Avrebbe la fuga di Maometto bastato per avventura a satisfare i Koreishiti, se temuto e presentito non avessero la vendetta d'un nemico il quale era in luogo ove intercettare il commercio loro per la Siria nel passaggio all'andata e al ritorno pel territorio di Medina. Lo stesso Abu-Sophian colla sola scorta di trenta o quaranta guerrieri guidava una caravana di mille cammelli, e fu tanto felice, o ben regolato, il suo viaggio che deluse la vigilanza del Profeta, ma seppe che i santi ladroni stavano in imboscata, spiando il suo ritorno. Spedì un corriere a' suoi fratelli della Mecca, i quali per il timore di perdere merci e munizioni volarono immantinenti a soccorrerlo con tutte le forze della città. La santa masnada dell'appostolo contava trecento tredici Musulmani, fra i quali settantasette fuorusciti, il resto ausiliari; non avea che settanta cammelli, che servivano alternativamente a ciascheduno di loro (i cammelli d'Yatreb erano terribili in guerra); ma tanta era la miseria de' suoi primi discepoli, che due soli erano coloro che potessero comparire a cavallo sul campo di battaglia145. Si trovava egli nella celebre e fertile vallata di Beder146, lungi tre giornate da Medina, quando le sue vedette l'avvisarono, che s'appressava da una parte la caravana, e dall'altra i Koreishiti con cento cavalli ed ottocento cinquanta fanti. Dopo breve deliberazione decise di sagrificare le ricchezze alla gloria ed alla vendetta; fece un piccolo trinceramento per coprire le sue genti e un ruscello d'acqua dolce che bagnava la valle. «O Dio, esclamò egli, mentre i Koreishiti calavano dalle colline, o Dio, chi più t'adorerà su la terra se i miei guerrieri periscono? – Animo, figli miei, stringete le file, scagliate i vostri dardi, e la vittoria è nostra». Dopo queste parole s'assise con Abubeker sopra un trono o cattedra147, ed invocò con gran fervore l'aiuto di Gabriele e di tremila angeli. Tenea fisso l'occhio sul campo di battaglia; già cedeano i suoi soldati, ed erano sul punto di rimanere sconfitti; quando il Profeta si slanciò dal trono, salì a cavallo, e gittò un pugno di sabbia in aria, gridando: «La faccia di coloro sia coperta d'obbrobrio.» I due eserciti, colpiti dal suono della sua voce, credettero vedere la squadra angelica da lui chiamata in soccorso148: tremarono i Koreishiti, e si diedero alla fuga: settanta de' più valorosi furono uccisi, e settanta prigionieri decorarono il primo trionfo dei fedeli. I morti furono spogliati e insultati: due prigionieri giudicati i più rei ebbero la morte, e gli altri pagarono pel riscatto quattromila dramme d'argento, che furono qualche compenso per la fuga della caravana; ma indarno i cammelli d'Abu-Sophian cercarono una nuova strada in mezzo al deserto e lungo l'Eufrate; pervenne ancora la vigilanza di Maometto a coglierli in via, e il bottino dovette essere considerevole, se, come è fama, la quinta parte dell'appostolo fu di ventimila dramme. Abu-Sophian irritato per la perdita pubblica e propria, ragunò un corpo di tremila uomini, fra' quali settecento armati di corazze e dugento cavalieri: tremila cammelli lo seguitarono, ed Henda, sua sposa, con quindici matrone della Mecca, batteva continuamente il tamburino per animare i soldati ed esaltare la grandezza di Hobal, la divinità più popolare della Caaba. Da novecento cinquanta credenti era difeso il vessillo di Maometto; la sproporzione del numero non era più grande di quel