Volendo studiare le nazioni e gli uomini, conviene investigare le cagioni che tendono ad accostarli o a disgiungerli, che restringono o estendono, addolciscono o inaspriscono il carattere sociale. Segregati dal rimanente degli uomini, s'abituarono gli Arabi a confondere le idee di forestieri e di nemici, e la povertà del suolo diffuse fra loro un principio di giurisprudenza, che sempre ammisero, e posero in pratica. Pretendono che nel comparto della Terra, gli altri rami della gran famiglia abbiano avuto in sorte i climi ubertosi e felici, e che la posterità di Ismaele, proscritta e dispersa, abbia il dritto di rivendicare, coll'artificio e colla violenza, quella parte d'eredità che le fu ingiustamente negata. Secondo l'osservazione di Plinio, le tribù Arabe sono dedite al ladroneccio del pari che al traffico, assoggettano a contribuzioni o a spoglio le caravane che attraversano il deserto, e sin da' tempi di Giobbe e di Sesostri37, furono i lor vicini le vittime di loro rapacità. Se un Beduino vede da lungi un viaggiatore solitario, gli corre addosso furiosamente, gridando: «Spogliati: tua zia (mia moglie) è senza veste». Se quegli si sottomette subito, ha diritto alla clemenza dell'Arabo; ma la menoma resistenza lo irrita, e il sangue dell'assalito debbo espiare quello che sarebbe stato versato per la difesa. Chi spoglia i passeggeri da sè solo, o con pochi compagni, è trattato da ladro, ma le imprese d'una truppa numerosa prendono qualità di guerra legittima ed onorata. Le disposizioni violente d'un popolo armato così contro il genere umano s'erano inviperite per l'abito di saccheggiare, d'assassinare, di far vendette approvate da' costumi domestici. Nell'odierna costituzione dell'Europa, il dritto di far pace o guerra appartiene a pochi principi, e ancora più pochi son quelli che in fatto esercitano questo dritto; ma poteva impunemente ogni Arabo, ed anche con gloria, volgere la punta della sua chiaverina contro un concittadino. Qualche somiglianza d'idiomi e di usanze erano quel solo vincolo che congiugneva queste tribù in Corpo di nazione, ed in ogni Comunità era impotente e muta la giurisdizione del magistrato: dalla tradizione si ricordano mille e settecento battaglie38 accadute in que' tempi di ignoranza che precedettero Maometto: per l'animosità delle fazioni civili più acerbe facevansi le ostilità, e il racconto in prosa o in versi d'un'antica contesa bastava a riaccendere le stesse passioni nei discendenti delle popolazioni nemiche. Nella vita privata, ogn'uomo, o per lo meno ogni famiglia, era giudice o vindice della causa propria. Quella delicatezza d'onore che valuta più l'oltraggio che il danno, avvelena mortalmente ogni lite degli Arabi; facilmente s'offende l'onore delle lor mogli e delle lor barbe: un atto indecente, un motto frizzante non può espiarsi altramente che col sangue del reo, e tanto è paziente il lor odio nel temporeggiare, che aspettano per mesi ed anni l'occasione di vendicarsi. I Barbari di tutti i secoli hanno ammesso un'ammenda o un compenso per l'omicidio, ma nell'Arabia hanno i parenti del morto l'arbitrio d'accettare la soddisfazione, o di praticare colle proprio mani il diritto di rappresaglia. La loro rabbia giugne alla sottigliezza di ricusare anche la testa del nemico, di sostituire un innocente al colpevole, di rovesciare la pena sul migliore e sul più ragguardevole degli individui di quella razza di cui si dolgono. Se perisce per lor mano, sono esposti essi pure al pericolo delle rappresaglie: vanno ad accumularsi insieme l'interesse e il capitale di questo sanguinario debito, per modo che i Membri delle due famiglie passano i giorni a tendere, e a temere agguati, e tante volte occorre un mezzo secolo a saldare finalmente questa partita di vendetta39. Siffatta inclinazion micidiale, che non conosce nè pietà, nè indulgenza, è stata peraltro temperata dalle massime dell'onore, che vuole in ogn'incontro privato una specie d'eguaglianza d'età e di forza, di numero e d'armi. Prima di Maometto, celebravano gli Arabi un'annua solennità per due o quattro mesi, durante la quale, dimenticando le nimicizie straniere o domestiche, lasciavano religiosamente in riposo le armi, e questa tregua parziale ci offre meglio l'idea delle loro abitudini di anarchia e di ostilità40.
