A. D. 1186
La ribellione de' Valacchi e de' Bulgari, quanto di ignominia alla monarchia, altrettanto di inquietudine portò alla capitale. Dopo la vittoria di Basilio II, questi popoli si erano serbati sommessi ai principi di Bisanzo, sommessione per vero dire che non recava ai vassalli grande molestia; ma niuno avea mai fatta la pruova di ridurre efficacemente sotto il giogo de' costumi e delle leggi quelle selvagge tribù. Per ordine di Isacco l'Angelo, vennero private del solo modo di sussistenza che avessero, delle loro greggie, che vennero adoperate alla pompa delle nozze dell'Imperatore. Indi il rifiuto di pareggiarli nello stipendio e nel grado agli altri soldati dell'Impero, gli animi di que' guerrieri indocili affatto irritò. Pietro e Asan, due possenti Capi della stirpe degli antichi Re26, si eressero in difensori de' proprj diritti e della pubblica libertà: i fanatici, che ad essi prestarono l'uffizio di predicatori, bandirono alle genti che il glorioso S. Demetrio loro avvocato, avea sempre abbandonate le parti de' Greci: laonde la ribellione dalle sponde del Danubio ai monti della Tracia e della Macedonia si dilatò. Dopo alcuni sforzi inutili per sedarli, Isacco e il fratello d'Isacco riconobbero la loro independenza; perchè fin sulle prime, le truppe imperiali si scoraggiarono alla vista dei teschi e de' brani de' lor confratelli, lungo le gole del monte Emo dispersi. Il valore e la politica di Giovanni o Giovannizio, fondarono sopra salde basi il secondo regno de' Bulgari. Questo accorto Barbaro spedì un'ambasciata ad Innocenzo III, riconoscendosi per nascita e religione figlio di Roma27, e supplicando umilmente il Pontefice a concedergli la facoltà di battere moneta, il titolo di Re, e un arcivescovo o Patriarca latino. Nel quale intento essendo egli riuscito, il Vaticano riportò il trionfo di una nuova conquista, che fu la prima origine dello scisma; poichè, se ai Greci fosse rimasta la loro preminenza sulla Chiesa di Bulgaria, alle pretensioni della sovranità avrebbero, senza dolersene, rinunziato.
A. D. 1195-1203
I Bulgari, odiando, come odiavano, l'Impero greco, doveano sopra ogni cosa pregare il Cielo che durasse il regno d'Isacco l'Angelo, divenuto il miglior mallevadore della loro prosperità o independenza. Nondimeno i Capi de' Bulgari nella cecità del loro astio avevano egualmente a vile e la nazione greca, e l'imperiale famiglia. «Non son nati in Grecia? diceva Asan ai propri soldati. Il clima, l'animo, l'educazione sono sempre i medesimi, e produrranno sempre i medesimi effetti. Vedete voi in cima alla mia lancia queste lunghe banderuole che ondeggiano a grado del vento; non differiscono che nel colore: composte di una seta stessa, lavorate dalle stesse mani, quelle che sono tinte in color di porpora non hanno maggior prezzo o valore dell'altre28». Il Regno di Isacco, vide sorgere e cadere molti pretendenti all'Impero: un generale che avea respinte le flotte dei Siciliani, dall'ingratitudine del Monarca venne trascinato alla ribellione, indi alla propria rovina: sommosse e segrete congiure, più d'una volta turbarono i sonni del principe voluttuoso. Per più riprese salvato o dal caso, o dalla sollecitudine de' suoi domestici, soggiacque finalmente alle trame d'un ambizioso fratello, che per guadagnarsi il possedimento precario di un vacillante trono, i sentimenti della fedeltà, della natura ed ogni riguardo d'affetto dimenticò29. Intantochè Isacco si diportava pressochè solo cacciando nelle ville della Tracia, Alessio, in mezzo al campo e fra gli applausi di tutto l'esercito, vestì la porpora; scelta che la capitale e il clero approvarono. Schifo per vanità del nome dei padri suoi, il nuovo Sovrano assunse il più pomposo della famiglia real de' Comneni. Non mi restano espressioni obbrobriose per contrassegnare Alessio dopo quelle che per dipingere Isacco adoprai: unicamente aggiugnerò che l'indegno usurpatore30 durò otto anni sul trono, e ne dovette grazia ai meno effeminati vizj della sua moglie Eufrosina. Solo al vedersi inseguito, come un nemico, dalle infedeli sue guardie imperiali, del suo disastro avvidesi Isacco: e corse fuggendo, all'aspetto de' suoi persecutori, fino a Stagira in Macedonia, cammino di circa cinquanta miglia; ma abbandonato a sè stesso e privo di soccorsi l'infelice Isacco, non potè al suo destino sottrarsi. Arrestato, condotto a Costantinopoli, privato degli occhi, e confinato in una solitaria torre, solo pane ed acqua ivi furono il suo nudrimento. Nel tempo di tale catastrofe toccava soltanto il dodicesimo anno Alessio figlio d'Isacco, che crescea nella speranza di succedere al regno. La fanciullezza di lui trovò grazia presso il tiranno, che lo serbò, e nella pace, e nella guerra, a decorare la pompa del proprio corteggio. Essendo accampato in riva al mare l'esercito greco, una nave italiana favorì la fuga del giovine principe, che, sotto abito di marinaio, involatosi alle indagini de' nemici, passò l'Ellesponto, nè tardò a trovarsi, immune da pericolo, sulle coste della Sicilia. Dopo essersi indi condotto a salutare la dimora de' Santi Appostoli e ad implorare la protezione di Papa Innocenzo III, cedè Alessio agl'inviti della sua sorella, Irene moglie di Filippo di Svevia, Re de' Romani. Ma attraversando l'Italia, intese come il fiore de' cavalieri d'Occidente, nella città di Venezia assembrato, a veleggiare alla Terra Santa accigneasi: onde gli nacque in cuore un raggio di speranza, che l'armi invincibili de' Crociati tornassero il padre suo sul trono che gli era stato rapito.
