Quando Vars entrò a passo lungo nella grande sala, era già affollata fino alle sue pareti in pietra. C’era così tanta gente che i grandi quadrati di tappeto che di norma dividevano per rango le persone, avevano lasciato spazio solo a un’approssimazione generale. C’erano i nobili e i capi delle Case dei Commercianti, delle Armi, degli Accademici e persino dei Sospiri. Le porte all’estremità opposta erano aperte, per permettere ad altri di ascoltare e alle bandiere poste lungo le pareti di sventolare, violente quasi come le loro bocche. Vars non aveva mai apprezzato il brusio della corte e, adesso, con così tante voci che bisbigliavano insieme, gli risultava ancora più irritante.
“Dobbiamo tenere d’occhio lo Slate,” disse un nobile di secondo rango.
“Perché?” scattò in risposta un cavaliere. “Nel caso in cui Ravin riesca a costruire altri ponti mentre siamo distratti?”
“Esatto,” ribatté il primo uomo, a quanto pareva ignaro della sua stupidità.
“Ciò di cui abbiamo bisogno adesso è la coordinazione tra noi e le vostre forze personali,” intervenne il Comandante Harr. Il comandante dei Cavalieri dello Sperone era lì in piedi con la sua armatura completa; la barba grigia gli scendeva dentro al pettorale, facendo chiedere a Vars se quell’uomo la tenesse addosso persino quando dormiva. “Dobbiamo evitare qualsiasi lacuna nelle nostre difese.”
“Questo significa che dovremmo accollarci il costo di questo?” domandò il capo della Casa dei Commercianti, che era in piedi laggiù con indosso tante catene d’oro che forse ne sarebbe bastata una a finanziare la guerra.
“Dobbiamo studiare ciò che sta accadendo,” prese la parola il capo degli Accademici, severo nei suoi indumenti scuri e con la testa rasata.
“Dobbiamo aumentare la produzione,” affermò il rappresentante della Casa delle Armi.
Almeno la donna della Casa dei Sospiri tacque, sembrando soddisfatta di limitarsi a osservare il dibattito. Vars non sapeva che farsene dell’opinione di un semplice cortigiano e restò in piedi nell’ombra del trono, ascoltandoli andare avanti, in attesa che uno di loro notasse la sua presenza. I secondi correvano, mentre continuavano a battibeccare l’uno con l’altro; alcuni sostenevano di dover restare al castello, altri proponevano invece di avanzare. Oltre a ciò, pareva non esserci proprio un punto d’incontro, con ogni fazione che aveva una sua strategia, una sua idea di quali truppe schierare e dove, e su come e chi avrebbe dovuto pagare.
Poteva avvertire la rabbia crescergli dentro, lavando via persino la paura di avere così tante persone schierate davanti. Camminò attorno al trono, sistemandovisi davanti deliberatamente.
“Silenzio!” gridò ma, anche allora, solo alcuni di loro tacquero. “Se non cade il silenzio qui dentro, farò sgomberare la sala dalle guardie!”
Ottenne il silenzio e, a quel punto, tutti lo stavano fissando. L’ansia lo raggiunse, facendolo solo sentire peggio. Tutti quegli occhi fissi su di lui lo facevano solo sentire piccolo e vulnerabile, e Vars lo odiava.
“Sono io il re adesso!” gridò, in difesa da quegli sguardi. “State parlando come se foste voi a decidere come gestire l’invasione, ma sarò io a farlo!”
“Vostra altezza,” disse un conte avanzando. “Con tutto il rispetto, questa è una decisione che condiziona l’intero regno e vostro padre è ancora vivo; è importante che tutte le parti coinvolte dicano la loro.”
Vars fulminò l’uomo con lo sguardo. “Davvero? Quindi dovrei chiedere ai contadini che lavorano la tua terra cosa pensano?”
Quello sembrò far arretrare l’uomo. “Vostra altezza, noi nobili non siamo contadini. La nostra posizione confrontata alla vostra non è equivalente alla loro rispetto alla nostra.”
