L'Imperatore Onorio si distinse dai suoi sudditi per la superiorità del timore, ugualmente che per quella del grado. L'orgoglio ed il lusso, nel quale era stato educato, non gli avevan lasciato neppur sospettare, che sulla terra esistesse alcuna potenza tanto presuntuosa da turbare il riposo del successore d'Augusto. Gli artifizi dell'adulazione occultarono l'imminente pericolo, finattantochè Alarico avvicinossi al palazzo di Milano. Ma quando il suon di guerra ebbe svegliato il giovane Imperatore, invece di correre alle armi col coraggio, o anche colla temerità propria dell'età sua, diede ardentemente orecchio a que' timidi consiglieri, che proposero di trasferire la sacra persona di lui, ed i suoi fedeli Ministri a qualche sicuro e lontano quartiere nelle Province della Gallia. Il solo Stilicone96 ebbe il coraggio, e l'autorità di resistere a questo disonorevole passo, che avrebbe abbandonato a' Barbari Roma e l'Italia; ma siccome le truppe Palatine ultimamente s'erano distaccate verso la frontiera della Rezia, ed il compenso delle nuove leve era lento e precario, il Generale d'Occidente potè solo promettere, che, se la Corte di Milano avesse mantenuto il suo posto nell'assenza di lui, egli sarebbe in breve tornato con un esercito capace di far fronte al re Goto. Senza perdere un momento di tempo (giacchè ogni momento era di tanta importanza per la salute pubblica), Stilicone s'imbarcò in fretta sul lago Lario, salì sopra montagne di ghiaccio e di neve nel rigore d'un inverno Alpino, ed immediatamente frenò coll'inaspettata sua presenza il nemico, che aveva turbato la tranquillità della Rezia97. I Barbari, probabilmente qualche tribù di Alemanni, rispettarono la fermezza d'un Capitano, che assumeva sempre il tuono del comando; e la scelta, ch'ei si degnò di fare di un ristretto numero della più valorosa lor gioventù, si risguardò come un segno della stima e del favore di esso. Le coorti, restate libere dal nemico vicino, con diligenza tornarono allo stendardo Imperiale, e Stilicone mandò i suoi ordini alle più lontane truppe dell'Occidente d'avanzare con rapide marce alla difesa d'Onorio e dell'Italia. Si abbandonarono le fortezze del Reno, e la salute della Gallia non era difesa, che dalla fede de' Germani, e dall'antico terrore del nome Romano. Fu chiamata frettolosamente98 anche la legione, che era posta alla guardia della muraglia Britannica contro i Caledonj, ed un numeroso corpo di cavalleria degli Alani fu indotto ad arruolarsi al servizio dell'Imperatore, che ansiosamente aspettava il ritorno del suo Generale. Si resero celebri la prudenza ed il vigore di Stilicone in tal congiuntura, che nel tempo stesso mostrò la debolezza del cadente Impero. Le legioni di Roma, che da gran tempo languivano, decadendo a grado a grado la disciplina e il coraggio, furono esterminate dalle guerre Gotiche e civili; e fu impossibile, senza esaurire ed espor le Province, adunare un esercito in difesa dell'Italia.
