Читать бесплатно книгу «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10» Эдварда Гиббона полностью онлайн — MyBook
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A. D. 569-609

L'oscura e volgare origine che si attribuì a Maometto è una sciocca calunnia de' Cristiani69, i quali così adoperando danno più risalto al merito dell'avversario in vece di menomarlo. La discendenza sua da Ismaele era un privilegio, oppure una favola comune all'intera nazione70; ma se abietti o incerti erano i primi anelli della sua genealogia, provava una nobiltà purissima per più generazioni; discendea dalla tribù di Koreish, e dalla famiglia degli Hashemiti, i più illustri fra gli Arabi, principi della Mecca, e custodi ereditari della Caaba. Abdol-Motalleb, suo avo, era figlio di Hashem, cittadino ricco e generoso, che in tempo di carestia avea mantenuto co' guadagni del suo traffico i concittadini. La Mecca, sostentata dalla liberalità del padre, fu salvata dal coraggio del figlio. Il regno d'Yemen obbediva a' principi cristiani dell'Abissinia; avvenne che per un insulto ricevuto, Abrahah, loro vassallo, si determinò a vendicare l'onore della croce; una truppa d'elefanti e un esercito d'Affricani investirono la santa città. Si propose un accomodamento; nella prima conferenza, l'avo di Maometto domandò che fossero restituite le sue greggie. «E perchè, gli disse Abrahah, non implori piuttosto la mia clemenza in favore del tuo Tempio che ho minacciato?» «Perchè, replicò l'intrepido Capo, le greggie son mie, e la Caaba appartiene agli Dei, che ben sapranno difenderla contro l'oltraggio e il sacrilegio». La diffalta di viveri o il valore de' Koreishiti forzarono gli Abissini ad una ritratta obbrobriosa. Si ornò il racconto di quella sconfitta colla apparizione miracolosa d'uno stormo d'uccelli che fecero piovere una grandine di sassi su le teste infedeli, e la memoria di questa liberazione fu per lungo tempo celebrata sotto nome di Era dell'elefante71. La gloria d'Abdol-Motalleb fu rabbellita dalla felicità domestica; visse sino all'età di centodieci anni, e diede la vita a sei figlie e a tredici maschi. Abdallah, suo figlio prediletto, era il più bello e il più modesto giovanetto dell'Arabia; narrasi che nella prima notte delle sue nozze colla vezzosa Amina, della nobile stirpe degli Zahriti, duecento fanciulle morissero di gelosia e di rabbia. Maometto, o, più esattamente scrivendo, Mohammed, unico figlio di Abdallah e d'Amina, nacque alla Mecca quattro anni dopo la morte di Giustiniano, e due mesi dopo la sconfitta degli Abissini72, i quali, vincendo, introdotta avrebbero nella Caaba la religione cristiana. Ancora fanciullo perdette il padre, la madre e l'avolo. I suoi zii erano considerati assai, ed erano molti: nella division della successione non ebbe per sua parte che cinque cammelli ed una schiava d'Etiopia. Abu-Taleb, il più ragguardevole de' suoi zii, fu sua guida nell'interno della casa e fuori, in pace e in guerra73. Nella età di venticinque anni andò Maometto a servire Cadijah, ricca e nobile, vedova della Mecca, che in premio della sua fedeltà gli concedette ben tosto la sua mano e la sua fortuna. Il contratto matrimoniale dimostra, secondo la semplicità di que' tempi, l'amore scambievole di Maometto e di Cadijah, e lo rappresenta per l'uomo più costumato e gentile della tribù di Koreish. Lo sposo assegnò alla moglie per trattamento vedovile dodici once d'oro e venti cammelli che furono dati dallo zio74. Questa alleanza ripose il figlio d'Abdallah nel grado de' suoi antenati, e la saggia matrona fu paga delle domestiche di lui virtù, sinchè giunto all'età di quarant'anni75 assunse il titolo di Profeta, e predicò la religione del Corano.