che fosse alla giornata di Beder, e tanta era la lor fiducia che la vinse su l'autorità divina, e su le ragioni umane che volle adoperare Maometto per dissuaderli dal combattere. La seconda battaglia si fece sul monte Ohud, lungi sei miglia da Medina al settentrione149: s'avanzarono i Koreishiti in forma di mezza luna, e Caled, il più terribile e il più fortunato de' guerrieri Arabi, conducea l'ala diritta della cavalleria. Maometto da bravo capitano collocò i suoi soldati sul pendìo del colle, e lasciò nel di dietro un distaccamento di cinquanta arcieri. La carica fu sì vigorosa che sbaragliò il centro degli idolatri, ma nell'inseguirli perdettero il vantaggio del terreno; gli arcieri abbandonarono il posto; gli uni e gli altri allettati dall'esca del bottino, disubbidirono al generale, e ruppero l'ordinanze. Allora l'intrepido Caled girando la sua cavalleria a' fianchi, e da tergo de' nemici, gridò ad alta voce che Maometto era stato ucciso. Avea questi di fatto sofferto un colpo di chiaverina nella faccia, e un sasso gli aveva spezzato due denti; ma in mezzo al disordine ed al terrore sgridava gl'infedeli feritori d'un Profeta, e benediva la mano amichevole che ne stagnava il sangue, e lo conduceva in luogo di sicurezza. Settanta martiri perdettero la vita pe' peccati del popolo; caddero orando, dice l'appostolo, e tenendo ciascuno abbracciato il corpo del commilitone morto con lui150: le femmine della Mecca inumanamente mutilarono i cadaveri, e la sposa di Abu-Sophian mangiò un brano delle viscere di Hamza, zio di Maometto. Poterono i Koreishiti godere del trionfo della loro superstizione, e sfogare il furore ond'erano invasi; ma il piccolo esercito di Maometto si riordinò prestamente sul campo di battaglia, senza avere però nè forza, nè coraggio per porre l'assedio a Medina. Nell'anno seguente fu assalito l'appostolo da diecimila nemici, e questa terza spedizione prese il nome ora dalle nazioni che marciavano sotto le bandiere d'Abu-Sophian, ora dalla fossa che fu scavata davanti alla città e al campo, dove, in numero di tremila, i Musulmani si tenevano trincerati. Evitò Maometto prudentemente un'azion generale: Alì si segnalò in un duello: la guerra si prolungò per venti giorni, indi i confederati si ritirarono. Una bufèra accompagnata da pioggia e da grandine rovesciò le lor tende: un avversario insidioso ne fomentava le dissensioni, e i Koreishiti nella diffalta de' loro alleati perdettero ogni speranza di atterrare il trono, o di fermar le conquiste dell'uomo invincibile che aveano proscritto151.
A. D. 623-627
Dalla scelta che volea far Maometto della città di Gerusalemme per primo Kebla dell'orazione, si manifesta l'inclinazione inspiratagli da' Giudei; ed era da desiderarsi, pe' temporali loro interessi, che avessero ravvisato nel Profeta arabo la speranza d'Israele, e il Messia ad essi promesso. L'ostinazione dei Giudei convertì in odio implacabile la sua affezione; perseguitò egli quel popolo sciagurato sino all'ultimo istante della sua vita, e pel suo duplice carattere d'appostolo e di conquistatore, avvenne che la sua persecuzione si stese a questo Mondo e nell'altro152. I Kainoka abitavano Medina, protetti dalla città: Maometto colse l'occasione d'un tumulto, nato a caso, per dichiarare che dovevano essi abbracciare la sua religione, o combattere. «Oimè, risposero sbigottiti gli Ebrei, noi non sappiamo trattare l'armi, ma perseveriamo nella credenza