Quando parve, che Stilicone abbandonasse il suo Sovrano nello indifeso palazzo di Milano, aveva probabilmente calcolato il termine della sua assenza, la distanza del nemico, e gli ostacoli, che potean ritardarne la marcia. Contò principalmente su' fiumi d'Italia, come l'Adige, il Mincio, l'Oglio, e l'Adda, che nell'inverno o nella primavera, al cader delle piogge o allo struggersi delle nevi, comunemente si gonfiano in larghi ed impetuosi torrenti99. Ma accadde, che la stagione fu notabilmente secca; ed i Goti poterono senza impedimento veruno attraversare i larghi e pietrosi letti, il centro de' quali era debolmente segnato dal corso d'una piccola dose d'acqua. Il ponte ed il passaggio dell'Adda furono assicurati da un forte distaccamento dell'armata Gotica; e quando Alarico si avvicinò alle mura o piuttosto a' sobborghi di Milano, godè la superba soddisfazione di veder fuggire avanti di sè l'Imperator dei Romani. Onorio, accompagnato da un piccol treno di Ministri e di Eunuchi, precipitosamente si ritirò verso le Alpi col disegno di assicurare la sua persona nella città d'Arles, che spesso era stata la residenza reale de' suoi Predecessori. Aveva egli100 appena passato il Po, che fu sopraggiunto dalla velocità della cavalleria Gotica101; onde l'urgente pericolo lo costrinse a cercare un temporaneo rifugio nella fortezza di Asti, città della Liguria o del Piemonte, situata sulle rive del Tanaro102. Il Re dei Goti subito formò ed instancabilmente strinse l'assedio di un'oscura piazza, che conteneva una preda sì ricca, e sembrava incapace di lungamente resistere; nè l'ardita dichiarazione, che in appresso potè fare l'Imperatore, che il suo petto non era mai stato suscettibile di timore, ebbe probabilmente gran credito neppure nella sua propria Corte103. Nell'ultima e quasi disperata estremità, dopo che i Barbari aveano già proposta un'indegna capitolazione, l'Imperial prigioniero ad un tratto fu liberato per la fama, per l'avvicinamento, e finalmente per la presenza dell'Eroe, che aveva sì lungamente aspettato. Stilicone, alla testa d'una scelta ed intrepida vanguardia, passò a nuoto l'Adda per guadagnare il tempo che avrebbe dovuto perdere nell'attacco del ponte; il passaggio del Po fu un'impresa di molto minore rischio e difficoltà; e la felice azione, con cui si fece strada pel campo Gotico alle mura di Asti, ravvivò le speranze, e vendicò l'onore di Roma. Il Barbaro, invece di cogliere il frutto di sua vittoria, fu appoco appoco investito per ogni parte dalle truppe dell'Occidente, che l'una dopo l'altra venivano da tutti i passi delle Alpi; i suoi quartieri furono ristretti; ne furono intercettati i convogli; e la vigilanza de' Romani preparavasi a formare una catena di fortificazioni, e ad assediare le linee degli assedianti. Adunossi un consiglio militare dei chiomati Capitani della nazione Gotica; di quei vecchi guerrieri, che avevano i corpi coperti di pelli, ed i fieri aspetti dei quali eran segnati d'onorevoli ferite. Essi ponderaron la gloria di persistere nell'impresa, confrontata col vantaggio d'assicurar la loro preda, ed approvarono il prudente partito d'un'opportuna ritirata. In quest'importante dibattimento, Alarico dimostrò il coraggio d'un conquistatore di Roma; e dopo d'aver rammentato ai suoi nazionali le illustri azioni già fatte, ed i loro disegni, concluse il suo animoso discorso con la solenne e positiva protesta, ch'egli avea risoluto di trovare in Italia un regno o un sepolcro104.
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La sconnessa disciplina de' Barbari gli esponeva sempre al pericolo d'una sorpresa; ma invece di scegliere le ore dissolute di libertinaggio e d'intemperanza, Stilicone risolvè di attaccare i Cristiani Goti mentre erano devotamente occupati nel celebrar la festa di Pasqua105. L'esecuzione dello stratagemma, o come fu chiamato dal Clero, del sacrilegio, fu affidata a Saul, Barbaro e Pagano, che però avea militato con distinta reputazione fra' veterani Generali di Teodosio. Il campo de' Goti, che Alarico avea piantato vicino a Pollenzia106, fu posto in confusione dal subitaneo ed improvviso attacco della cavalleria Imperiale; ma in pochi momenti l'indomito genio del lor condottiero diede loro un ordine ed un campo di battaglia; ed appena si riebbero dalla sorpresa, la pia fiducia, che il Dio de' Cristiani avrebbe sostenuto la loro