In mezzo allo squallore di una tanto obbrobriosa povertà, rimaneva tuttavia all'Imperatore o all'Impero un tesoro che ricevea il suo immaginario valore160 dalla divozione del Mondo cristiano. Scapitato era alquanto per fattine parteggiamenti il legno della vera Croce, oltrechè l'essere dimorato sì lungamente fra le mani degl'Infedeli, rendea anche sospette molte particelle di esso già diffuse per l'Oriente e per l'Occidente; ma veniva conservata nella cappella imperiale di Costantinopoli un'altra reliquia della Passione del Redentore. La Corona di Spine di Gesù Cristo era non men della Croce, cosa preziosa ed autentica. È noto che gli antichi Egizj depositavano per pegno de' proprj debiti le mummie de' loro antenati161, e faceano così garante l'onore e la religione pel pagamento della somma tolta ad imprestito; imitato avevano questo esempio i Baroni della Romania in tempo che l'Imperatore era lontano, perchè abbisognando di un prestito di tredicimila centotrentaquattro piastre d'oro, diedero in ostaggio la Santa Corona per ottenerlo162. Giunto il tempo del pagamento, nè trovandosi all'uopo i danari, Nicola Querini, ricco mercatante veneziano, si offerse a soddisfare i creditori, con che la Corona rimanesse depositata in Venezia, e divenisse poi proprietà personale dello stesso Querini, ogni qualvolta entro un termine corto e pattuito non venisse riscattata. Avendo i Baroni dovuto far noto al Sovrano questo malauguroso contratto, e il pericolo che sovrastava, perchè lo Stato non aveva abilità per una somma maggiore di settemila lire sterline all'incirca, Baldovino trovò che sarebbe stato provvedimento ammirabile in quel frangente il ritogliere dalle mani de' Veneziani questo tesoro, e farlo passare in quelle del Re cristianissimo163. Il qual partito e più onorevole ed utile si dimostrava. Nondimeno la negoziazione trovò alcune difficoltà. Il pio Luigi IX avrebbe riguardata la compera di una reliquia come un delitto di simonia; ma cambiando solamente lo stile del contratto, egli trovò che potea senza scrupolo pagare il debito de' Greci, ricevere la Corona di Spine qual donativo, e dare indi un attestato di gratitudine al donatore. Due Dominicani pertanto vennero inviati a Venezia siccome ambasciadori incaricati di riscattare e ricevere il santo deposito che sottratto si era ai pericoli della navigazione e alle galee di Vatace. Aperta la cassa, vennero verificati i sigilli così del Doge come dei Baroni greci, stati apposti sopra un reliquiario d'argento, prima custodia della scatoletta d'oro, entro cui questo monumento della Passione di Cristo si racchiudeva. I Veneziani cedettero, benchè di mal animo, alla giustizia e alla potenza del Re di Francia; l'imperator Federico diede rispettosamente per li suoi Stati il passaggio alla preziosa reliquia; tutta la Corte di Francia le andò incontro fino a Troyes nella Sciampagna. Il Re co' piedi scalzi, e vestito di una semplice camicia, portò egli stesso la Santa Corona in trionfo per le strade di Parigi; e un donativo di diecimila marchi d'argento consolò Baldovino del sagrifizio cui s'era prestato. Il buon successo di una tal negoziazione allettò questo ad offrire colla medesima generosità gli altri ornamenti della sua imperiale cappella164; un avanzo ragguardevole del legno della vera Croce, il panno di Gesù Cristo, la lancia, la spugna, la catena, attrezzi tutti della Passione, la verga di Mosè, e una parte del cranio di S. Giovanni Battista. Per dar condegno luogo a tutte queste spirituali ricchezze, S. Luigi spese una somma di ventimila marchi nell'edificare la Santa Cappella che la faceta musa di Boileau ha fatta immortale. L'autenticità di tali reliquie, antiche tanto e tratte da paesi così lontani, non può omai essere provata dalla testimonianza degli uomini; ma son costretti ad ammetterle tutti coloro che credono ai miracoli da esse operati. Nella metà dello scorso secolo la santa ferita di una Spina della Corona risanò radicalmente un'ulcera inveterata165; prodigio attestato dai Cristiani i più devoti, ed anche sapienti della Francia, e che non può sì facilmente essere dismentito se non se da coloro che vanno muniti di un antidoto generale166 contro ogni specie di credulità religiosa167.