“Il modo per rivolgersi a un re è vostra maestà,” scattò Vars in risposta.
“Ma voi siete il reggente del re, vostra altezza,” disse un altro nobile, che Vars riconobbe come il Marchese delle Terre di Sotto. “Se dobbiamo rispettare qualsiasi decisione presa a questo proposito, è anche vero che avete ricevuto il ruolo solo in quanto prossimo in linea di successione al trono. Nessuna decisione definitiva è stata presa.”
“Nessuna decisione definitiva riguardo a cosa?” domandò Vars e poteva sentire il controllo della situazione sfuggirgli di mano.
“Riguardo se sarete voi il re,” rispose il marchese.
Vars voleva che l’uomo fosse decapitato per quello, voleva scendere fino a dov’era e strangolarlo a mani nude. Eccetto che… il marchese era un uomo imponente e Vars poteva avvertire la paura crescergli dentro, bloccarlo sul posto, rifiutarsi di permettergli di fare una qualsiasi delle cose che desiderava così ardentemente.
“Tali parole sfiorano i confini del tradimento, mio signore,” disse una voce dal retro e Vars tirò un sospiro di sollievo quando riconobbe Finnal, che si faceva strada tra la folla. “E non è qualcosa che mio padre approverebbe.”
L’uomo arretrò un poco. “Non volevo insinuare niente, sennonché i tradizionali ruoli della nobiltà devono …”
“Il tradizionale ruolo della nobiltà è supportare il re,” lo interruppe Finnal, mentre faceva un inchino nella direzione di Vars. “Vi prego di continuare, vostra maestà.”
Incoraggiato dal sostegno di Finnal, Vars poté avvertire un poco di sicurezza tornare in lui.
“Abbiamo ricevuto l’informazione che la gente di Re Ravin sta attaccando tramite l’Isola di Leveros,” disse Vars. “Mia sorella ha rischiato la sua stessa vita per portarci il messaggio.”
Erin poteva essere definita sua sorella, adesso che aveva fatto qualcosa di utile; ma sarebbe tornata presto solo la sua sorellastra.
“Lo sappiamo,” intervenne il Comandante Harr dello Sperone. “La domanda è che cosa dobbiamo fare per contrattaccare. Le implicazioni militari sono complesse e…”
“La situazione militare è semplice,” lo interruppe Vars. “Sappiamo che il nemico non pensa che ci muoveremo. Sappiamo che stanno attaccando a nord. Pensano che siamo del tutto distratti dall’attacco ai ponti del sud. Invece, noi li raggiungeremo.”
“Cosa significa?” domandò il Comandante Harr. In qualche modo, quel vecchio uomo aveva sempre avuto un modo di porre delle domande a Vars che lo faceva sentire come se non sapesse niente. “Quali truppe manderemo e quali lasceremo indietro?”
“Che domanda, Comandante,” disse Vars. “Manderemo i tuoi cavalieri.”
“Tutti?” la voce del rappresentante della Casa delle Armi echeggiò nella sala. “Ma in questo modo non lasceremo Royalsport indifesa?”
“Le guardie resteranno qui, ovviamente,” disse Vars. “Insieme alle forze private dei miei leali nobili.” Si guardò intorno per assicurarsi che fossero leali. “Ma i Cavalieri dello Sperone cavalcheranno a nord per affrontare la minaccia, insieme a quanti più soldati possano viaggiare in fretta. Li attaccheremo appena toccano terra, cogliendoli alla sprovvista.”
La genialità del piano giaceva nella sua semplicità e immediatezza. Significava anche che lo scontro avrebbe avuto luogo molto lontano dalla capitale. Vars avrebbe potuto prendersi i meriti della vittoria, senza neanche essersi avvicinato alla guerra. Era il piano migliore, dopotutto.
“Io non credo sinceramente che…” esordì il Comandante Harr, ma Vars lo interruppe.
