A. D. 613-622
Dalla superstizione e dalla gelosia era confermato nella incredulità il popolo della Mecca. Gli anziani della città, gli zii del Profeta, affettavano dispregio dell'ardimento d'un orfano che voleva figurare da riformatore del suo paese. Le pie preghiere di Maometto nella Caaba erano perseguitate dalle grida di Abu-Taleb: «Cittadini e pellegrini, gridava, non date orecchio al tentatore, non date retta alle sue empie novità: state invariabilmente attaccati al culto di Al Lata e Al Uzzah». Non ostante, questo vecchio Capo amava sempre il figlio d'Abdallah, e ne difendeva la persona e la riputazione contro gli assalti de' Koreishiti, la cui gelosia da lungo tempo era adontata dalla preminenza della famiglia di Hashem. Coprivano l'odio sotto il colore della religione; al tempo di Giobbe, il magistrato Arabo puniva il delitto d'empietà132, e Maometto era reo del delitto d'abbandonare e rinnegare gli Dei della sua nazione; ma la Polizia della Mecca era sì difettosa, che i Capi dei Koreishiti, anzi che accusare un reo, furono obbligati ad usare la persuasione o la violenza. Più volte si diressero ad Abu-Taleb con aria di rimprovero e di minaccia. «Tuo nipote, gli dissero, insulta la nostra religione, accusa d'ignoranza e di follìa i nostri saggi antenati; fallo tacere subitamente acciocchè non turbi e sollevi la città. Se prosegue così, sguaineremo la spada contro lui e i suoi aderenti, e tu renderai conto del sangue de' tuoi concittadini». Abu-Taleb potè pel suo credito e per la sua moderazione sottrarsi alla violenza di questa fazion religiosa. I più deboli o più timidi fra i discepoli di Maometto si ritrassero in Etiopia, e il Profeta andò in cerca d'asili in diversi luoghi, sia in città sia in campagna, che gli offrissero qualche sicurezza. Continuando a difenderlo la sua famiglia, il rimanente della tribù di Koreish s'impegnò a rinunziare ogni commercio co' figli di Hashem, a nulla comperare da loro, a nulla vendere ad essi, a non contrarre più matrimoni seco loro, ma a perseguitarli senza pietà finattanto che non consegnassero alla giustizia degli Dei Maometto. Questo decreto fu sospeso nella Caaba, ed esposto alla vista di tutta la nazione; gli emissari de' Koreishiti perseguitarono i Musulmani sin nel cuore dell'Affrica, assediarono il Profeta e i suoi più fidi discepoli, li privarono d'acqua, e con rappresaglie dall'una e dall'altra parte s'inviperì la reciproca animosità. Parve che una tregua, di poca durata, riconducesse la concordia, ma colla morte d'Abu-Taleb rimase abbandonato Maometto in balìa de' nemici; e la morte della fedele e generosa Cadijah gli levava ogni consolazione domestica. Abu-Sophian, Capo del ramo d'Ommiyah, succedette alla primaria dignità della repubblica della Mecca. Il quale, zelante adoratore degl'idoli, nemico mortale della famiglia di Hashem, convocò un'assemblea de' Koreishiti e de' loro alleati per decidere della sorte dell'appostolo. Imprigionandolo, si poteva provocare il suo coraggio ad atti di disperazione, ed esiliando un fanatico eloquente, e accetto al popolo, si potea da lui diffondere il male in tutte le province dell'Arabia. Fu decisa la sua morte, ma si convenne che per dividere il delitto e prevenire la vendetta degli Hashemiti, un Membro d'ognuna delle tribù gl'immergerebbe la spada nel petto. Da un angelo o da una spia fu informato di quella sentenza, nè vide scampo fuorchè nella fuga133. A mezza notte, accompagnato dal suo amico Abubeker, fuggì cheto cheto di casa; attendendo i sicari alla porta, ma rimasero ingannati dalla figura d'Alì, che dormiva nel letto dell'appostolo, vestito del suo abito verde. Ebbero rispetto i Koreishiti alla pietà del giovane eroe, ma in alcuni versi d'Alì, che sussistono ancora, abbiamo una descrizione commovente delle sue inquietudini, della sua tenerezza, della sua religiosa fiducia. Maometto e il suo compagno si tennero nascosti per tre giorni nella caverna di Thor, distante dalla Mecca una lega: quando imbruniva la notte, il figlio e la figlia d'Abubeker recavano ad essi i viveri, e le notizie di quel che nella città succedeva. I Koreishiti, che attentamente spiavano per tutti i dintorni, giunsero all'ingresso della caverna; ma la Providenza, dicesi, li deluse con un ragnatelo, e con un nido di colombo che erano situati in modo da persuadere che niuno vi fosse entrato. «Non siamo che due», diceva tremante Abubeker: «un terzo è con noi, rispose il Profeta, ed è Iddio medesimo». Rallentato che fu alquanto l'ardore delle persecuzioni, uscirono della spelonca i due fuggiaschi, e salirono su i lor cammelli; camminavano alla volta di Medina quando furono arrestati dagli emissari de' Koreishiti; a forza di preghiere e di promesse poterono scampare dalle lor mani. In quel critico momento avrebbe la lancia d'un Arabo cangiata la storia del Mondo. Questa fuga di Maometto, che passò dalla Mecca a Medina, stabilisce l'epoca memoranda dell'Egira134, che dopo dodici secoli segna ancora gli anni lunari delle nazioni Musulmane135.