A. D. 1237-1261
I Latini di Costantinopoli168 trovandosi circondati, stretti d'ogni banda, la sola discordia e divisione de' Greci e de' Bulgari tardar ne potevano la rovina; ma la politica e la potenza militare di Vatace Imperator di Nicea, rendè vana quest'ultima loro speranza. Dalla Propontide fino alle rupi della Panfilia l'Asia godea giorni di pace e di prosperità sotto questo Sovrano, che ottenendo a mano a mano nuovi allori ne' campi di battaglia, crescea di preponderanza in Europa. Scacciati i Bulgari dalle Fortezze situate nelle montagne della Macedonia e della Tracia, ridusse il loro reame a que' limiti, fra i quali lungo le rive del Danubio oggidì è contenuto. Allorchè l'Imperatore de' Romani si mostrò stanco di sopportare che un Duca di Epiro, un Principe Comneno dell'Occidente, pretendesse disputargli, di avere comuni seco lui gli onori della porpora; Demetrio, cambiato umilmente il colore de' suoi calzari, accettò, mostrandosi grato, il titolo di despota; il quale atto di abbiezione, oltre alla inettezza nel governare, gli alienò i cuori de' sudditi, che implorarono la protezione del Principe greco, di cui Demetrio era vassallo. Per la qual cosa Vatace giunto ad unire il regno di Tessalonica a quel di Nicea, regnò senza competitori dalle frontiere della Turchia insino al golfo Adriatico. I Principi europei ne rispettavano il merito e la possanza, e probabilmente non gli era d'uopo che risolversi ad abbracciare la Fede ortodossa, perchè il Pontefice abbandonasse senza rincrescimento l'Imperatore latino di Costantinopoli; ma la morte di Vatace, la breve durata del regno turbolento di Teodoro, la minorità di Giovanni, un figlio, l'altro pronipote di Vatace, ritardarono il risorgimento della greca dominazione in Bisanzo. Nel capitolo successivo darò conto delle domestiche vicissitudini che afflissero que' due successori di Vatace; per ora mi basta il notare che l'ultimo di essi soggiacque all'ambizione del suo tutore e collega, Michele Paleologo, uomo in cui si diedero a divedere congiuntamente e quelle virtù, e que' vizj proprj di ordinario ai fondatori di nuove dinastie. L'imperatore Baldovino era caduto nell'abbaglio di credere che una negoziazione non sostenuta da veruna forza, gli basterebbe a ricuperare alcune province o città. Ma gli ambasciatori di lui vennero rimandati da Nicea, ove non ottennero che sprezzi e risposte schernevoli; per ciascuna provincia che domandavano, Paleologo adduceva un pretesto, per cui non gli era lecito, ei diceva, il privarsene; in una di esse era nato, aveva avuto i primi rudimenti della scuola militare nell'altra; in tal provincia avea goduti i piaceri della caccia, e volea continuar lungo tempo a goderli. «In somma qual parte di dominio avete risoluto di cederne?» gli domandarono stupefatti quei messi. «Nessuna, rispose il Principe greco, nè anco una pollice di terra. Se il vostro padrone brama la pace, mi paghi per tributo annuale la rendita delle dogane di Costantinopoli, al qual patto potrò concedergli che continui a regnare; e avrò il suo rifiuto come primo segnale di guerra. A me perizia militare non manca, e gli eventi delle cose confido a Dio e alla mia spada»169. Nella prima prova che ei fece dell'armi sue contra il despota dell'Epiro, riportò vittoria; cui però venne d'appresso una sconfitta: onde i Comneni Angeli continuarono a resistergli nelle montagne della Macedonia, e anche dopo la morte di questo Principe, conservarono la loro autorità. Peggio tornarono le cose ai Latini, i quali, caduto prigioniero Villehardouin, principe di Acaia, rimasero privi con esso del più operoso e possente vassallo dell'agonizzante lor monarchia. Intanto le repubbliche di Genova e di Venezia, venuta per la prima volta l'una contro l'altra a guerra navale, si contendeano l'impero del mare, e il commercio dell'Oriente: e poichè motivi di ambizione e d'interesse teneano affezionati a Costantinopoli i Veneziani, i rivali di questi offersero ai nemici de' Latini soccorso, la qual lega de' Genovesi con un conquistatore scismatico l'indignazione del Vaticano eccitò170.