Ma questo ardore di rapina e di vendetta era mitigato dal commercio, ed anche dal gusto per la litteratura. I popoli più civili del Mondo antico circondano la penisola solitaria in cui giace l'Arabia; il mercadante è amico di tutte le nazioni, e le caravane annuali recavano alle città, ed anche ne' campi del deserto, i primi albori di luce, e i primi semi di gentilezza. Qualunque siasi la genealogia degli Arabi, derivò la lor lingua della fonte medesima dell'ebrea, della siriaca, della caldaica: le diversità di dialetto che si notano fra le varie tribù, sono pruova della loro independenza41, e tutte, dopo il nativo idioma, preferiscono quello semplice e chiaro della Mecca. Nell'Arabia, siccome già nella Grecia, la lingua ha fatto più rapidi progressi che non i costumi; ottanta erano le parole per significare il mele, dugento per denotare il serpente, cinquecento per un lione, mille per una spada, in un tempo che questo copioso vocabolario non si conservava ancora che nella memoria d'un popolo illetterato. Nelle iscrizioni de' monumenti degli Omeriti si trovano caratteri mistici e non usati, ma le letture cufiche le quali sono il fondamento dell'alfabeto moderno, inventate furono sulle rive dell'Eufrate, e poco dopo introdotte alla Mecca da un forestiero, che quivi si domiciliò dopo la nascita di Maometto. L'eloquenza naturale degli Arabi era estranea alle regole grammaticali, poetiche, e rettoriche, ma avevan essi gran sagacità, ricca fantasia, frasi energiche e sentenziose42; i loro discorsi composti, pronunciati con gran forza, facevano molta impressione sull'uditorio. L'ingegno e il valore d'un poeta nascente erano dalla sua tribù, e dalle alleate per tutto decantati. S'imbandiva un solenne banchetto; un coro di donne battendo i timballi, in un assetto da giorno nuziale, cantavano davanti a' figli e agli sposi la fortuna della loro tribù; erano vicendevoli le congratulazioni pel nuovo campione che s'apparecchiava a sostenere le loro ragioni, pel nuovo eroe che doveva immortalare il lor nome. Le tribù più remote e le più nemiche fra loro, andavano ad una fiera annuale, abolita poi dal fanatismo de' primi Musulmani, e siffatta assemblea nazionale debbe pure aver contribuito molto a dirozzare, ed a familiarizzare insieme que' Barbari. Trenta giorni spendeansi a permutare biada e vino, non che a recitare componimenti d'eloquenza e di poesia. La magnanima gara de' poeti veniva disputando il premio, e l'Opera che ottenea la corona si deponeva negli archivi de' principi e degli Emiri: furono recati in idioma inglese i sette poemi originali impressi in lettere d'oro, e appesi nel tempio della Mecca43. I poeti Arabi erano gli storici e i moralisti del loro secolo; e se partecipavano a' pregiudizii de' concittadini, incoraggiavano almeno e premiavano la virtù. Godevano cantando l'unione della generosità e del valore, e ne' sarcasmi contro qualche tribù spregevole, il più amaro rimbrotto era questo, che gli uomini non sapeano dare, e le donne non sapeano rifiutare44. Ne' campi degli Arabi si scontra quella ospitalità, che si usava da Abramo, e che si cantava da Omero. I feroci Beduini, terrore del deserto, accolgono, senza esame e senza esitazione, lo straniero che osa affidarsi all'onore di quelli, e porre il piede nelle lor tende. Sono trattati con amicizia e con riguardo. Egli entra a parte della ricchezza o della povertà del suo ospite, e quando ha passato riposo, viene rimesso in via, con ringraziamenti, con benedizioni, e fors'anche con donativi. Danno gli Arabi anche pruove di più generosa cordialità verso i fratelli, e gli amici che sono in bisogno: gli atti eroici che loro meritarono gli encomii di tutte le tribù sono senza dubbio di quelli che trapassavano, anche ai lor occhi, gli angusti limiti della prudenza e dell'uso comune. Si faceano dispute per sapere quale tra i cittadini della Mecca superasse gli altri in generosità: per metterli a la pruova, un giorno si rivolsero a tre di quelli, fra cui erano bilanciati i suffragi. Abdallah, figlio d'Abbas, partiva per un lungo viaggio: avea già il piede nella staffa, quando un pellegrino fattosi a lui dinnanzi gli volse queste parole: «figlio dello zio dell'apostolo divino, vedi un viaggiatore, che è miserabile.» Abdallah smontò subito da cavallo, offerse al supplicante il proprio cammello, col suo ricco vestiario, e con una borsa di quattromila monete d'oro; non ritenne che la spada, sia perchè fosse di buona tempera, sia che ricevuta l'avesse da un parente rispettato. Il servo di Kais disse al secondo supplicante: «il mio padrone dorme, ma tu ricevi quella borsa di settemila monete d'oro: questo è quanto abbiamo in casa: eccoti di più un ordine, a vista del quale ti sarà dato un cammello e uno schiavo». Il padrone, quando fu desto, diede gran lodi al suo fedele ministro, e lo fece libero, con un mite rimprovero di avere, rispettando il suo sonno, messo limiti alla sua liberalità. Il cieco Arabah era l'ultimo de' tre Eroi: mentre il mendico ricorse a lui, camminava appoggiato sulla spalla di due schiavi: «oimè, esclamò, i miei forzieri son voti; ma tu puoi vendere questi due schiavi: e quando tu non li accettassi, io non li voglio più.» A queste parole, respinse da sè i due schiavi, o cercò brancollando l'appoggio d'una muraglia. Abbiamo in Hatem un perfetto modello delle virtù degli Arabi45: era prode, liberale, poeta eloquente, ladro scaltrito: metteva ad arrostire quaranta cammelli per li suoi conviti ospitali, e se un nemico veniva supplichevole, gli restituiva i prigioni, e il bottino. L'independenza de' suoi concittadini non curava le leggi della giustizia, ma tutti orgogliosamente seguivano il libero impulso della compassione e della benevolenza.