A. D. 622
La religion del Coran sarebbe morta in culla, se non avesse Medina accolto con fede e con riverenza i santi esuli della Mecca. Medina, o la città che nomavasi Yatreb avanti che fosse consecrata come il trono del Profeta, era divisa fra due tribù, i Caregiti e gli Awsiti, dove i menomi accidenti di continuo risvegliavano l'odio ereditario; erano suoi umili alleati due colonie di Giudei che vantavano origine sacerdotale; senza convertire gli Arabi avevano introdotto fra loro quel genio della scienza e delle idee religiose che procacciò a Medina l'onore d'esserci soprannomata la città del Libro. Avendo le predicazioni di Maometto convertiti alcuni de' suoi cittadini più nobili venuti in pellegrinaggio alla Caaba, tornando a casa, diffusero la cognizione del vero Dio e del suo Profeta; e la novella alleanza de' Medinesi coll'appostolo fu ratificata dai loro deputati in due conferenze secrete, che si tennero la notte sur una collina dei sobborghi della Mecca. Nella prima, dieci Caregiti e due Awsiti si unirono di religione e d'affetto, e dichiararono in nome delle loro mogli, dei figli e dei fratelli assenti che per sempre professerebbero i dommi del Corano, e ne osserverebbero i precetti. Produsse la seconda un'associazione politica che fu il principio dell'impero de' Saraceni136. Settantatre uomini e due donne di Medina ebbero una solenne conferenza con Maometto, co' suoi alleati e co' suoi discepoli, e scambievolmente prestarono giuramento di fedeltà. Promisero gli abitanti di Medina in nome della loro città, che se sbandito fosse Maometto, lo riceverebbero come un alleato, che gli obbedirebbero come a Capo, e che lo difenderebbero sino all'ultima estremità con tanta costanza come le proprie mogli ed i figli. «Ma se vi richiama la vostra patria, dimandarono con un'inquietudine per lui onorevole, abbandonerete i vostri nuovi alleati? – Tutto ora è comune tra noi, rispose Maometto ridendo; il vostro sangue è mio sangue; mia la ruina vostra. Siamo avvinti gli uni agli altri dall'onore e dall'interesse. Io son l'amico vostro, e il nemico de' vostri nemici. – Ma se spendiamo la vita per voi, qual premio ne avremo? soggiunsero i deputati di Medina. – Il Paradiso, replicò Maometto. – Stendi dunque la mano», gridarono. L'appostolo stese la mano, ed essi rinnovellarono il giuramento di sommessione e di fedeltà. Ratificò il popolo questo trattato, e con unanime voto accettò l'Islamismo. Si rallegrarono gli abitanti di Medina per l'esilio di Maometto, ma tremavano per la sicurezza sua, e ne attesero con impazienza l'arrivo. Dopo un cammino pericoloso e rapido lungo la costa del mare, posò a Koba, situata a due miglia da Medina, e fece il suo pubblico ingresso sedici giorni dopo la fuga dalla Mecca. Gli andarono incontro cinquecento cittadini, e da ogni parte udì acclamazioni di fedeltà e di riverenza. Sedeva sopra un cammello femmina, coperto da un ombrello la testa, e davanti a lui era portato un turbante spiegato a guisa di stendardo. I suoi più prodi discepoli, dispersi dalla tempesta, si radunarono intorno a lui, e i suoi Musulmani, eguali tutti di merito si distinsero co' nomi di Mohageriani, e d'Ansari, fuggiaschi gli uni dalla Mecca, e gli altri ausiliari di Medina. Per soffocare ogni seme di gelosia, bravamente immaginò di congiugnere a due a due i primari tra loro con investirli di dritti e obbligandoli a legami fratellevoli. Dopo questa disposizione, Alì rimase solo, e amorevolmente dichiarò il Profeta sè voler essere compagno e fratello di quel giovane gentiluomo. Riuscì in tutto a bene questo espediente; e in pace e in guerra fu rispettata la santa fraternità, e le due parti studiarono di segnalarsi con generosa gara di coraggio e di fedeltà. Una sola volta addivenne che una contesa accidentale alcun poco turbò quella unione; un patriotta di Medina accusò i forestieri d'insolenza; lasciò travedere che si potevano cacciare, ma fu inteso con raccapriccio, e suo figlio si profferse vivacemente a recare al piè dell'appostolo la testa del proprio padre. Dal punto che Maometto stanziossi in Medina, esercitò i poteri di re e di gran Pontefice, e fu empietà il non piegare il capo a' decreti d'un giudice dalla sapienza divina inspirato. Ricevette egli in dono o comperò un piccolo pezzo di terra appartenente a due orfanelli137: quivi fabbricò una casa ed una moschea più venerande nella rozza loro semplicità che non i palagi ed i templi de' Califfi d'Assiria. Fece incidere nel suo suggello d'oro o d'argento il suo titolo di appostolo; quando faceva orazione, e predicava nell'assemblea, che tenevasi ogni settimana, si appoggiava al tronco d'una palma, e solamente lungo tempo dopo fece uso d'un seggio, o d'una cattedra di legno lavorata alla grossolana138. Dominava già da sei anni, quando mille e cinquecento Musulmani raccolti sotto le armi giurarono nuovamente fedeltà; e Maometto di bel nuovo promise loro assistenza sino alla morte dell'ultimo di loro, o al totale discioglimento della Lega. Nel campo medesimo ebbe a scorgere con maraviglia il deputato della Mecca quanta fosse l'attenzione de' fedeli alle parole, e ai sguardi del Profeta, la premura nel raccogliere sia gli sputi sia i capegli che gli cadevano, e l'acqua che serviva alle sue ablazioni; quasi tutte queste cose un grado avessero di profetica virtù. «Ho veduto, diss'egli, il Cosroe della Persia e il Cesare di Roma; ma non ho mai veduto un re così rispettato da' sudditi quanto lo è Maometto da' suoi compagni». Il devoto fervore del fanatismo in fatti si manifesta in guisa più energica e vera che la fredda e cerimoniosa servilità delle Corti.
