Il terror dell'armi romane aggiungeva peso e dignità alla moderazione degl'Imperatori. Essi mantennero la pace col prepararsi costantemente alla guerra; e mentre la giustizia dirigeva la loro condotta, facevan conoscere alle nazioni confinanti, che, alieni dal far alcuna ingiuria, non eran neppur disposti a soffrirla. La forza militare, che ad Adriano e ad Antonino il Maggiore era bastato mostrare, fu impiegata contro i Parti ed i Germani dall'Imperatore Marco. Le ostilità dei Barbari provocarono il risentimento di questo Monarca filosofo, e nella continuazione di una giusta difesa, Marco ed i suoi Generali ottennero molte segnalate vittorie sull'Eufrate e sul Danubio44. Gli stabilimenti militari dell'Impero romano, che ne assicuravano o la tranquillità od i progressi, diverranno adesso il proprio ed importante argomento della nostra attenzione.
Nei secoli più belli della repubblica, l'uso delle armi era riservato per quegli ordini di cittadini, che avevano una patria da amare, un patrimonio da difendere, e qualche parte in promulgar quelle leggi, che era loro interesse e dovere di conservare. Ma a misura che la pubblica libertà scemò con l'estensione delle conquiste, la guerra a poco a poco si ridusse ad un'arte, e degenerò in un mestiero45. Le legioni medesime, anche quando erano reclutate nelle più lontane province, si tenevano per composte di cittadini romani. Questa distinzione era considerata generalmente o come qualificazione legale, o come ricompensa propria per un soldato; ma si avea un riguardo più serio al merito essenziale dell'età, della forza, e della statura militare46. In tutte le leve si preferivano giustamente i climi settentrionali a quelli del mezzogiorno. Si cercavan piuttosto nelle campagne che nelle città gli uomini nati all'esercizio delle armi; e si presumeva con molta ragione, che i faticosi esercizj dei fabbri, dei legnaiuoli e dei cacciatori dessero più vigore e più risolutezza, che le arti sedentarie impiegate in servizio del lusso47. Dopo che la qualità di proprietario non fu più considerata, gli eserciti degl'Imperatori romani erano sempre comandati per la maggior parte da uffiziali di nascita e di educazione liberale; ma i soldati comuni, come le truppe mercenarie della moderna Europa, erano tratti dalla più vile e spesso ancora dalla più scellerata parte degli uomini.
Quella pubblica virtù, che gli antichi chiamarono patriottismo, è prodotta dal forte sentimento dell'interesse, che abbiamo nella conservazione e prosperità del libero governo, del quale noi siamo membri. Un tal sentimento che avea renduto le legioni della Repubblica quasi invincibili, non potea fare che una debolissima impressione nei servi mercenarj di un Principe dispotico; e diventò necessario il supplire a questo difetto con altri motivi di diversa, ma molto efficace natura, l'onore e la religione. Il contadino o l'artigiano s'imbevè dell'utile pregiudizio, che esso era innalzato alla più nobile professione delle armi, nella quale il suo grado e la sua riputazione dipenderebbe soltanto dal suo valore; e che sebbene la prodezza di un privato soldato potesse sfuggire alla notizia della fama, sarebbe però in suo potere di arrecar gloria o vergogna alla compagnia, alla legione, e fino all'armata, ai cui onori esso era associato. Appena arrolato, se gli dava il giuramento con ogni solennità. Prometteva di non mai abbandonare la sua insegna, di sottomettere il proprio volere ai comandi de' suoi condottieri, e di sacrificare la vita per la salvezza dell'Imperatore e dell'Impero48. L'affetto delle truppe romane per le loro insegne, era loro inspirato dalla doppia influenza della religione e dell'onore. L'Aquila d'oro, che riluceva alla testa della legione, era argomento della loro più tenera divozione; nè si riputava cosa meno empia che infame, l'abbandonare quella sacra insegna nel tempo del pericolo49. Questi motivi, che dovevano la loro forza alla immaginazione, erano avvalorati da timori e da speranze di un genere più sostanziale. La paga regolare, i donativi nelle diverse occasioni, ed una sicura ricompensa alla fine del servizio, alleggerivano le asprezze della vita militare50, mentre dall'altra parte era impossibile alla codardia o alla disobbedienza di schivare il più severo castigo. I Centurioni potevano castigare con le percosse; i Generali avevano diritto di punir con la morte; ed era massima inflessibile della disciplina romana, che un buon soldato dovea temere i suoi uffiziali più che i nemici. Da tali lodevoli artifizj il valore delle truppe imperiali ricevè un grado di fermezza e di docilità, di cui non eran capaci le impetuose ed irregolari passioni dei Barbari.