Gli Arabi46, simili agl'Indiani in questo, adoravano il sole, la luna, le stelle, superstizione affatto naturale, che pur fu quella dei primi popoli. Pare che quegli astri luminosi offrano in cielo l'immagine visibile della Divinità: il numero e la distanza loro danno al filosofo, come al volgo, l'idea di uno spazio illimitato; sta un'impronta d'eternità su que' globi che non sembrano soggetti nè a corruzione, nè a deperimento, e pare che il loro movimento regolare annunci un principio di ragione o d'istinto, e la loro reale o immaginaria influenza mantiene l'uomo nella vana idea che oggetto speciale delle lor cure sieno la terra e i suoi abitatori. Babilonia coltivò l'astronomia come una scienza, ma non aveano gli Arabi altra scuola, nè altra specola fuorchè un cielo limpido, e un territorio tutto piano. Ne' lor viaggi notturni prendeano a guida le stelle; mossi da curiosità, o da divozione, ne aveano imparato i nomi, le situazioni relative e il luogo del cielo ove comparivano ogni giorno: dall'esperienza aveano appreso a dividere in ventotto parti lo Zodiaco della luna e a benedire le costellazioni che versavano piogge benefiche sull'assetato deserto. Non potea l'impero di que' corpi raggianti stendersi al di là della sfera visibile, e sicuramente ammetteasi dagli Arabi qualche potenza spirituale necessaria per presedere alla trasmigrazion dell'anime, e alla risurrezion de' corpi: si lasciava morire un cammello sul sepolcro d'un Arabo, acciocchè potesse servire il padrone nell'altra vita, e poichè invocavano l'anime dopo morte, doveano ad esse supporre sentimento e potere. Io non conosco bene, e poco mi cale di conoscere la cieca mitologia di que' Barbari, le divinità locali cui poneano nelle stelle, nell'aria e su la terra, i sessi e i titoli di que' Dei, le loro attribuzioni o la gerarchia. Ogni tribù, ogni famiglia, ogni guerriero independente creava, e cangiava a suo talento i riti non che gli oggetti del suo culto; ma in tutti i secoli quella nazione, per molti rispetti, accettò la religione del pari che l'idioma della Mecca. L'antichità della Caaba precede l'Era cristiana. Il greco istorico Diodoro47 accenna nella sua descrizione della costa del mar Rosso, che tra il paese de' Tamuditi e quello de' Sabei sorgeva un Tempio famoso di cui tutti gli Arabi veneravano in santità: quel velo di lino o di seta che tutti gli anni è colà mandato dall'imperatore de' Turchi, fu la prima volta offerto da un pio re degli Omeriti, che regnava sette secoli prima di Maometto48. Potè il culto de' primi Selvaggi esser contento d'una tenda o d'una caverna, ma poi si innalzò un edifizio di pietra e d'argilla, e non ostante l'incremento dell'arti, e la potenza propria non si scostarono i re dell'Oriente dalla semplicità del primo modello49. La Caaba ha la forma d'un parallelogrammo cinto da un vasto portico; vi si vede una cappella quadrata, lunga ventiquattro cubiti, larga ventitre, alta ventisette, che riceve luce da una porta e da una finestra: il suo doppio tetto è sostenuto da tre colonne di legno; l'acqua pluviale cade da una grondaia, che presentemente è d'oro, e una cupola difende dalle sozzure accidentali il pozzo di Zemzem. Coll'arte, o colla forza ebbe la tribù dei Coreishiti in custodia la Caaba; l'avo di Maometto esercitò la dignità sacerdotale da quattro generazioni inveterata nella sua famiglia, la quale era quella degli Hashemiti, la più reverenda e la più sacra del paese50. Il recinto della Mecca avea le prerogative del santuario, e nell'ultimo mese d'ogn'anno la città ed il Tempio erano pieni d'una moltitudine di pellegrini che recavano alla casa di Dio voti ed offerte. Queste cerimonie, anche al dì d'oggi osservate dal fedel Musulmano, furono introdotte e praticate dalla superstizione degl'idolatri. Giunti ad una certa distanza, si spogliavano delle vestimenta, faceano sette volte rapidamente il giro della Caaba, e sette volte baciavano la pietra nera, e visitavano sette volte e adoravano le montagne vicine, e gettavano in sette riprese alcune pietre nella valle di Mina, e le cerimonie del pellegrinaggio