Читать книгу «Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2» онлайн полностью📖 — Джека Марса — MyBook.
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“Significa che hanno preso il sommergibile per avvertirci,” disse Trudy. “Il Mar Nero è stato dei russi per generazioni. A eccezione della costa turca, è stato praticamente la loro vasca da bagno. Per anni non siamo riusciti a metterci dentro neanche una nave. Ora ci stanno dicendo che sono tornati e che non possiamo più mandargli mezzi spia come ci pare e piace.”

“Sì, ma è davvero così?” le domandò lui. “Sono tornati? Se entriamo lì e cerchiamo di salvare quegli uomini, finiamo in una trappola letale?”

La giovane donna scosse la testa, offrendogli un pallido sorriso. “No. Non sono tornati. Non ancora. Hanno tuttora il morale molto basso. Il loro centri di comando hanno poca autorità. La corruzione è ovunque. Moltissime infrastrutture ed equipaggiamento sono degradati o non funzionali. Con un piano intelligente e un attacco rapido, credo che potremo prenderli alla sprovvista. Non voglio sembrare troppo sicura, ma secondo me potremmo riuscire a salvare quegli uomini.”

Lui la fissò. Ripensò al suo piano per arrestare il mercenario rinnegato americano Edwin Lee Parr e i suoi miliziani in Iraq, e la sua valutazione ottimistica delle loro probabilità di vittoria. All’epoca Luke aveva provato ben poco rispetto per lei, per il suo piano e la sua valutazione.

Poi tutto si era svolto quasi come Trudy l’aveva descritto. Luke ed Ed avevano comunque dovuto andare di persona a sbrigare il lavoro, ma quello era scontato.

“Speriamo che tu abbia ragione.”

* * *

Luke era caduto in un sonno agitato. Fece sogni strani, spaventosi e mutevoli. Un salto nel vuoto notturno. Quando si buttò, il paracadute non si aprì. Sotto di lui c’erano le vaste acque di un fiume nero. Alligatori, a decine, lo guardarono cadere dal cielo. Si gettarono verso di lui. Ma aveva le gambe legate a una corda per bungee jumping. Rimbalzò, un salto al rallentatore, appena sopra l’acqua. Rimase con le braccia tese verso il basso e gli alligatori cercarono di morderlo.

Poi divenne giorno. Un elicottero Black Hawk era stato abbattuto e stava precipitando giù dal cielo. Il rotore sulla coda era sparito, il mezzo roteava fuori controllo e stava crollando verso terra. Luke stava correndo in mezzo a un campo, un vecchio stadio da calcio, in direzione dell’elicottero. Se fosse riuscito a raggiungerlo prima che arrivasse al suolo, avrebbe potuto prenderlo e salvare gli uomini a bordo. Ma l’erba cresceva tutto intorno a lui, si alzava e si arrotolava, afferrandogli le gambe, rallentandolo. Spalancò le braccia, sporgendosi… ma arrivò tardi. Era troppo tardi.

Dio, l’elicottero stava atterrando su un fianco. Ecco… che… arriva…

Si svegliò di colpo nel bel mezzo di una turbolenza. L’aereo sobbalzò, e seguì le correnti d’aria come se fosse sulle montagne russe. Luke si guardò intorno. Le luci erano spente. Per un momento non capì se era sveglio o se stava ancora dormendo. Poi notò il resto della sua squadra, stesi e addormentati in vari punti della cabina buia.

Guardò fuori dal finestrino, ma non vide nulla oltre alle luci lampeggianti sull’ala. Molto più in basso, l’oceano era vasto, infinito e nero. Si erano lasciati il sole alle spalle da parecchio, il giorno era ormai finito.

Volavano da ore, e il viaggio era ancora lungo.

Tra diverse ore, mano a mano che si fossero avvicinati a est, il cielo avrebbe iniziato a rischiararsi. Controllò l’orologio. A DC era appena passata la mezzanotte, che significava che a Sochi erano passate da poco le otto del mattino.

Fissare l’orologio gli diede il senso degli eventi che precipitavano. I russi potevano spostare quegli uomini quando volevano. Magari lo avevano già fatto quella notte.

Era frustrante essere intrappolato su quell’aereo mentre le lancette correvano.

Non aveva dormito molto, ma sapeva che non si sarebbe riaddormentato. Aveva molti pensieri per la testa. I fantasmi del suo passato. Becca e Gunner. Il futuro incerto di un bambino nato in un mondo terribile. Quella missione pericolosa.

Si alzò, andò nel piccolo cucinotto in fondo all’aereo. Superò Ed Newsam e Mark Swann, che stavano sonnecchiando sui lati opposti del corridoi, uno di fianco all’altro. Senza accendere la luce, riempì metà tazza di acqua calda e la mescolò con la polvere di caffè istantaneo. Lo preparò nero con solo un po’ di zucchero. La assaggiò. Eh. Non era cattivo. Prese una mela Danish avvolta nella plastica e tornò al suo posto.

Accese il faretto sopra la sua testa.