Tutto inteso al suo grande divisamento, Michele visitò in persona ciascuna Fortezza della Tracia, e le guernigioni ne accrebbe. Dopo avere scacciati gli avanzi de' Latini dagli ultimi possedimenti che lor rimanevano, diede assalto al sobborgo di Galata, ma infruttuosamente; perchè quel Barone che perfidamente mantenea corrispondenza coi Greci, o non potè, o non volle aprirgli le porte della Capitale. All'apparire della successiva primavera, Alessio Strategopolo, generale favorito di Michele, e insignito da questo del titolo di Cesare, attraversò l'Ellesponto conducendo seco ottocento uomini a cavallo, ed alcune truppe d'infanteria171 che servir doveano ad una spedizione segreta. Gli ordini avuti dal ridetto generale erano di avvicinarsi a Costantinopoli, di esplorare attentamente tutte le cose, e curare le occasioni che si potessero offrire ad ultimi tentativi; però di astenersi da ogni impresa o dubbia, o pericolosa contro della città. Abitava nelle vicinanze della Propontide e del mar Nero una schiatta ardimentosa di villani e di malviventi, avvezzi all'armi e di incerta fede, pure e per linguaggio e religione comuni, e per le viste del momentaneo interesse maggiormente affezionati alla parte de' Greci. Nomati venivano i Volontarj172, e come tali offersero servigio al generale di Michele, il cui esercito, accresciuto dagli ausiliari Comani sommò allora a venticinquemila uomini173. Eccitato dall'ardore di questi Volontarj, e dalla sua propria ambizione, il nuovo Cesare trasgredì i comandi del suo Signore, colla fondata fiducia che il buon successo farebbe della inobbedienza le scuse. Pertanto i Volontarj che, qual gente posta continuamente in istato di guatare i Latini, ne conoscevano la debolezza, la stremità, la paura, additarono quel momento come il più propizio a sorpendere e ad occupare Bisanzo. Un giovine imprudente posto ivi da poco tempo al governo della Colonia veneta, partito erane con trenta galee, traendo seco il fiore de' Cavalieri francesi ad una folle impresa contro Dafnusia, città situata in riva al mar Nero, e distante quaranta leghe da Costantinopoli; i rimanenti Latini vi mancavano di forze, e si stavano nella sicurezza. Non che ignorassero il passaggio dell'Ellesponto operato da Alessio; ma dissipati i loro primi timori dall'intendere qual piccola forza lo accompagnasse, non pensarono tampoco a ricercare se questa si fosse aumentata. Nel campo greco le cose erano apparecchiate in tal modo, che Alessio lasciandosi addietro il suo corpo d'esercito ad una distanza opportuna per venirgli all'uopo in soccorso, potea, protetto dalle tenebre, innoltrarsi con una scelta scorta. Nel medesimo tempo che alcuni della spedizione avrebbero poste le scale alla parte più bassa delle mura, di dentro sarebbesi trovato pronto un vecchio Greco, il quale avea promesso introdurre per una via sotterranea fino alla propria casa una parte de' suoi compatriotti; e questi di lì sarebbersi trasferiti alla porta d'Oro che da lungo tempo più non si apriva, ed atterrati dalla parte interna i battitoi, i Greci doveane trovarsi padroni di Bisanzo, prima che i Latini fossero stati avvertiti del loro pericolo. Dopo essere stato perplesso per qualche tempo, Alessio si abbandonò allo zelo dei Volontarj, che ardimentosi, e pieni di fiducia