terminavano, allora come adesso, con un sagrificio di pecore, e di cammelli, la lana e l'unghie de' quali si seppellivano nel terreno sacro. Le varie tribù trovavano o introducevano nella Caaba gli oggetti del lor culto particolare. Era quel Tempio ornato, o piuttosto deformato, da trecentosessanta idoli che figuravano uomini, aquile, lioni, gazelle; il più notabile era la statua di Hebal, d'agata rossa, che teneva in mano sette frecce senza capo o penne, istrumenti e simboli d'una profonda divinazione; ma questo simulacro era un monumento dell'arto de' Siri. Alla divozione de' tempi più rozzi avea bastato una colonna, o una tavoletta, e le rupi del deserto furono tagliate a foggia di numi o d'altari, ad imitazione della pietra nera della Mecca51 creduta, con forti ragioni, come un oggetto originariamente d'un culto idolatra. Dal Giappone al Perù fu in uso la pratica de' sagrifici, e per esprimere gratitudine o timore, il devoto ha distrutto, o consunto, in onore degli Dei i doni del cielo più cari e preziosi. Parve la vita dell'uomo52 l'obblazione più bella da farsi per allontanare una calamità pubblica, e il sangue umano tinse gli altari della Fenicia e dell'Egitto, di Roma e di Cartagine: sì barbara usanza si mantenne fra gli Arabi lunga pezza: nel terzo secolo la tribù de' Dumaziani sagrificava ogn'anno un giovanetto53, e fu piamente scannato un re prigioniero dal principe de' Saraceni, che serviva sotto le insegne dell'imperator Giustiniano suo alleato54. Un padre che trascina un figlio appiè degli altari è il più sublime e il più grande sforzo del fanatismo. L'esempio dei santi e degli eroi ha santificato l'atto o l'intenzione di questo sagrificio. Lo stesso padre di Maometto fu così destinato a morte per un voto temerario, e si durò gran fatica a redimerlo con cento cammelli. In que' giorni d'ignoranza, gli Arabi, al pari de' Giudei e degli Egizi55, s'astenevano dalla carne di porco56, facevano circoncidere57 i figli giunti alla pubertà; e queste usanze, nè riprovate, nè prescritte dal Corano, sono tacitamente passate alla posterità loro, e ai proseliti. Si è congetturato con molto ingegno, che il sagace legislatore si uniformasse agli ostinati pregiudizi de' suoi concittadini; ma è più naturale il credere ch'egli abbia seguìto le abitudini e le opinioni della sua gioventù, senza prevedere che un uso analogo al clima della Mecca sarebbe per divenire inutile o incomodo su le rive del Danubio o del Volga.
Libera era l'Arabia: avendo la conquista e la tirannia capovolto i regni circonvicini, le Sette perseguitate ripararono su quel suolo felice ove poteano francamente professare la propria opinione, e regolare le azioni a seconda della credenza. Le religioni de' Sabei, de' Magi, de' Giudei, de' Cristiani erano diffuse dal golfo Persico sino al mar Rosso. In un tempo remotissimo dell'antichità, la scienza de' Caldei58, e le armi degli Assiri propagato aveano il Sabeismo nell'Asia: su le osservazioni di duemila anni i sacerdoti e gli astronomi di Babilonia59 fondato aveano il concetto che formarono delle leggi eterne della Natura e della Previdenza. Adoravano i sette Dei, ovvero angeli, che dirigevano il corso de' sette pianeti, e spandeano su la terra i loro indeclinabili influssi. Alcune immagini e talismani figuravano gli attributi de' sette pianeti, i dodici segni dello Zodiaco e le ventiquattro costellazioni dell'emisfero settentrionale e dell'australe. I sette giorni della settimana erano dedicati alle lor deità rispettive: i Sabei oravano tre volte al giorno, e il tempio della Luna, situato in Haran, era il termine del loro peregrinare60; per la pieghevolezza della lor fede erano facili a dare continuamente e ad ammettere novelle opinioni. Le loro idee61 su la creazione del Mondo, sul diluvio, su i Patriarchi aveano una singolar somiglianza con quelle de' Giudei lor cattivi; citavano i libri secreti d'Adamo, di Seth, d'Enoch; e una lieve tintura dell'Evangelo fece di tai politeisti i Cristiani di San Giovanni che stanno nel territorio di Bassora62
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