Guardò dall’altra parte del corridoio. Trudy dormiva, raggomitolata su se stessa. Era giovane per quel lavoro. Doveva essere bello sapere tante cose a quell’età. Ripensò a come era stato quando aveva avuto vent’anni. Era stato una specie di supereroe dozzinale, che reagiva correndo a testa bassa attraverso i muri. Non era stato un tipo molto riflessivo.

Scosse il capo e abbassò lo sguardo sui documenti che aveva in grembo. La ragazza gli aveva consegnato molti dati utili. C’erano immagini satellitari del cargo, inclusi i primi piani delle passerelle in cima e delle stanze dove si riteneva stessero tenendo gli uomini. Anche della stiva dove probabilmente si trovava il sommergibile.

Doveva ammettere che non lo considerava una sua priorità, ma sapeva che gli altri non concordavano. Volevano che il mezzo venisse distrutto. Okay. Se fosse stato possibile e non avesse messo in pericolo gli uomini, okay. L’avrebbe fatto.

Mmh. Che altro c’era? Parecchia roba. Le schematiche del cargo. Mappe e immagini satellitari delle strade della città tutt’intorno, i moli, e il lungo argine che proteggeva il porto dal Mar Nero. C’era un reportage con mappe di tutta l’area, con il grande stabilimento balneare di Sochi a nord, le acque aperte e il confine con la Georgia a sud, a breve distanza.

Così vicina eppure così lontana.

Che altro? Le analisi delle truppe al porto e nei vicini stabilimenti, che in realtà erano solo valide ipotesi. Le valutazioni delle capacità del primo intervento della città metropolitana di Sochi, che un tempo erano state buone ma attualmente erano sottofinanziate e mal gestite. La valutazione del morale: genericamente a terra. Le due disastrose guerre cecene e i successivi attacchi terroristici contro obiettivi civili, insieme alla tragedia del Kursk, aveva fatto cadere molte teste tra i pezzi grossi dell’esercito russo, e le truppe erano allo sbando.

Luke non ne dubitava. Lo shock dell’11 settembre, insieme alle ripetute battute d’arresto in Iraq e Afghanistan, e la pessima pubblicità fatta dalla stampa… aveva fatto lo stesso con il morale di molta gente dalla sua parte della barricata. L’equipaggiamento, l’addestramento e il personale americano erano in genere eccellenti, ma le persone erano persone, e quando c’erano problemi tutti ne soffrivano.

Lasciò che le informazioni si depositassero nella sua mente.

Don gli aveva promesso rinforzi una volta che fosse arrivato in Turchia, operativi sotto copertura con una profonda conoscenza del luogo, della lingua russa ed esperienza in operazioni segrete rapide e violente. Non gli aveva detto da dove sarebbero venuti, solo che sarebbero stati i migliori sulla piazza. Gli aveva promesso un modo con cui lui ed Ed, separatamente, sarebbero potuti entrare in Russia senza essere scoperti. Gli aveva promesso qualsiasi materiale avesse voluto, entro certi limiti: pistole, bombe, auto, aeroplani, tutto.

Un’immagine iniziò a prendere forma dentro di lui.

Già. Cominciò a delineare un piano. In un mondo ideale… se avesse avuto qualsiasi cosa avesse voluto… con l’elemento della sorpresa… totale impegno… movimenti rapidissimi…

Forse poteva funzionare.

* * *

“Un tempo mi chiamavano Mostro.”

Luke fissò Ed. Erano gli unici svegli, seduti in fondo all’aereo. Ma Luke stava iniziando a spegnersi. Davanti a loro Trudy era ancora raggomitolata su se stessa, e Swann era steso in maniera scomposta, con le lunghe gambe allungate attraverso il corridoio.

Le tende sui finestrini erano abbassate ma cominciavano a intravedersi i primi raggi di sole alle estremità. In qualsiasi parte del mondo si trovassero, ormai era mattina.

Lui aveva appena spiegato la missione a Ed, così come l’aveva immaginata. Pensava che l’altro uomo gli avrebbe dato un parere. Quella parte gli sembrava possibile? C’erano dei buchi di cui non si era accorto? Che tipo di armi avrebbero dovuto portare? Che genere di equipaggiamento dovevano usare?

Invece si sentì dire quella frase: “Un tempo mi chiamavano Mostro.”

Era l’unica risposta che gli serviva. Quell’uomo era davvero un mostro. Se fosse stato necessario, si sarebbe occupato di quel problema con metà piano e una manciata di chiodi arrugginiti.

“Chissà perché la cosa non mi sorprende,” commentò.

Ed scosse la testa. Anche lui era semi-addormentato. “Non per via della mia stazza. Perché ero malvagio. Sono cresciuto a Crenshaw, a Los Angeles. Il maggiore di quattro fratelli. La cosa più vicina a un supermercato nel quartiere era un negozio che vendeva liquori, biglietti della lotteria e lattine di zuppa e tonno. A volte mia madre non riusciva a pagare le bollette.