“Siamo in vantaggio,” disse. “Il nostro nemico crede di averci in trappola e di poter devastare il nord del nostro regno come vuole. Quella situazione non durerà a lungo. Penserà che i messaggeri voleranno a sud appena sbarca. Quindi dobbiamo agire adesso. Metteremo tutte le nostre forze in questo colpo decisivo e li stermineremo. Metteremo la testa di Re Ravin in cima a un palo e faremo capire a tutti che il Regno del Sud non doveva attaccarci, non doveva rapire mia sorella, uccidere mio fratello, per non parlare dell’omicidio di mio padre!”
A Vars non importava nessuna di queste cose, ma se coloro che erano sotto di lui vi tenevano, lui le avrebbe usate a sua convenienza.
Nonostante ciò, continuavano a discutere e a parlottare fra loro, quando avrebbero invece dovuto esultare al suo piano e cantare il suo nome. C’erano così tante persone che parlavano insieme, che Vars riusciva solo a udire qualche frammento dei loro discorsi.
“I precedenti storici sono preoccupanti…” affermò il capo degli Accademici.
“Una mossa tale significherebbe che dobbiamo sostenerne gli oneri,” si intromise un conte.
“…per non menzionare le conseguenze per il paesaggio attraverso il quale si muovono,” aggiunse uno dei cavalieri, come se i cavalieri ordinari potessero mettere bocca in tutto ciò.
Persino la donna dalla Casa dei Sospiri sembrò pensare di potersi intromettere, bisbigliando a chi aveva vicino parole che Vars non poteva sentire. Per sua sorpresa, alcuni di loro annuirono addirittura, come se qualcuno di quella Casa potesse saperne di più di guerra rispetto al reggente del re.
“…dovremmo aspettare gli ordini di Re Godwin appena si sveglia,” affermò un nobile e Vars poté avvertire la rabbia crescergli dentro.
Ancora una volta, Finnal si intromise, alzando le mani. “Signore e signori,” disse. “Abbiamo avuto milioni di occasioni per discutere di questo, ma è arrivato il tempo di agire. Il reggente del re ha preso una decisione per il bene del paese e sta a noi comportarci di conseguenza. Io, in quanto membro della sua famiglia e suo amico, so che il Reggente del Re Vars ha a cuore la sicurezza di tutti noi. Dobbiamo farlo; dobbiamo colpire le forze di Re Ravin che si trovano a nord tutti insieme!”
Quello ottenne un urrà e Vars gli fu grato, soprattutto quando vide che i cavalieri nella folla stavano iniziando a muoversi, dirigendosi in cortile per raccogliere le provviste. C’era un forte senso di soddisfazione che derivava dalla consapevolezza che le persone stavano facendo come aveva comandato, anche se era stato necessario l’aiuto di Finnal.
Allo stesso tempo, però, era arrabbiato. Arrabbiato che le persone gli avessero parlato sopra, lo avessero messo in discussione e guardato dall’alto, come fosse re solo di nome e non di fatto. Era una situazione che non poteva sopportare, una che non poteva permettere.
Doveva agire.
Re Ravin era in piedi sulla prua della sua nave ammiraglia, la sua armatura brillava come quella di un eroe, la sua corona giaceva sistemata sui suoi riccioli bruni e le sue mani erano adagiate sulla spada, per essere certo di apparire proprio come il re guerriero che era, mentre la sua armata si avvicinava alla costa vicina alla città di Astare.
Sentiva un’ondata di soddisfazione. Avvertiva sempre una specie di gioia quando si rendeva conto che le cose erano andate come le aveva pianificate, che si trattasse della conquista di una creatura cacciata, di una donna o di un regno.
Aveva provato la stessa soddisfazione quando aveva sottratto il trono a suo padre tanti anni prima, ne aveva avuto un assaggio a ogni gruppo di Taciturni che si era infiltrato nel Regno del Nord al suo comando, a ogni spia che gli aveva recapitato ulteriori dettagli sul paesaggio, sui villaggi, sulle scorte. Aveva pianificato con minuzia l’imminente conquista e, adesso, l’intera missione si stava dispiegando proprio come avrebbe dovuto.