E non ostante i Romani eran sì persuasi dell'imperfezione del valore, disgiunto dalla perizia e dalla pratica, che nella lor lingua il nome di una armata era tratto dalla parola che significa esercizio51. Gli esercizj militari erano l'importante e continuo oggetto della lor disciplina. Le reclute ed i soldati novizj venivano costantemente esercitati la mattina e la sera, nè l'età o la perizia poteano esentare i veterani dalla giornaliera ripetizione di ciò che avevano perfettamente imparato. Si fabbricavano vaste gallerie nei quartieri d'inverno, affinchè le loro utili fatiche non fossero in alcun modo interrotte dai tempi i più procellosi; e si osservava diligentemente che le armi, destinate a questa guerra simulata, fossero di peso doppio di quello che si richiedeva nell'azione reale52. Non è il fine di questa opera l'entrare in alcuna minuta descrizione dei romani esercizj. Soltanto osserveremo che comprendevano tutto ciò che poteva accrescer forza al corpo, attività alle membra, o grazia ai movimenti. I soldati erano diligentemente ammaestrati a marciare, a correre, a saltare, a nuotare, a portare gravi pesi, a maneggiare ogni sorta d'armi, che si usasse per offesa o per difesa, o in battaglia lontana, o in un assalto più stretto, a fare una varietà di evoluzioni, ed a moversi a suon di flauto nel ballo pirrico o marziale53. In mezzo alla pace le truppe romane si rendevano familiare la pratica della guerra; e bene osserva un antico Istorico, il quale avea combattuto contro di loro, che l'effusione del sangue era la sola circostanza che distinguesse un campo di battaglia da un campo di esercizio54. Era politica dei più abili Generali, ed anche degli stessi Imperatori, d'incoraggiare con la loro presenza e col loro esempio questi studj militari; e sappiamo che Adriano e Traiano si degnavano spesso d'istruire i soldati inesperti, di rimunerare i diligenti, e talvolta di disputare con essi il premio della superiorità nella forza o nella destrezza55. Nei regni di questi Principi la tattica fu coltivata con buon successo; e finchè l'Impero ebbe qualche vigore, le loro istruzioni militari furono rispettate come il più perfetto modello della disciplina romana.
Nove secoli di guerra avevano a poco a poco introdotto nel servizio militare molte alterazioni e molti miglioramenti. Le legioni, secondo la descrizione che ne dà Polibio56, al tempo delle guerre Puniche, differivano molto sostanzialmente da quelle che riportarono le vittorie di Cesare, o difesero la monarchia sotto Adriano e gli Antonini. Lo stato della Legione Imperiale si può descrivere in poche parole57. L'infanteria grave, che componeva la sua forza principale,58 era divisa in dieci coorti, e cinquantacinque compagnie, sotto gli ordini di un numero corrispondente di Tribuni e di Centurioni. La prima coorte, che sempre pretendeva il posto di onore, e la custodia dell'Aquila, era composta di 1105 soldati, i più esperimentati per valore e per fedeltà. Le altre nove coorti erano ciascuna di 555 e l'intero corpo dell'infanteria legionaria ascendeva a 6100 uomini.
Le loro armi erano uniformi, e maravigliosamente adattate alla natura del loro servizio; un elmo aperto con un alto cimiero, un pettorale, o un giacco di maglia, le gambiere, e un ampio scudo dal braccio sinistro. Lo scudo era di figura bislunga e concava, quattro piedi lungo, e largo due e mezzo, fatto di un legno leggiero, coperto di pelle di toro, e fortemente difeso con piastre di rame. Oltre una lancia più leggiera, il soldato legionario teneva nella diritta il formidabile Pilo, dardo pesante, la cui maggior lunghezza era di sei piedi, e che era terminato da una massiccia punta triangolare di acciaio, lunga diciotto pollici59. Questo istrumento era per vero dire molto inferiore alle moderne armi da fuoco; giacchè terminava in una sola scarica, alla distanza soltanto di dieci o dodici passi. Quando però era lanciato da una mano forte ed esperta, non v'era cavalleria alcuna che ardisse avanzarsi dentro il suo tiro, nè scudo, nè corsaletto che potesse sostenere l'impetuosità del suo peso. Appena il soldato romano avea lanciato il suo Pilo, sguainava la spada, e correva alle strette con il nemico. Questa era una lama spagnuola corta e ben temprata a doppio filo, e propria ad usarsi egualmente e di taglio e di punta; ma il soldato era sempre avvertito di preferire l'ultimo modo, poichè così il suo corpo restava meno esposto, mentre portava più pericolosa ferita al nemico60. La legione ordinariamente si schierava con otto soldati di profondità, e si lasciava la regolar distanza di tre piedi sì tra le file che tra gli ordini61. Un corpo di truppe assuefatto a conservare quest'ordine di distanza, schierato in una larga fronte, e pronto a correr velocemente all'assalto, era atto ad eseguire qualunque disposizione, che le circostanze della guerra, o l'abilità del condottiere potessero suggerire. Il soldato aveva un libero spazio per le sue armi ed i suoi movimenti, e si lasciavano intervalli bastanti, per li quali si potessero a tempo introdurre rinforzi in sostegno de' combattenti spossati62. Le tattiche dei Greci e dei Macedoni erano fondate sopra principj molto diversi. La forza della falange consisteva in sedici file di lunghe picche, serrate strettamente fra loro63. Ma presto si scoprì con la riflessione non meno che con l'esperienza, che la forza della falange non poteva contrastare con l'attività della legione64.