A. D. 1198
Dieci o dodici anni all'incirca dopo la perdita di Gerusalemme, i Nobili della Francia vennero nuovamente alla guerra santa eccitati per la voce di un terzo Profeta, meno stravagante di Piero l'Eremita, per vero dire, ma che in politica ed eloquenza a S. Bernardo di gran lunga cedea. Un prete ignorante nato ne' dintorni di Parigi, Folco di Neuilly31 abbandonò il servigio della sua parrocchia per sostenere la parte più seducente di missionario ambulante e di predicatore del popolo: la fama della sua santità e de' suoi miracoli si diffuse; veementemente declamava contro i vizj del secolo, e i sermoni che per le pubbliche vie di Parigi andava spacciando ebbero la fortuna di convertire ladri, usurai, meretrici, e persino alcuni dottori e scolari dell'Università. Appena Innocenzo III tenne la cattedra di San Pietro, bandì per l'Italia, per l'Alemagna e per la Francia, la necessità, ossia il dovere di una nuova Crociata32. L'eloquente Pontefice deplorava in patetico stile la rovina di Gerusalemme, il trionfo dei Pagani, e l'obbrobrio della Cristianità, liberalmente promettendo la remission de' peccati e un'indulgenza plenaria a tutti coloro che presterebbero servigio alla guerra di Palestina, o colla persona per un anno, o col ministerio di un sostituto per due33. Fra i Legati, ed Oratori che intonarono la sacra tromba, Folco di Neuilly ebbe la preminenza così per dimostrato zelo, come per lo sfarzo de' buoni successi che ottenne. E certamente lo stato in allora de' principali monarchi dell'Europa, tutt'altro che favorevole ai voti del Santo Padre, si dimostrava; l'Imperatore Federico II, tuttavia fanciullo, vedea dilacerati i suoi dominj dell'Alemagna dalle discordie delle rivali Case di Svevia e Brunswik, e dalle fazioni memorabili de' Guelfi e de' Ghibellini. Filippo Augusto di Francia aveva il suo pericoloso voto adempiuto, nè troppo talentavagli di rinovarlo; ma per altra parte, avido di lodi e di potenza questo monarca, assegnò un fondo perpetuo al servigio militare di Terra Santa. Riccardo d'Inghilterra, sazio di gloria, e acerbato dai disgustosi incidenti che alla sua prima spedizione si univano, si prese la libertà di rispondere con una facezia alle esortazioni di Folco di Neuilly, che, con egual sicurezza, mandava i suoi rabbuffi ai popoli e ai Re. «Voi mi consigliate, gli facea scrivere Plantageneto, di sciogliermi dalle mie tre figlie, la superbia, l'avarizia e l'incontinenza. Ebbene! Per metterle nelle mani di chi ne sappia far conto, consegno la mia superbia ai Templarj, la mia avarizia ai frati di Citeaux, la mia incontinenza ai Vescovi». Ciò non pertanto i grandi vassalli, e i Principi di secondo ordine, alle voci del predicatore docilmente obbedirono. Il giovine Tebaldo Conte di Sciampagna, in età di ventidue anni fu primo e de' più zelanti a mettersi nella santa impresa; che, a ciò il confortavano gli esempj del padre e del fratel primogenito, quegli stato condottiere della seconda Crociata, questi morto in Palestina col titolo di Re di Gerusalemme. Duemila dugento cavalieri doveano omaggio e servigio militare al Conte di Sciampagna34, e la Nobiltà di questo paese per maestria nell'armi di altissima fama godea35. Oltrechè, Tebaldo, divenuto sposo della erede della Casa di Navarra, poteva aggiugnere alle sue truppe una coraggiosa banda di Guasconi tolti da entrambi i lati de' Pirenei. Gli fu compagno d'armi, Luigi, conte di Blois e di Chartres, venuto, come egli, di sangue reale; perchè questi due Principi erano, l'uno e l'altro, nipote e del francese, e dell'inglese Monarca. Nella moltitudine de' Baroni e Prelati che il fervore de' due Conti imitarono, vogliono essere distinti Mattia di Montmorenci, chiaro per natali e per merito, il famoso Simone di Montfort, flagello degli Albigesi, il valente Goffredo di Villehardouin36, maresciallo di Sciampagna37, che si è degnato scrivere nell'idioma38 barbaro del suo secolo e del suo paese39 la narrazione de' consigli, e delle spedizioni, nelle quali egli medesimo una delle primarie parti