Sapeva che i suoi uomini lo avrebbero guardato a quel punto, in attesa di ricevere ulteriori comandi. Una dozzina di navi stava già attaccando la città, ma le restanti attesero, tenute immobili sul posto dalla sua autorità. Nessun uomo avrebbe mai osato agire senza un suo comando, e non solo perché tutti sapevano che farlo avrebbe significato la morte loro e delle rispettive famiglie. Ogni uomo laggiù era consapevole di conoscere solo una parte dell’insieme, del fatto che solo il loro re comprendeva il piano nella sua interezza.
Così doveva essere: un re che sciorinava tutti i suoi piani non sarebbe rimasto re a lungo. Bastava pensare a quello stolto di suo padre, che aveva confidato a Ravin ogni suo pensiero, ogni idea. Aveva reso semplice unificare il regno una volta scomparso.
“Beh?” domandò Ravin, voltandosi verso il ponte della nave. I Comandanti aspettavano lì, uno della flotta, uno dei soldati e un terzo vestito con gli indumenti della gente comune come i Taciturni. C’era anche un accademico che portava un messaggio di un uccello messaggero. Dato che pareva il più terrorizzato, Ravin lo lasciò in attesa, indicando invece l’ammiraglio della flotta.
“Vostra maestà,” disse l’uomo. “Il viaggio da Leveros ha prodotto delle perdite minime. La squadra di perlustrazione ha fatto sbarcare le truppe come avete ordinato ed è adesso tornata in posizione con la flotta. Le altre navi aspettano i vostri ordini per procedere verso la costa.”
Ravin rivolse la sua attenzione al comandante delle truppe che aveva inviato ad Astare. “E tu?”
L’uomo fece un inchino. “Vostra maestà, l’assalto alla città sta già procedendo. Le difese sono minime e prevediamo di acquisirne il pieno controllo nel giro di poche ore. Gli uomini hanno ricevuto istruzione di uccidere chiunque opponga resistenza.”
“E i miei Taciturni?” chiese Ravin alla terza figura laggiù.
“Sono posizionati in insediamenti all’interno del regno, pronti a ricevere le vostre truppe nella marcia da Astare a Royalsport,” rispose l’uomo.
Re Ravin annuì. Alla fine, si voltò verso il messaggero spaventato. “Tu mi dirai che le mie forze a sud sono state sconfitte.”
Non era una domanda, ma l’uomo annuì. “Re Godwin è caduto nel combattimento e il Principe Rodry è morto, ma sono riusciti a recuperare la Principessa Lenore e il ponte è stato distrutto con le vostre forze sopra,” l’uomo quasi soffocò.
Re Ravin alzò le spalle e vide che il messaggero spalancò gli occhi sorpreso. “Pensavi che non lo avessi previsto?” chiese. “L’attacco a sud è sempre stato destinato a fallire; e che mi interessa se hanno recuperato la principessa?”
Non che la principessa non sarebbe diventata sua a tempo debito. Tutto nel Regno del Nord lo sarebbe diventato. Camminò a passo allungato al fianco della nave, scansionando la vastità della sua flotta. Infiniti uomini erano in piedi già pronti, prelevati da tutte le parti del suo regno. C’erano tribù dei deserti e abitanti delle città armati, ex pirati dalla costa e legionari schiavi che non avevano mai conosciuto altro che violenza. Erano tutti vestiti nel rosso dei suoi colori adesso e tutti indossavano la medesima armatura.
Quella era parte per cui questa invasione doveva succedere. Ravin aveva unificato il suo regno, conquistato tutti i piccoli dissidenti, distrutto coloro che potevano cercare di opporsi a lui, eppure sapeva che un uomo poteva tenere così tanto insieme solo con la forza. Era meglio a quel punto dare loro un sogno, una causa… un nemico. Dicendo loro che era arrivato il momento di affrontare il Regno del Nord, un migliaio di frammenti che avrebbero potuto lottare fra loro, si erano trasformati in un pugno chiuso con cui colpire.
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