La cavalleria, senza la quale la forza della legione sarebbe rimasta imperfetta, era divisa in dieci truppe o squadroni; il primo, come compagno della prima coorte, era composto di 132 uomini, mentre ciascuno degli altri nove ascendeva solamente a 66. L'intero corpo formava (se si può usare la moderna espressione) un reggimento di 726 cavalli, naturalmente unito con la sua propria legione, ma separato secondo il bisogno per agire nella linea, e per comporre una parte delle ali dell'armata65. La cavalleria degl'Imperatori non era più composta, come quella dell'antica repubblica, dei più nobili giovani di Roma e dell'Italia, i quali facendo il loro servizio militare a cavallo, si preparavano per gli uffizj di Senatore e di Console; e sollecitavano con azioni di valore i futuri suffragi dei loro concittadini66. Dopo la mutazione dei costumi del governo i più facoltosi dell'ordine equestre erano impiegati nell'amministrazione della giustizia e delle pubbliche rendite67, e qualora abbracciavano la professione dell'armi, era loro immediatamente affidata la guida di una truppa di cavalli, o di una coorte di uomini a piedi68. Traiano ed Adriano levarono la loro cavalleria dalle stesse province, e dalla stessa classe di sudditi, che fornivano gli uomini per la legione. I cavalli erano per la maggiore parte di Spagna o di Cappadocia. La cavalleria romana disprezzava l'armatura intera, con cui s'aggravava la cavalleria orientale. Le sue più solite armi consistevano in un elmo, in uno scudo bislungo, in leggieri stivali, e in un giacco di maglia. Un dardo, ed una lunga e larga spada erano le principali armi di offesa. L'uso delle lance e delle mazze di ferro sembra che lo prendesse dai Barbari69.
La salvezza e l'onore dell'Impero eran principalmente affidati alle legioni, ma la politica di Roma condescendeva ad adottare qualunque utile strumento di guerra. Si facevano regolarmente leve considerabili tra i provinciali, che non aveano ancora meritata l'onorevole distinzione di cittadini romani. Si permetteva a vari Principi, ed a varie Comunità, sparse intorno alle frontiere dipendenti, di conservare per un tempo la loro libertà e sicurezza con l'obbligo di prestar servizio militare70. Eziandio le truppe scelte dei Barbari nemici erano spesso forzate o indotte ad esercitare il loro pericoloso valore in climi remoti, e in servizio dello Stato71. Tutti questi eran compresi sotto il nome generale di ausiliari, e comunque potessero variare per la diversità dei tempi o delle circostanze, rare volte però il loro numero era inferiore a quello delle legioni medesime72. Le truppe più valorose e fedeli tra le ausiliari erano poste sotto il comando dei Prefetti e dei Centurioni e severamente esercitate nelle arti della disciplina romana; ma per la maggior parte ritenevano quelle armi, alle quali più particolarmente le rendevano atte o la natura della patria, o la prima educazione della vita. Con queste istituzioni ogni legione, a cui si assegnava una certa porzione di ausiliari, conteneva in se ogni sorta di truppe più leggiere, e di armi lanciabili; ed era capace di affrontarsi con ogni nazione per la superiorità delle sue rispettive armi e della sua disciplina73. Nè era la legione priva affatto di ciò che nel moderno linguaggio si chiamerebbe treno di artiglieria. Consisteva questo in dieci macchine militari delle più grandi, ed in cinquantacinque più piccole, ciascuna delle quali obliquamente o orizzontalmente lanciava pietre e dardi con violenza irresistibile74.