sostenne. Nel medesimo tempo, Baldovino, conte di Fiandra, che avea sposata la sorella di Tebaldo, prese la croce a Bruges non meno del proprio fratello Enrico, e dei principali cavalieri e cittadini di questa ricca ed industriosa provincia40. I Capi pronunziarono solennemente il lor voto nella Chiesa, e lo ratificarono ne' tornei. Dopo che in parecchie assemblee generali fu discusso intorno ai modi di accignersi alla grande impresa, venne risoluto che, per liberare la Palestina, si dovea portar la guerra in Egitto, paese che, dopo la morte di Saladino, la fame e le civili guerre straziavano. Ma la ria ventura che aveano incontrata tanti eserciti, condotti dai Sovrani in persona, mostravano pericolosissima cosa l'imprendere per terra una sì lunga spedizione: e benchè i Fiamminghi abitassero le coste dell'Oceano, i Baroni francesi mancavano di navilio, nè avevano inoltre sull'arte del navigare nozioni di sorte alcuna. In tal frangente, i Crociati saggiamente nominarono sei deputati o rappresentanti, nel novero de' quali il Villehardouin si trovò, con pieno potere di negoziare pel vantaggio della Confederazione, e di regolare tutte le fazioni di questa impresa. Non essendovi che gli Stati marittimi dell'Italia, atti a fornire quanto facea di mestieri per trasportare i pellegrini, le armi loro e i cavalli, i sei deputati cercarono Venezia, onde far valere e la divozione, e l'interesse allo scopo di ritrar soccorsi da quella possente repubblica.
A. D. 697-1200
Nel narrare l'invasione fatta da Attila nell'Italia, non tacqui41, come i Veneziani fuggiti dalle città distrutte del Continente, si fossero cercato uno oscuro asilo nella catena d'isolette che l'estremità dell'Adriatico golfo fiancheggiano. Circondati per ogni lato dal mare, liberi, indigenti, laboriosi, e padroni d'una inaccessibil dimora, a mano a mano in repubblica si congregarono. Le prime fondamenta di Venezia accolse l'isola di Rialto, e venne, in vece della elezione annuale di dodici tribuni, l'uffizio di un Duca o Doge perpetuo, che durava quanto la vita di chi lo assumea. Collocati fra due imperi, i Veneziani vanno fastosi della fama di aver sempre mantenuta la primitiva loro independenza42, e sostenuta coll'armi la lor libertà, dai Latini posta in pericolo, fama che, con testimonianze commesse allo scritto, potrebbero di leggieri giustificare. Il medesimo Carlomagno abbandonò tutte le sue pretensioni sulle isole del golfo Adriatico; Pipino, figlio di lui, ebbe mal successo in volendo superare le lagune di Venezia, troppo profonde, perchè la sua cavalleria potesse varcarle, ma non a bastanza per offerire alle sue navi ricetto; e sotto il successivo regno di tutti gli alemanni Imperatori, le terre della Repubblica veneta da ogn'altro paese italiano sonosi contraddistinte. Ma quegli abitanti imbevuti eransi dell'opinione generale dell'estranie nazioni, e de' Greci loro sovrani, i quali siccome parte non alienabile dell'Impero d'Oriente li riguardavano43. Il nono e il decimo secolo somministrano prove e molte, e saldissime di tale dipendenza. Laonde i vani titoli e i servili onori della Corte di Bisanzo, cotanto ambiti dai loro Dogi, avrebbero invilite le magistrature di questo popolo libero, se l'ambizione de' cittadini, e la debolezza di Costantinopoli non avessero per insensibili gradi sciolte le catene di questa dependenza medesima, che poi non era nè severissima, nè di soverchio assoluta. Convertiti l'obbedienza in rispetto, i privilegi in prerogative, la libertà del Governo politico quella del Governo civile affrancò. Le città marittime dell'Istria e della Dalmazia obbedivano ai sovrani dell'Adriatico; e quando questi armarono per Alessio contra i Normanni, l'Imperatore greco non riguardò i soccorsi de' medesimi, qual tributo che il Sovrano può aspettarsi dai sudditi, ma beneficenza di grati e fedeli confederati li reputò. Retaggio fu di questo popolo il mare44. Certamente i Genovesi e i Pisani, rivali de' Veneti, teneano la parte occidentale del Mediterraneo, dalla Toscana a Gibilterra; ma