“Io mi sono detto: no-oh. Non può andare così. Non è giusto vivere in questa maniera, io cambierò le cose. Ho cominciato a lavorare in strada quando avevo dodici anni, cercando di guadagnare qualcosa. Arrivato a quindici frequentavo il peggio del peggio, e io ero il più cattivo di tutti. Non facevo che entrare e uscire dal riformatorio. Non stavo cambiando un bel niente.”

Ed sospirò pesantemente. “Per dieci volte ho rischiato di morire. Altra gente c’ha lasciato la pelle. Io ho visto da vicino i proiettili ben prima di andare in Iraq, in Afganistan, o in uno qualsiasi di quei posti classificati dove in teoria non sono mai stato.”

Socchiuse gli occhi e scosse la testa. “Sono finito davanti a un giudice quando avevo diciassette anni. Lei mi ha detto che ormai potevano processarmi da adulto. Avrei potuto passare anni in una prigione da bimbo grande. Oppure mi avrebbero sospeso la sentenza se mi fossi unito all’esercito degli Stati Uniti. Stava a me scegliere.”

Sorrise. “Che altro potevo fare? Mi sono arruolato. Sono arrivato all’addestramento base e subito il sergente istruttore, tale Brooks, mi ha preso di mira. Il Sergente Maggiore Nathan Brooks. Non gli piacevo e decise che doveva spezzarmi.”

“L’ha fatto?” chiese Luke. Non riusciva a immaginarselo, ma non era la prima volta che sentiva una storia simile. “Ti ha spezzato?”

Ed scoppiò a ridere. “Oh, certo. Mi ha distrutto. E poi l’ha fatto di nuovo. E di nuovo. Nessuno mi aveva mai conciato in quella maniera in tutta la mia vita. Capì immediatamente che uomo ero. Mi trasformò nel suo progetto personale. Mi disse: ‘Ti credi un duro, negro? Non sei un duro. Non sai nemmeno che significa essere un duro. Ma te lo farò vedere io.’”

“Era un bianco?” gli domandò lui.

L’altro scosse la testa. “Nah. Di quei tempi se un uomo bianco mi avesse chiamato negro lo avrei ucciso. Era un fratello, veniva da qualche parte del South Carolina. Non lo so. Comunque mi spaccò in due. E quando finì mi rimise insieme, un po’ meglio di prima. Così mi trasformò in qualcosa con cui l’esercito poteva lavorare, per fare qualcosa di buono di me.”

Per un momento rimase in silenzio. L’aeroplano sobbalzò in mezzo a una turbolenza.

“Non ho mai trovato la maniera per ringraziarlo.”

Luke scrollò le spalle. “Beh, non è finita. Mandagli dei fiori. Una cartolina di auguri, non lo so.”

Ed sorrise di nuovo, ma quella volta fu un’espressione malinconica. “È morto. Circa un anno fa. All’età di quarantatré anni. Era stato in servizio per venticinque, sarebbe potuto andare in pensione quando voleva. Invece pare che si sia offerto volontario per l’Iraq, e ce l’hanno mandato. Era in un convoglio finito in un’imboscata vicino a Mosul. Non conosco tutti i dettagli. L’ho visto su Stars and Stripes. A quanto pare era un ufficiale pluridecorato. Non lo sapevo quando era il mio sergente. Non me ne aveva mai parlato.”

Si interruppe. “E non gli ho mai detto che cosa significasse per me.”

“Probabilmente lo sapeva,” lo confortò Luke.

“Già. Probabilmente sì. Ma avrei dovuto dirglielo lo stesso.”

Lui non lo negò.

“Dove è tua madre?” chiese invece.

Ed scosse la testa. “Ancora a Crenshaw. Ho cercato di convincerla a trasferirsi a est insieme a me, ma non ne ha voluto sapere. Dice che tutti i suoi amici sono lì! Quindi io e mia sorella abbiamo fatto una colletta e le abbiamo comprato un piccolo bungalow a sei isolati dalla topaia dove abitavamo. Una quota del mio stipendio mensile serve a pagare il mutuo di quel posto. Proprio nel vecchio quartiere da cui volevo uscire a costo della vita stessa.”

Fece un lungo sospiro. “Almeno c’è cibo nel frigo e le bollette sono pagate. Immagino che non importi altro. Lei dice: ‘Nessuno mi dà fastidio. Sanno che sei mio figlio. E se mi infastidiscono ci penserai tu.’”

Luke sorrise. Ed fece lo stesso, e quella volta fu più genuino.

“È impossibile, amico.”

Lui dovette scoppiare a ridere. Dopo un momento Ed si unì a lui.

“Ascolta,” disse l’altro uomo. “Mi piace il tuo piano. Credo che possiamo farcela. Con un altro paio di uomini, quelli giusti…” Annuì. “Sì. È fattibile. Devo farmi un’altra quarantina di minuti di sonno, e forse verrà qualche idea anche a me e avrò qualcosa da aggiungere.”

“Per me sta bene,” replicò lui. “Non vedo l’ora, ma vorrei che nessuno della nostra squadra si facesse ammazzare là fuori.”

“Specialmente non noi,” aggiunse Ed.