Il campo di una legione Romana presentava l'aspetto di una città fortificata75. Appena ne era segnato la spazio, i guastatori ne spianavano esattamente il terreno, e toglievano ogni impedimento che potesse interromperne la perfetta regolarità. La sua forma era perfettamente quadrangolare; e può calcolarsi che un quadrato, del quale ogni lato era quasi due mila piedi, bastava per l'accampamento di 20000 romani; sebbene un simil numero delle nostre truppe presenterebbe al nemico una fronte di un'estensione più che triplicata. In mezzo al campo, il Pretorio o sia quartier generale, signoreggiava tutti gli altri; la cavalleria, l'infanteria e gli ausiliari occupavano i loro respettivi posti; le strade erano ampie e perfettamente diritte, e si lasciava da tutte le parti uno spazio vuoto di 200 piedi tra le tende e il terrapieno. Questo era ordinariamente alto dodici piedi, armato con una linea di palizzate forti e incrociate, e difeso da una fossa profonda e larga dodici piedi. Questo importante lavoro si faceva dai legionari medesimi, ai quali l'uso della zappa e della vanga non era meno familiare che quello della spada o del pilo. Una valorosa attività può sovente esser dono della natura: ma una diligenza così paziente non può esser frutto che dell'abito e della disciplina76.
Ogni volta che la tromba dava il segno della partenza, il campo era quasi in un istante disfatto; e le truppe correvano ai loro ordini senza tardanza o confusione. Oltre le loro armi, che i legionari appena consideravano come un imbarazzo, portavano ancora i loro utensili da cucina, gl'instrumenti di fortificazione, e la provvisione di molti giorni77. Sotto questo peso che opprimerebbe la delicatezza di un soldato moderno, erano avvezzati a fare di passo regolare quasi venti miglia in sei ore78. All'apparir del nemico gettavano il lor bagaglio, e con evoluzioni facili e rapide convertivano la colonna di marcia in ordine di battaglia79. I frombolieri e gli arcieri scaramucciavano alla fronte; gli ausiliari formavano la prima linea, ed erano secondati o sostenuti dal nerbo delle legioni. La cavalleria copriva i fianchi, e le macchine militari erano poste nella retroguardia.
Tali erano le arti della guerra, con le quali gl'Imperatori Romani difesero le loro vaste conquiste, e conservarono lo spirito militare in un tempo, in cui ogni altra virtù era oppressa dal lusso e dal dispotismo. Se nella considerazione de' loro eserciti noi passiamo dalla loro disciplina al lor numero, non sarà facile il definirlo con sufficiente esattezza. Si può computare però che la legione, la quale per se stessa era un corpo di 6831 soldati romani, poteva con i suoi seguaci ausiliari ascendere a quasi 12500 uomini. Lo stato delle truppe di Adriano e de' suoi successori in tempo di pace non era composto di meno che di trenta di questi formidabili corpi; e formava molto probabilmente una forza permanente di 375000 uomini. In vece di esser confinate tra le mura delle città fortificate, che i Romani riguardavano come il rifugio della debolezza o della pusillanimità, le legioni erano accampate sulle rive dei gran fiumi, e lungo le frontiere dei Barbari. Siccome i loro quartieri restavano per la maggior parte fissi e permanenti, possiamo arrischiarci a descrivere la distribuzion delle truppe. Tre legioni bastavano per la Britannia. La forza principale era sul Danubio e sul Reno, e consisteva in sedici legioni distribuite in questo modo; due nella Germania inferiore, e tre nella superiore; una nella Rezia, una nel Norico, quattro nella Pannonia, tre nella Mesia, e due nella Dacia. La difesa dell'Eufrate era affidata a otto legioni, sei delle quali erano poste nella Siria, e le altre due nella Cappadocia. Riguardo all'Egitto, all'Affrica e alla Spagna, siccome erano molto lontane dal divenire importante teatro di guerra, una sola legione manteneva la domestica tranquillità di ciascuna di queste vaste province. Neppur l'Italia era lasciata priva di forza militare. Quasi 20000 soldati scelti, e distinti con titoli di coorti della città e di guardie pretoriane, vegliavano alla salvezza del Monarca e della capitale. I Pretoriani, come autori di quasi tutte le rivoluzioni che lacerarono l'Impero, richiameranno ben presto e strepitosamente la nostra attenzione; ma nelle loro armi e nelle loro istituzioni non possiamo trovare alcuna circostanza che li distingua dalle legioni, se questa non fosse una splendida comparsa, ed una disciplina men rigorosa80.
La forza navale mantenuta dagl'Imperatori potrebbe sembrare inadeguata alla loro grandezza; ma era sufficientissima ad ogni util disegno del Governo. L'ambizione dei Romani era limitata alla terra, nè mai quel popolo bellicoso fu animato dallo spirito intraprendente, che aveva spinto i naviganti di Tiro, di Cartagine e anche di Marsilia ad estendere i confini del mondo, e ad esplorare le più remote coste dell'Oceano. Era per li Romani l'Oceano un oggetto di terrore anzi che di curiosità81
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