessio dimenticava spesse fiate l'imperiale dignità rendendo visite famigliari ai suoi benefattori, e in mezzo alla libertà della mensa i Francesi, spinti da leggiera vivacità, non pensavano sempre che si trovavano a petto dell'imperator d'Oriente75. In più gravi parlamenti, ognuno era rimasto d'accordo che l'unione delle due Chiese poteva essere l'opera unicamente del tempo, e che tornava l'aspettar questo tempo pazientemente. Ma l'avarizia fu men maneggevole dello zelo religioso, nè l'Imperator greco trovò modi per dispensarsi dal pagare una fortissima somma che i bisogni e i gridori de' Crociati sedasse76. Alessio vedea però mal volentieri avvicinarsi il momento della partenza di questi ospiti; perchè, se per una parte la lontananza de' medesimi lo avrebbe sciolto da molesti pensieri sopra un debito che per allora non era abile a soddisfare, ei si vedea per essa esposto, senza chi il soccorresse, ai capricci di una nazione dedita al tradimento. Quindi Alessio si offerse di compensarli d'ogni spesa, e pagare anche quanto essi dovevano ai Veneziani pel somministrato navilio, sempre che la partenza da Costantinopoli differissero ancor per un anno. La proposta fu nel consiglio dei Baroni agitata: dopo nuove discussioni e nuovi scrupoli, i Capi de' Francesi all'opinione del Doge e alle preghiere del giovine Imperatore una seconda volta cedettero. Il Marchese di Monferrato, mediante lo sborso di mille seicento libbre d'oro, acconsentì a condurre il figlio d'Isacco con un esercito in tutte le province europee, onde far più salda su di quelle la sua autorità ed inseguire lo zio; nel qual tempo la presenza di Baldovino, e degli altri confederati terrebbe in dovere gli abitanti di Costantinopoli. La spedizione sortì buon esito; e gli adulatori che stavansi attorno al trono, non mancarono di predire al cieco monarca che la Providenza, poichè era giunta a trarlo dal carcere, lo guarirebbe dalla gotta, gli restituirebbe la vista, e veglierebbe alla prosperità del suo impero. Il padre di Alessio superbendo del buon successo delle proprie armi, con fiducia ascoltavali; però la gloria sempre crescente del figlio, incominciò a crucciargli l'animo, proclive per solito al sospetto ne' vecchi: nè tutto il suo orgoglio bastava per nascondere a questo padre invidioso, che gli encomj i più universali, i più sinceri erano per Alessio, per lui qualche debole plauso di formalità, a stento ancor conceduto77.

L'invasione de' Francesi dissipò un prestigio che durava da nove secoli. I Greci attoniti videro non essere la capitale dell'Impero romano inaccessibile ad un esercito di nemici. Gli Occidentali dopo averne presa per forza la città, arbitrarono sul trono di Costantino; ed i sovrani che per la protezione degli estranei vi tornarono, divennero odiosi al popolo non meno di chi ve gli avea collocati. Le infermità d'Isacco cresceano il disprezzo che i suoi vizj gli meritavano; e la nazione non riguardava nel giovine Alessio che un apostata de' costumi e della religione de' suoi antenati; perchè noti erano, o almeno si supponevano, i patti che avea promessi ai Latini. Sempre tenerissimo del culto e delle patrie superstizioni il popolo Greco, e gli ecclesiastici soprattutto, i conventi, le case, le officine sol rintronavano della tirannide del Papa, e de' pericoli della Chiesa78. L'esausto erario al fasto della Corte, e alle pretensioni de' confederati mal rispondea. Tutte le classi di abitanti manifestavano la ritrosia loro ad un generale tributo, siccome unica via per evitare gl'imminenti pericoli del saccheggio e della schiavitù. Col far cadere il peso delle tasse su i ricchi temeasi eccitare astj più pericolosi e personali; traendo soccorsi dal fondere gli argenti delle Chiese paventavansi i rimproveri di eresia e di sacrilegio. Nel tempo della lontananza di Bonifazio e del giovine Imperatore, Costantinopoli fu afflitta da una calamità, di cui giustamente potè accagionarsi l'imprudente zelo de' pellegrini fiamminghi79

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