e nel culto de' padri nostri; e perchè vuoi tu ridurci alla necessità d'una giusta difesa?» Questa lotta disuguale si terminò in quindici giorni, e solo con estrema ripugnanza s'arrese il Profeta alle istanze de' suoi alleati, e fece grazia della vita a' prigioni, ma ne confiscò le ricchezze. Divennero più formidabili l'armi di questi in pugno a' Musulmani di quel che lo fossero state in lor mano, e settecento infelici esiliati dovettero colle mogli e co' figli mendicare un asilo su le frontiere della Sorìa. I più rei erano i Nadhiriti, per aver tentato d'assassinare il Profeta in una conferenza amichevole. Maometto ne assediò il castello distante da Medina tre miglia; ma quelli si difesero con tanto valore che ottennero una capitolazione decorosa; uscì la guarnigione a tamburo battente, e ricevette tutti gli onori di guerra. Aveano i Giudei suscitata la guerra de' Koreishiti, e vi si erano immischiati: dal punto che le nazioni si scostarono dalla fossa, Maometto, senza mai deporre l'arnese, s'incamminò nel giorno stesso ad estirpare la razza nemica dei figli di Koraidha. Dopo una resistenza di venticinque giorni, si arresero a discrezione. Fondavano qualche speranza nell'intervento de' loro alleati di Medina, ma avrebbero dovuto sapere che il fanatismo estingue l'umanità. Un vecchio venerando, al giudizio del quale si sottoposero volontari, pronunziò contro tutti la sentenza di morte. Settecento Ebrei incatenati furono condotti su la piazza del mercato, furono calati vivi nella fossa preparata pel supplizio e per la sepoltura loro, e il Profeta con occhio imperturbato mirò la strage de' suoi nemici disarmati. Da' Musulmani si ereditarono le pecore e i cammelli degli uccisi; trecento corazze, cinquecento picche, e mille lance furono la parte più utile delle spoglie. Chaibar, città antica e opulenta, lontana sei giornate al nord-est di Medina, era il centro della potenza degli Ebrei in Arabia; il suo territorio fertile, nel cuor del deserto, era sparso di piantagioni e di bestiame, e difeso da otto castella, molte delle quali imprendibili. Avea Maometto dugento cavalieri, e mille e quattrocento fanti; in una serie d'otto assedii laboriosi, che bisognava fare in maniera metodica, queste schiere furono esposte a' rischi, alla fatica e alla fame, e già i Capi più ardimentosi disperavano del buon successo. Rianimò l'appostolo la lor fedeltà e il coraggio citando le glorie d'Alì, ch'egli nomò il Leone di Dio. Forse si può credere per vero che la terribile scimitarra di questo tagliò in due un soldato Ebreo di statura gigantesca; ma sarebbe difficile per noi lodare il senno de' romanzieri, che ce lo rappresentano in atto di levare da' gangheri la porta d'una Fortezza, coprendo con quest'enorme scudo il braccio sinistro153. Dopo la resa delle castella, dovette la città di Chaibar sottomettersi al giogo. Il Capo della tribù fu messo alla tortura in presenza di Maometto, che voleva forzarlo a dichiarare in che luogo nascosti avesse i tesori: l'industria de' pastori e degli agricoltori ottenne un'indulgenza precaria; fu permesso che migliorassero il proprio patrimonio, ma a piacimento del vincitore, e a patto di dargli la metà della rendita. Sotto il regno di Omar, gli Ebrei di Chaibar furono trapiantati in Siria, e il Califfo notificò in quella occasione, che nel letto di morte aveagli il suo signore ordinato di cacciare dall'Arabia ogni religione che non fosse la vera154.