causa, battaglia, che fu lungamente sostenuta con ugual coraggio e buon successo, il Capo degli Alani, che in una piccola e selvaggia figura nascondeva un'anima generosa, provò la sospetta sua fedeltà collo zelo, con cui pugnò, e cadde in servigio della Repubblica; e si è conservata imperfettamente la fama di questo valoroso Barbaro nei versi di Claudiano, mentre il Poeta, che ne celebrò il raro valore, ha tralasciato di rammentarne il nome. Alla sua morte successe la fuga e la confusione degli squadroni, che comandava; e la disfatta d'un'ala della cavalleria avrebbe potuto decidere della vittoria in favor d'Alarico, se Stilicone subito non avesse condotto in campo la Romana e Barbara infanteria. La perizia del Generale, e la bravura dei soldati sormontò ogni ostacolo. Nella sera di quella sanguinosa giornata, i Goti si ritirarono dal campo di battaglia, le trincere del loro accampamento furono forzate, e la scena di rapina e di strage in qualche modo espiò le calamità, ch'essi aveano portato a' sudditi dell'Impero107. Le splendide spoglie d'Argo e di Corinto arricchirono i veterani dell'Occidente; la moglie d'Alarico, la quale aveva impazientemente richiesta la promessa delle gioie Romane e delle schiave Patrizie108, fatta prigioniera, fu ridotta ad implorare la compassione dell'insultante nemico; e più migliaia di schiavi, liberati dalle catene de' Goti, sparsero per le Province dell'Italia le lodi dell'eroico loro liberatore. Il trionfo di Stilicone109 fu paragonato dal Poeta, e forse dal Pubblico, a quello di Mario, che nell'istessa parte d'Italia aveva attaccato e distrutto un altro esercito di Barbari Settentrionali. Le grandi ossa, ed i vuoti elmi de' Cimbri e de' Goti potrebbero facilmente confondersi dalle successive generazioni; e la posterità potrebbe innalzare un trofeo comune alla memoria de' due più illustri Generali, che abbiano vinto sul medesimo memorabile suolo i due più formidabili nemici di Roma110.
L'eloquenza di Claudiano111 ha celebrato con prodigo applauso la vittoria di Pollenzia, una delle più gloriose giornata della vita del suo Signore; ma la ripugnante e parziale sua musa concede anche una più genuina lode al carattere del Re Goto. Il suo nome in vero è infamato dai vergognosi epiteti di pirata e di ladro, a' quali i conquistatori d'ogni secolo hanno sì giusto diritto: ma il Poeta di Stilicone è costretto a confessare, che Alarico godeva quell'invincibile qualità d'animo, che rende superiore ad ogni disgrazia, e trae dall'avversità sempre nuovi mezzi di risorgere. Dopo la total disfatta della sua infanteria, egli fuggì o piuttosto ritirossi dal campo di battaglia con la maggior parte della cavalleria salva ed intatta. Senza perdere un momento a compiangere l'irreparabil perdita di tanti suoi bravi compagni, lasciò che il vittorioso nemico stringesse in catene le schiave immagini d'un Re Goto112; ed arditamente risolvè d'aprirsi i mal guardati passi dell'Apennino, di sparger la desolazione sul fertile suolo della Toscana, o di vincere o di morire avanti le porte di Roma. Fu salvata la Capitale dall'attiva ed instancabile diligenza di Stilicone; ma egli rispettò la disperazione del nemico; ed invece di commettere il destino della Repubblica all'evento d'un'altra battaglia, propose di comprare l'assenza de' Barbari. Lo spirito d'Alarico avrebbe rigettato tali termini d'accordo, quali erano la permissione di ritirarsi e l'offerta d'una pensione, con disprezzo e con isdegno; ma esso esercitava solo un'autorità limitata o precaria sopra indipendenti Capitani, che l'avevano innalzato per servizio loro al di sopra de' suoi uguali; questi eran sempre meno disposti a seguitare un Generale infelice, e molti di loro eran tentati di provvedere al proprio interesse, mediante una privata negoziazione col ministro d'Onorio. Il Re si sottomise alla voce del suo popolo, ratificò il trattato coll'Impero Occidentale, e ripassò il Po con gli avanzi del florido esercito, che aveva condotto in Italia. Una considerabil parte dello forze Romane continuò tuttavia ad osservare i suoi movimenti; e Stilicone, che aveva una segreta corrispondenza con alcuni Capitani Barbari, fu puntualmente informato de' disegni, che si facevano nel campo, e nel consiglio d'Alarico. Il Re de' Goti, ambizioso di segnalare la sua ritirata con qualche splendido fatto, avea risoluto di occupare l'importante