Secondo la tradizione de' suoi compatriotti, Maometto76 era insigne per avvenenza, vantaggio esteriore dispregiato soltanto da quelli che nol possedono. Prima di favellare, sia in pubblico sia in privato, si conciliava già il favore degli astanti. Applaudivasi al suo contegno che annunciava un uomo autorevole, alla sua aria maestosa, al suo sguardo penetrante, al suo sorriso piacevole, alla lunga barba, alla fisonomia in cui si leggevano i sentimenti dell'anima, al gesto che cresceva forza alle sue parole. Nella familiarità della vita privata non si dipartiva mai dalla civiltà grave e cerimoniosa del suo paese; i suoi riguardi verso i ricchi e i potenti erano nobilitati dalla condiscendenza e affabilità con cui trattava i cittadini più poveri della Mecca. La franchezza delle sue maniere velava l'astuzia delle sue mire, e l'urbanità prendeva in lui le sembianze d'affetto per la persona a cui parlava, o quelle d'una benevolenza generale. Vasta era e sicura la sua memoria, agevole l'ingegno e adatto alla società, sublime l'immaginazione, e il giudizio chiaro, pronto, decisivo. Aveva coraggio nel pensare come nell'operare, e benchè sia da credersi che i suoi disegni si allargarono gradatamente a seconda del buon esito, la prima idea che concepì della sua missione profetica porta l'impronto d'un ingegno straordinario. Educato in grembo alla famiglia più nobile del paese, avevane preso l'abito di parlare il più puro dialetto degli Arabi; e sapea contenere la facilità e l'abbondanza del discorso, e accrescerne il pregio con un silenzio usato a luogo e tempo. Con tutti questi doni dell'eloquenza, non era in fin fine Maometto che un Barbaro ignorante: non se gli era insegnato quand'era giovane, a leggere, nè a scrivere77; la universale ignoranza lo assolvea da vergogna e da rimprovero; ma fra limiti angusti era imprigionato il suo spirito, e mancava di quegli specchi fedeli che riflettono su la mente nostra i pensamenti de' saggi e degli eroi. Veramente il gran libro della Natura stava aperto davanti a' suoi occhi; nondimeno debbonsi attribuire agli autori della sua vita le osservazioni politiche e filosofiche che ne' suoi viaggi gli prestano78. Lo veggiamo, la mercè loro, fare confronti di tutte le nazioni e di tutte le religioni della terra, scoprire la debolezza della monarchia della Persia e di quella di Roma, osservare con isdegno e compassione il suo secolo degenerato, e formare il divisamento di unire sotto uno stesso re e uno stesso Dio l'invitto valore e le virtù prische degli Arabi. Più esatte indagini ci avvertono che Maometto non avea veduto le Corti, gli eserciti, i Templi dell'oriente; che consistettero i suoi viaggi nell'attraversare la Siria andando due volte alle fiere di Bostra e di Damasco; che avea soli tredici anni quando accompagnò la caravana dello zio, e dovè ritornare alla casa di Cadijah tosto ch'ebbe spacciate le merci da lei affidategli. Nelle sue corse precipitose e negligenti potè l'occhio acuto del suo grande intelletto penetrare cose invisibili pe' suoi rozzi compagni: potè quello spirito fecondo ricevere i semi di varie cognizioni; ma l'ignoranza in cui era dell'idioma siriaco avrà poi repressa moltissimo la sua curiosità, e di fatto io non iscorgo nella vita e negli scritti di Maometto che siensi mai allargate le sue mire oltre i confini dell'Arabia. La divozione e il commercio conduceano ogn'anno alla Mecca pellegrini da ogni Cantone di quella romita parte del globo. Per le libere comunicazioni vigenti fra questa moltitudine di persone poteva un cittadino qualunque aver modo di studiare nella lingua nativa lo stato politico e il carattere delle varie tribù, la dottrina e la pratica de' Giudei e de' Cristiani. Poteano gli Arabi aver avuta occasione d'esercitare l'ospitalità con alcuni stranieri utili ad essi, colà guidati da genio o da necessità, e i nemici di Maometto nominarono un Giudeo, un Persiano e un Monaco siriaco come cooperatori secreti nel comporre il Corano79. Il conversare arricchisce d'idee l'intelletto, ma la solitudine è la scuola del grand'uomo, e l'uniformità di un'opera annuncia la mano d'un autor solo. Si era dato Maometto interamente alla contemplazione religiosa; ogni anno si allontanava dalla gente non che dalle braccia di Cadijah nel mese di Ramadan; si ritraeva nel fondo della spelonca di Hera, distante tre miglia della Mecca80: quivi consultava lo spirito di frode o quello del fanatismo, il soggiorno del quale non è già in cielo, ma nella mente del profeta. Non vi ha che un Dio, e Maometto è l'appostolo di Dio: tale è la fede, che sotto nome d'Islam, predicò egli alla sua famiglia e alla sua nazione, e che così comprende una verità eterna, ed una favola evidente.