A. D. 629
Cinque volte al giorno volgea Maometto lo sguardo verso la Mecca155, e da' più santi e più forti impulsi sentiva in sè suscitata la smania di rientrare da conquistatore in quella città, e in quel Tempio, da cui era stato espulso; o vegliando, o dormendo, sempre avea davanti agli occhi la Caaba: egli interpretò certo suo sogno come una visione ed una profezia; spiegò la santa bandiera, e si lasciò sfuggire di bocca l'imprudente promessa di trionfo. Il suo viaggio da Medina alla Mecca non annunciava che una peregrinazione religiosa e pacifica; settanta cammelli ornati pel sacrificio precedeano la sua vanguardia. Rispettò il territorio sacro, e poterono i prigionieri, rimandati senza riscatto, divolgare la sua clemenza; ma come ebbe messo piede nella pianura, lontano dalla città una giornata, esclamò: «Coloro si sono vestiti di pelle di tigre». Fu arrestato dalla moltitudine e dal valore de' Koreishiti, e aveva a temere non gli Arabi del deserto, trattenuti sotto le sue insegne dalla speranza del bottino, abbandonassero poi e tradissero il lor capitano. In un momento l'imperterrito fanatico si trasformò in un freddo e circospetto politico, omise nel trattato co' Koreishiti la qualità di appostolo di Dio, segnò con essi e co' loro alleati una tregua di dieci anni; s'impegnò a restituire i fuggiaschi della Mecca che abbracciassero la sua religione, e ottenne solamente per patto l'umile privilegio d'entrare nella Mecca l'anno dopo, come amico, e di rimanervi tre giorni per terminare le cerimonie del pellegrinaggio. La vergogna e il dolore copersero come d'una nube la ritirata de' Musulmani, e per questo infelice successo poterono facilmente accusare d'impotenza un Profeta, che sì frequentemente avea spacciato le sue vittorie come pruova di sua missione. Nell'anno seguente, si risvegliarono alla vista della Mecca la fede e la speranza de' pellegrini: stavano le loro spade nel fodero; fecero sette volte il giro della Caaba su le pedate di Maometto; i Koreishiti s'erano ritirati su le colline; e Maometto, dopo le solite cerimonie, uscì nel quarto giorno della città. La sua divozione edificò sommamente il popolo; sorprese, divise, sedusse i Capi; e Caled e Amron, che poi doveano soggiogare la Siria e l'Egitto, abbandonarono in tempo l'idolatria che già era vicina a perdere tutto il credito. Vedendo Maometto che cresceva di potere per la sommissione delle tribù Arabe, raunò diecimila soldati pel conquisto della Mecca; e gl'idolatri, com'erano i più deboli, furono di leggieri convinti che fosse stata rotta la tregua. L'entusiasmo e la disciplina acceleravano i passi de' suoi guerrieri, e assicuravano il segreto della sua impresa. Finalmente da diecimila fuochi venne l'annunzio a' Koreishiti spaventati dell'intenzione, dell'avvicinamento e della forza irresistibile del nemico. Il fiero Abu-Sophian corse ad offrire le chiavi della città, ammirò quella sì varia moltitudine d'armi e di stendardi fatti passare alla sua presenza, osservò che il figlio d'Abdallah aveva acquistato un gran regno, e sotto la scimitarra d'Omar confessò essere Maometto l'appostolo del vero Dio. Macchiò il sangue romano il ritorno di Mario e Silla, e qui pure dal fanatismo della religione era stimolato il Profeta a trarre vendetta; e attizzati dalla memoria delle ingiurie sofferte avrebbero i suoi discepoli con grande ardore eseguito, o forse anticipato l'ordine della strage. Anzichè satisfare al risentimento proprio, e a quello delle sue soldatesche, Maometto proscritto e vittorioso156 perdonò a' suoi concittadini, e conciliò le fazioni della Mecca. Entrarono nella città i suoi soldati in tre colonne; ventotto cittadini perirono sotto il ferro di Caled. Maometto proscrisse undici uomini e sei donne; ma biasimò la crudeltà del suo luogotenente, e la sua clemenza o il disprezzo risparmiarono parecchi di coloro ch'egli avea già notati per vittime. I Capi de' Koreishiti si prostrarono a' suoi piedi, ed egli disse loro: «che potete aspettare da un uomo che avete oltraggiato? – Noi confidiamo nella generosità del nostro concittadino. – Nè confiderete in vano; andate; la vostra vita è sicura, e voi siete liberi.» Il popolo della Mecca meritò il suo perdono, dichiarandosi per l'Islamismo, e dopo un esiglio di sette anni, venne riconosciuto il missionario fuggiasco qual principe e Profeta del suo paese157; ma i trecento sessanta idoli della Caaba furono ignominiosamente abbruciati; fu purificato e abbellito il tempio di Dio, e per esempio alle generazioni future si sommise di nuovo l'appostolo a tutti i doveri di pellegrino; e con legge espressa fu vietato ad ogni miscredente il por piede sul territorio della santa città158.