Ogn'uomo, nello stato di natura, ha diritto d'impiegare la forza dell'armi in difesa della sua persona o delle sue proprietà, di respingere ed anche di prevenire la violenza de' nemici, e di continuare le ostilità sinattanto che abbia ottenuto una giusta soddisfazione, o che sia giunto a quell'ultimo segno ch'è stabilito per le rappresaglie. Nella libera società degli Arabi, i doveri di suddito e di cittadino non metteano un grave freno, e Maometto, adempiendo una missione di carità e di pace, era stato spogliato e sbandito dall'ingiustizia de' suoi concittadini. Per l'elezione fattane da un popolo independente, il fuoruscito della Mecca era stato elevato alla dignità di sovrano, e legittimamente avea ricevuta la prerogativa di formare alleanze, e di fare la guerra offensiva e difensiva. Suppliva la pienezza della potenza divina all'imperfezione de' suoi diritti, e diveniva il fondamento del suo potere: prese egli nelle sue nuove rivelazioni un'aria più feroce e più sanguinaria, pruova, che l'anteriore moderazione che usò era stata una conseguenza della sua debolezza139. Avea tentato le arti della persuasione, ma passato era il tempo della pazienza; dichiarò che Iddio gli comandava di propagare la religione col ferro, di abbattere i monumenti dell'idolatria, e di perseguitar le nazioni miscredenti senza rispetto a' giorni o a' mesi santi. Attribuì all'autore del Pentateuco e dell'Evangelo que' precetti di sangue che dal Corano ripetonsi ad ogni pagina; ma il carattere di dolcezza che si scorge nello stile dell'Evangelo permette di spiegare altrimenti quel passo equivoco ove sta scritto, che Gesù ha recato in terra non la pace, ma la spada; e non denno confondersi le sue virtù pazienti e modeste collo zelo intollerante de' principi e de' vescovi, che il nome disonorano di suoi discepoli. A giustificare questa guerra di religione, allegava con più esattezza Maometto140 l'esempio di Mosè, o quello de' Giudici e de' re d'Israello. Le leggi militari degli Ebrei sono anche più rigorose di quelle dell'Arabo legislatore141. Il Dio degli eserciti marciava in persona davanti a' Giudei; se una città resisteva, passavano a fil di spada i maschi senza distinzione: le sette nazioni di Canaan furono esterminate, nè il pentimento o la conversione valeano a sottrarle dall'inevitabile sentenza, per la quale non si dovea entro il recinto del lor dominio risparmiare veruna creatura vivente. Maometto almeno lasciò a' nemici la libertà di scegliere la sua amicizia, la sommessione, o la guerra. Come tosto professassero l'Islamismo, gli ammetteva a' vantaggi temporali o spirituali de' suoi primi discepoli, e li facea combattere sotto le bandiere medesime per la gloria della religione a cui s'erano addetti. Per lo più la sua clemenza era ligia al suo interesse, ma di rado conculcava il nemico atterrato, e par che prometta che per un tributo lascerà a' men colpevoli de' sudditi increduli il culto loro, o almeno l'imperfetta lor fede. Sin dal primo mese del suo regno eseguì quanto avea ne' suoi precetti statuito su la guerra religiosa, e inalberò il suo vessillo bianco davanti le porte di Medina; l'appostolo guerriero si trovò in persona a nove battaglie o a nove assedii142, e in dieci anni compiè da sè stesso, o coll'opera de' suoi luogotenenti, cinquanta imprese guerresche. Continuava egli, nella sua qualità d'Arabo, a esercitare le professioni di mercadante e di ladrone, e colle piccole scorrerie che andava facendo, per difendere o assaltare una caravana, disponeva a poco a poco le sue genti alla conquista dell'Arabia. Una legge divina avea regolato il comparto del bottino143
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