È lecito agli Apologisti della religione giudaica l'insuperbirsi perchè, in tempo che le favole del politeismo illudevano le nazioni dotte dell'antichità, da' lor semplici antenati serbavasi nella Palestina la cognizione e il culto del vero Dio. Non è agevol cosa81 il conciliare gli attributi morali di Jehovah colla norma delle virtù umane; le sue qualità metafisiche sono esposte in un modo oscurissimo; ma ogni pagina del Pentateuco e dei profeti attesta il suo potere: l'unità del suo nome è stampata su la tavola prima della legge, nè mai il suo santuario è macchiato da veruna immagine visibile della Essenza invisibile. Dopo distrutto il Tempio di Gerusalemme, la devozione spirituale della sinagoga depurò, determinò, illuminò la fede degli Ebrei proscritti; nè basta l'autorità di Maometto a giustificare il rimprovero ch'egli ha sempre fatto ai Giudei della Mecca o di Medina d'adorare Ezra come figlio di Dio82. Ma gli uomini d'Israello più non componevano un popolo, e tutte le religioni del Mondo aveano il torto realissimo agli occhi di quel Profeta, di dare e figli e figlie e colleghi al Dio supremo. Nella goffa idolatria degli Arabi si appalesa senza velo e senza sutterfugio questa pluralità; e malamente si salvavano i Sabei da tale accusa, colla preminenza che davano nella gerarchia celeste al primo pianeta o intelligenza; e nel sistema de' Magi la lotta de' due principii tradisce l'imperfezione del principio vittorioso. Parea che i cristiani del settimo secolo fossero a poco a poco ricaduti nella idolatria83; volgeano preghiere in pubblico ed in secreto alle reliquie e alle immagini che deturpavano i Templi d'Oriente; una folla di martiri, di santi, d'angeli, oggetti della venerazion popolare, offuscavano il trono dall'Onnipotente, e i Colliridii, eretici che nel fertile suolo d'Arabia fiorivano, alla Vergine Maria conferivano il titolo e gli onori di Dea84. Sembra che al principio dell'Unità Divina s'oppongano i misteri della Trinità e dell'Incarnazione. L'idea che naturalmente presentano è quella di tre Divinità uguali, e della trasformazione dell'uomo Gesù nella sostanza del figlio di Dio85. La spiegazione che danno gli ortodossi86 satisfa soltanto un credente: una curiosità, ed uno zelo smoderato aveano rotto il velo del santuario, e ciascuna Setta dell'oriente avea premura di confessare che l'altre tutte meritavano il rimprovero di idolatria e di politeismo. Il simbolo di Maometto non dà su questa materia motivo di sospetto, nè di equivoco. Il Profeta della Mecca rigettò il culto degl'idoli e degli uomini, delle stelle e de' pianeti, per quel ragionevole principio che tutto ciò che si leva dee tramontare, ciò che riceve vita dee morire, ciò che è corruttibile dee guastarsi e dissolversi87. Il suo entusiasmo, regolato dalla ragione, adorava nel Creatore dell'Universo un Essere eterno e infinito che non ha forma, nè occupa spazio, che non ha generato nulla, e a cui nulla si rassomiglia; che è presente a' nostri più occulti pensieri, che esiste per necessità della sua natura, e che da sè trae tutte quante le sue morali e intellettuali perfezioni. I discepoli del Profeta costantemente aderiscono a sì grandi verità88, e gl'interpreti del Corano le spiegano colla precisione de' metafisici. Un filosofo deista potrebbe sottoscriversi al simbolo popolare de' Musulmani89, simbolo per avventura troppo sublime per le attuali facoltà dell'uomo; ed in fatti come mai la sua immaginazione od anche l'intelligenza sua potrebbero comprendere una sostanza incognito, quando da questa si separano tutto le idee di tempo e di spazio, di moto e di materia, di sensazione e di riflessione? La voce di Maometto confermò questo primo principio dell'unità di Dio insegnata dalla ragione e dalla rivelazione; i suoi proseliti dalle frontiere dell'India a quelle di Marocco, sono distinti dal nome d'unitari, e coll'interdizion delle immagini s'andò incontro al pericolo dell'idolatria. Da' Maomettani fu ammessa con rigorosa osservanza la dottrina de' decreti eterni, e della predestinazione assoluta, e studiansi essi inutilmente di concordare la prescienza di Dio colla libertà dell'uomo, col suo merito, o demerito, non che di spiegare l'esistenza del male in un Mondo governato da una potenza e bontà infinita.