A. D. 629-632
La conquista della Mecca si trasse dietro la fede e la sommessione delle Arabe tribù159, che secondo le vicende della fortuna riverito avevano, o spregiato, l'eloquenza e l'armi del Profeta. Anche oggi l'indifferenza per le cerimonie e opinioni religiose fa il carattere de' Beduini, ed è probabile che accettassero la dottrina del Corano in quella guisa con cui la professano, cioè senza pigliarsene gran briga. Taluni di loro peraltro, più ostinati degli altri, si mantennero fedeli alla religione, non che alla libertà de' lor avi, e con ragione fu detta per soprannome la guerra di Honano guerra degl'idoli, poichè Maometto aveva fatto voto di distruggerli, e i confederati di Tayef giurato di difenderli160. Frettolosamente, e di soppiatto, corsero quattromila idolatri ad assalire d'improvviso il conquistatore; guardavano con occhio di compassione la stupida negligenza de' Koreishiti; ma confidavano ne' voti e forse ne' soccorsi d'un popolo, che da sì poco tempo avea rinunciato a' suoi Dei, e s'era piegato sotto il giogo del suo nemico. Dispiegò il Profeta le bandiera di Medina e della Mecca; gran numero di Beduini si pose sotto i suoi stendardi, e vedendosi i Musulmani in numero di dodicimila, s'abbandonarono in braccio ad una imprudente e colpevole presunzione. Senza cautela discesero nella vallata di Honano: gli arcieri e frombolieri degli alleati aveano prese le alture; fu oppresso l'esercito di Maometto, perdè la disciplina, si smarrì di coraggio, e giubilarono i Koreishiti vedendoli esposti al rischio di perire. Già accerchiano il Profeta salito su la bianca mula; volle egli slanciarsi contro le lor picche per ottenere almeno una morte gloriosa; ma dieci de' suoi fedeli compagni gli fecero schermo coll'armi, e colla persona, e tre di loro furono uccisi a' suoi piedi. «Fratelli miei, esclamò egli a più riprese con dolore e sdegno, io sono il figlio d'Abdallah; sono l'appostolo della verità! O uomini! siate fermi nella fede; o Dio, mandaci il tuo soccorso!» Abbas suo zio, il quale simile agli eroi d'Omero aveva una forza ed un suono straordinario di voce, intronò la valle con un grido di promesse e di premii: i Musulmani fuggiaschi si ridussero da ogni banda al sacro stendardo, ed ebbe Maometto la consolazione di vedere riacceso in ogni cuore il fuoco guerriero: dal suo contegno ed esempio fu decisa in suo favore la battaglia, ed egli esortò le schiere vittoriose a lavare senza ritegno la propria vergogna nel sangue nemico. Dal campo di Honano corse alla volta di Tayef, città lontana sessanta miglia dalla Mecca al sud-est, il cui fertile territorio produce le frutta della Sorìa in mezzo al deserto dell'Arabia. Una tribù amica, esperta, non so come, nell'arte degli assedi, gli fornì arieti ed altre macchine, e un corpo di cinquecento operai; ma indarno offerse libertà agli schiavi di Tayef, invano infranse le proprie leggi schiantando le piante fruttifere, invano i minatori apersero le trincee, e le sue truppe salirono alla breccia. Dopo venti giorni d'assedio diede il segnale della ritratta, ma allontanandosi dalla piazza, cantò devotamente vittoria, e affettò di chiedere al cielo il pentimento e la salute di quella città incredula. L'impresa per altro fu fortunata, poichè il Profeta fece seimila prigionieri, prese ventiquattromila cammelli, quarantamila pecore, e quattromila once d'argento. Una tribù, che aveva combattuto a Honano, riscattò i prigioni col sagrificio de' suoi idoli; ma il Profeta per indennizzare i soldati cedette loro il quinto del bottino, soggiugnendo che avrebbe voluto a pro loro possedere tanti capi di bestiame, quanti erano gli alberi nella provincia di Tehama. In vece di gastigare la mala volontà de' Koreishiti, prese il partito, com'egli stesso diceva, di ridurli al silenzio procacciandosi l'affetto loro con grandi liberalità; Abu-Sophian ricevette per sè solo trecento cammelli e venti once d'argento, e la Mecca sinceramente abbracciò la religion del Corano. Ne fecero doglianza i fuggitivi e gli ausiliari
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