riuscirono, talchè quanto ho narrato sul divisamento dell'impresa, basta ad additarne l'adempimento e il buon successo174. Per vero dire Alessio, oltrepassata appena la soglia della porta d'Oro, tremò egli stesso sulla propria temerità; fermossi, deliberò, ma lo costrinse l'ardir disperato de' Volontarj, che gli mostrarono quasi impossibile in quel momento, e più pericolosa dell'assalto la ritirata. Intanto che Alessio tenea le sue truppe regolari in ordine di battaglia, i Comani si sparsero per tutte le bande: fu sonato a raccolta: e le minacce di saccheggio e d'incendio che si udivano per ogni dove obbligarono gli abitanti ad appigliarsi a un partito. I Greci di Costantinopoli manteneano affetto agli antichi loro Sovrani. I mercatanti genovesi rispettavano la recente lega che la loro Repubblica col Principe greco aveva contratta ed odiavano i Veneziani; in tutti i rioni si presero l'armi; l'aere risonò di una acclamazione generale: «Vittoria e lunga vita a Michele e a Giovanni, gli augusti Imperatori de' Romani.» Queste grida svegliarono Baldovino; ma l'imminenza stessa di un tanto pericolo non valse a fargli sguainare la spada in difesa di una città, dalla quale gli era forse più conforto che rincrescimento l'allontanarsi. Corse alla riva, ove scorse per sua ventura le vele di quella flotta che tornava addietro dalla sua vana spedizione contro Dafnusia. Vedendosi che Costantinopoli era perduta senza riparo, Baldovino, e le primarie famiglie latine s'imbarcarono sulle galee veneziane, che dopo avere veleggiato all'isola di Eubea, di lì condussero in Italia l'augusto fuggitivo, che trovò presso il Pontefice romano un'accoglienza in cui la compassione e lo sprezzo si avvicendavano. Dal momento della perduta sua capitale, fino a quel della morte, Baldovino impiegò tredici anni in sollecitazioni alle Potenze cristiane, affinchè si collegassero per rimetterlo in trono; supplica che gli era già famigliare; nè si mostrò in quest'ultimo esilio, o più indigente o più avvilito di quello che egli era apparso nelle sue tre prime peregrinazioni alle Corti d'Europa. Il figlio di lui, Baldovino, ereditò dal padre il vano titolo d'Imperatore, e Catterina figlia di questo, divenuta sposa di Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello Re di Francia, gli portò in dote le sue pretensioni. La linea femminina della casa di Courtenai trasportò successivamente le avite prerogative titolari in diverse famiglie, sintantochè il titolo d'Imperatore di Costantinopoli, apparso troppo fastoso e sonoro per essere unito al nome di un privato, modestamente si spense nel silenzio e nella dimenticanza175.
Dopo avere raccontate le spedizioni de' Latini nella Palestina e a Costantinopoli, non mi è lecito abbandonare questo argomento, senza esaminare gli effetti prodotti dalle Crociate ne' paesi che furono teatro delle medesime, e sulle nazioni che ne furono i personaggi176. L'impressione fatta dai Franchi nei regni maomettani dell'Egitto e della Sorìa si dileguò col loro sparire, benchè la ricordanza di questi conquistatori vi fosse rimasta. I fedeli discepoli di Maometto non sentirono mai la profana brama di studiar le leggi o l'idioma degli idolatri177
Бесплатно
Установите приложение, чтобы читать эту книгу бесплатно
О проекте
О подписке