Il Dio della natura ha posto in tutte le sue opere la pruova della sua esistenza, e ha scolpito la sua legge nel cuore dell'uomo; i profeti di tutti i tempi hanno avuto la vera o apparente mira di dare a conoscere agli uomini l'Ente supremo, e di rinvigorire la pratica della morale. Maometto non negava a' suoi predecessori quel credito che pretendeva per sè, e riconosceva una serie d'uomini ispirati dalla caduta del nostro primo padre sino alla promulgazione del Corano90. Durante quell'epoca, egli diceva, centoventiquattromila eletti, singolari per favori ricevuti e per virtù, hanno ottenuto qualche raggio della luce profetica; trecento tredici appostoli sono stati specialmente inviati a distogliere i loro concittadini dall'idolatria e dal vizio; lo Spirito Santo ha dettato cento quattro volumi; e sei legislatori d'una fama trascendente hanno annunciato al Mondo sei rivelazioni successive; per cui si variavano le cerimonie d'una religione immutabile. Adamo, Noè, Abramo, Mosè, Gesù Cristo e Maometto sono i sei legislatori gradatamente eminenti in modo, che ognun di loro è superiore a que' che lo precedono. Egli metteva nel numero degl'Infedeli chi odiava o negava fede a qualcuno di questi Legislatori. Non sussistevano le scritture de' Patriarchi se non se nelle copie apocrife de' Greci e dei Sirii91: non s'era meritato Adamo alcun dritto alla gratitudine e al rispetto de' figli; una classe inferiore de' proseliti della sinagoga osservava i sette precetti di Noè92, e i Sabei onoravano in certo modo la memoria d'Abramo nella Caldea, ove era nato il patriarca. Aggiugnea Maometto che fra le miriadi parecchie di profeti da Dio inspirati, Mosè e Gesù Cristo soli viveano e regnavano ancora, e che quanto rimaneva degli scritti inspirati era registrato ne' libri dell'antico e nuovo Testamento. Il Corano93 ha consecrata e abbellita la storia miracolosa di Mosè, e possono i Giudei vendicarsi della lor cattività col vanto di vedere accettati i lor dommi dalle nazioni, delle quali essi beffano i simboli di fede più moderni. Il Profeta dei Musulmani palesa una gran riverenza per l'Autore del cristianesimo94. «Gesù Cristo, figlio di Maria, dice egli, è veracemente l'appostolo di Dio, egli è la sua parola mandata nel grembo di Maria; è uno spirito che da lui procede: merita onore in questo Mondo e nell'altro: egli è di quelli che più s'avvicinano alla faccia di Dio95». Esso poi accumula sul capo di lui le meraviglie e de' Vangeli veri e degli aprocrifi96, nè la Chiesa latina97 ha sdegnato di pigliare in prestito dal Corano l'immacolata Concezione della Vergine madre98. Osserva peraltro che Gesù non era che un mortale, e che nel dì del Giudizio farà testimonianza contro i Giudei che non vogliono riconoscerlo per profeta, e contro i Cristiani che l'adorano come figlio di Dio. La malignità de' suoi nemici macchiò la sua riputazione, e cospirò contro la sua vita, ma non ne fu peccaminosa che l'intenzione; un fantasma o un malfattore99 gli fu sostituito su la croce, e il Santo immacolato salì al settimo cielo100. L'Evangelo fu per sei secoli la via della verità e della salute; ma i cristiani a poco a poco posero in dimenticanza le leggi e l'esempio del fondatore, e apprese Maometto dai Gnostici ad incolpare e la chiesa e la sinagoga d'aver esse corrotto il sacro testo101. Mosè e Gesù Cristo si rallegrarono per la certezza della venuta d'un profeta più illustre di loro. La promessa102 del Paracleto, o Spirito Santo, fatta dall'Evangelo, fu adempiuta nel nome e nella persona di Maometto103, il più grande e l'ultimo degli appostoli di Dio.

A comunicare le idee è necessaria la corrispondenza del linguaggio co' pensieri: nulla otterrebbe il discorso d'un filosofo nell'orecchio d'un paesano; ma quale differenza impercettibile è mai quella che si rinviene nelle loro intelligenze paragonate insieme, e quella che si scopre nel contatto d'una intelligenza finita con una infinita, la parola di Dio espressa dalla parola o dallo scritto d'un mortale! Può l'ispirazione de' profeti ebrei, degli appostoli, degli evangelisti di Gesù Cristo, non essere incompatibile coll'esercizio della loro ragione e memoria, e lo stile e la composizione de' libri nell'antico e nuovo Testamento dimostrano assai la diversità del loro ingegno. Si contentò Maometto alla figura più modesta, ma più sublime, di semplice editore; secondo lui e i suoi discepoli, la sostanza del Corano104

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