avendo Venezia ottenuta di buon'ora una grossa parte nel commercio vantaggiosissimo della Grecia e dell'Egitto, le ricchezze di essa, a proporzione delle inchieste degli Europei, si aumentarono; le sue manifatture di cristalli e di seta, fors'anche l'instituzione della sua Banca ad una antichità la più rimota risalgono, e i frutti della comune industria nella magnificenza della Repubblica e de' privati ammiravansi. Facea mestieri di mantenere l'onore della veneta bandiera, di vendicare ingiurie a questa inferite, o proteggerne la marittima libertà? La Repubblica potea in brevissimo tempo lanciar nell'acque, allestire una flotta di cento galee, ch'essa adoperò a mano a mano contra i Greci, contra i Saracini, contra i Normanni, o in soccorso, che grande fu, de' Francesi nelle loro spedizioni alle coste della Sorìa. Ma questa solerzia de' Veneziani, nè cieca, nè disinteressata mostravasi. Dopo la conquista di Tiro, parteciparono al dominio sovrano di questa città, primo ricettacolo del commercio di tutto il Globo; e già scorgeansi nella politica del veneto Governo tutta l'avarizia di un popolo trafficante, e tutta l'audacia di una potenza marittima. Ma non fu mai che il consiglio l'ambizione non ne regolasse; e dimenticò rare volte, che, se la copia delle sue galee armate era conseguenza e salvaguardia di sua grandezza, il suo navilio mercantile le avea dato origine e la sostenea. Evitato lo scisma de' Greci, non quindi Venezia un'obbedienza servile al Pontefice di Roma prestò; e l'abito di corrispondere cogl'Infedeli di tutti i climi, le fu schermo di buon'ora contra gl'influssi della superstizione. Il Governo primitivo di Venezia presentava una mescolanza informe di democrazia e di monarchia; pei suffragi di una generale assemblea eleggevasi il Doge; e questi, sinchè piaceva al popolo la sua amministrazione, regnava con fasto e con autorità ad un sovrano addicevoli; ma negli spessi cambiamenti politici occorsi, cotesti maestrati vennero e rimossi, e confinati in esilio, e talvolta anche morti per opera di una moltitudine sempre violenta, spesse volte ingiusta. Col secolo dodicesimo solamente incominciò quell'abile e vigilante aristocrazia, per le cui conseguenze ai dì nostri il Doge non è più che un fantasma, il popolo un nulla45.
A. D. 1201
Appena giunti a Venezia i sei ambasciatori francesi, vennero nel palagio di S. Marco amichevolmente accolti dal Doge Enrico Dandolo, che, pervenuto all'ultimo periodo dell'umana vita, fra gli uomini più chiari del suo secolo risplendea46. Aggravato dagli anni, e divenuto cieco47, il Dandolo conservava tutto il vigore del suo coraggio e del suo intendimento, il fervor d'un eroe bramoso di segnalare per qualche memorabile impresa l'epoca del suo regno, la saggezza di un cittadino infiammato dall'ardore di fondare la propria fama sulla gloria e la possanza della sua patria. Il valore e la fiducia de' Baroni francesi e de' lor deputati, ottennero da lui approvazione ed encomj: «S'io non fossi che un privato, rispondea loro, nel sostenere una sì bella causa, e in compagnia di tali campioni, bramerei terminare il corso della mia vita.» Ma nella sua qualità di magistrato di una Repubblica, li chiese di qualche indugio per consigliarsi in una bisogna di tanta importanza co' suoi colleghi. La proposta de' Francesi venne primieramente discussa nel consesso de' sei Savj nominati di recente per vegliare all'amministrazione del Doge; indi portata ai quaranta Membri del Consiglio di Stato, poi comunicata all'Assemblea legislativa, composta di quattrocentocinquanta Membri, eletti ciascun anno ne' sei rioni della città. E in pace, e in guerra, il Doge era sempre il Capo della Repubblica; ma il credito personale goduto dal Dandolo, di maggior peso l'autorità legale rendevane. Si ventilarono ed approvarono le ragioni da esso addotte per favorire la confederazione; indi gli fu conferita l'autorità di far note agli ambasciatori le condizioni del Trattato che si volea stipulare48
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