città di Verona, che domina il passo delle Alpi Rezie; e dirigendo la sua marcia pei territorj di quelle tribù Germaniche, l'alleanza delle quali avrebbe restaurato l'esausta sua forza, invadere dalla parte del Reno inaspettatamente le ricche Province della Gallia. Ignorando il tradimento, che avea già manifestato la sua ardita e giudiziosa intrapresa, s'avanzò verso i paesi delle montagne, ch'erano già stati occupati dallo truppe Imperiali, dove si trovò esposto ad un generale attacco nella fronte, ne' lati, e nella retroguardia. In questa sanguinosa azione, che seguì ad una piccola distanza dalle mura di Verona, la perdita de' Goti non fu meno grave di quella che avevan sofferto nella disfatta di Pollenzia; ed il loro valoroso Re, che scampò per la velocità del suo cavallo, avrebbe dovuto restare ucciso, o prigioniero, se la precipitosa temerità degli Alani non avesse sconcertato i disegni del Generale Romano. Alarico assicurò i residui del suo esercito sopra le vicine rupi; e si preparò con indomita fermezza a sostenere un assedio contro il numero superiore del nemico che l'investì da ogni lato. Ma non poteva egli opporsi al distruttivo progresso della fame e del disagio; nè gli era possibile di frenare la continua diserzione de' capricciosi ed impazienti suoi Barbari. In questa estremità trovò ancora nuovi ripieghi nel proprio coraggio, o nella moderazione del suo nemico; e risguardossi la ritirata del Re Goto come la liberazione dell'Italia113. Nonostante il Popolo ed anche il Clero, incapace di formare alcun ragionevol giudizio degli affari di pace e di guerra, pretese d'attaccar la politica di Stilicone, il quale tante volte circondò, e tante volte lasciò scappare l'implacabil nemico della Repubblica. Il primo momento della pubblica salvezza è consacrato alla gratitudine ed alla gioia; ma il secondo s'occupa diligentemente nell'invidia e nella calunnia114.
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I cittadini di Roma erano stati sorpresi dall'avvicinarsi d'Alarico; e la diligenza, con cui procurarono di risarcire le mura della Capitale, dimostrò i loro timori, e la decadenza dell'Impero. Dopo la ritirata dei Barbari, Onorio s'indusse ad accettare il rispettoso invito del Senato ed a celebrare nell'Imperial città l'epoca felice della vittoria Gotica, e del sesto suo consolato115. I sobborghi e le strade, dal ponte Milvio al Colle Palatino, eran piene del Popolo Romano, che nello spazio d'un secolo era stato solo tre volte onorato dalla presenza de' suoi Sovrani. Tenendo fissi gli occhi sul carro, dove Stilicone meritamente sedeva accanto al suo Reale pupillo, applaudivano essi alla pompa d'un trionfo, che non era macchiato, come quello di Costantino e di Teodosio, dal sangue civile. Passò la processione sotto un arco sublime, ch'era stato innalzato a quest'effetto: ma in meno di sette anni i Gotici conquistatori di Roma poteron leggere (se pure n'eran capaci) la superba inscrizione di quel monumento, che attestava la disfatta e distruzione totale della loro nazione116. L'Imperatore dimorò più mesi nella Capitale, ed ogni parte del suo contegno dimostrava la premura, che aveva di conciliarsi l'affezione del Clero; del Senato, e del Popolo di Roma. Il Clero fu edificato dalle frequenti visite, e dai generosi doni che fece alle Reliquie degli Apostoli. Il Senato che nella trionfal processione era stato liberato dalla umiliante ceremonia di precedere a piedi il carro Imperiale, fu trattato con quella decente riverenza, che Stilicone affettò sempre per quell'Assemblea. Il popolo fu più volte soddisfatto dall'attenzione e dalla cortesia d'Onorio ne' pubblici giuochi, che in quell'occasione si celebrarono con una magnificenza non indegna dello spettatore. Appena fu terminato il numero destinato delle corse de' cavalli, ad un tratto cangiossi la decorazione del Circo; la caccia delle fiere somministrò un vario e splendido divertimento; ed alla caccia successe una danza militare, che nella vivace descrizione di Claudiano somiglia la rappresentazione d'un moderno torneo.
In questi giuochi d'Onorio, i crudeli combattimenti de' Gladiatori117 macchiarono per l'ultima volta l'anfiteatro di Roma. Il primo Imperatore Cristiano può attribuirsi l'onore del primo editto, che condannò l'arte ed il piacere di spargere il sangue umano118
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