Читать бесплатно книгу «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12» Эдварда Гиббона полностью онлайн — MyBook

CAPITOLO LXI

I Francesi e i Veneziani si dividono fra loro l'Impero. Cinque Imperatori latini delle Case di Fiandra e di Courtenai. Loro guerre contro i Bulgari e i Greci. Debolezza e povertà dell'Impero latino. Costantinopoli ripresa dai Greci. Conseguenza generale delle Crociate.

Dopo la morte de' Principi legittimi di Bisanzo, i Francesi e i Veneziani credettero abbastanza giustificati e la loro causa, e i prosperi successi ottenuti, per ripartirsi anticipatamente fra loro le province del greco Impero110. Mediante un Trattato, accordaronsi a nominare dodici Elettori, sei per nazione, e a riconoscere Imperator d'Oriente quell'individuo che accoglierebbe in sè un maggior numero di suffragi. Stipularono inoltre i confederati che accadendo parità nel numero de' voti, la sorte deciderebbe fra i due candidati; e concedettero a quello che sarebbe eletto, i titoli e le prerogative de' precedenti Imperatori, i due palagi di Blacherna e di Bucoleone, e la quarta parte di tutti i possedimenti che la monarchia de' Greci formavano. Le tre altre parti divise in due porzioni eguali, vennero tenute da banda per essere divise fra i Veneziani e i Baroni francesi. Fu risoluto che tutti i feudatarj, dai quali, per una distinzione d'onore venne eccettuato il Doge, presterebbero al nuovo Sovrano, omaggio di fedeltà e giuramento di servigio militare, come a Capo supremo dell'Impero; che quella fra le due nazioni cui toccherebbe la sorte di dare all'Oriente un Imperatore, cederebbe all'altra la nomina del Patriarca; che per ultimo tutti i Pellegrini, comunque impazienti fossero di visitar Terra Santa, dovessero consagrare anche un anno a conquistare e difendere le province del greco Impero. Appena impadronitisi di Bisanzo i Latini, un tale Trattato confermarono e misero ad effetto, divenuta prima e più rilevante fra le loro cure l'elezione di un Imperatore. Tutti ecclesiastici erano i sei Elettori francesi: l'Abate di Loces, l'Arcivescovo eletto di Acri in Palestina, e i Vescovi di Soissons, di Troyes, di Halberstadt e di Betlemme; l'ultimo de' quali Prelati gli uffizj di Legato del Papa adempiea. Rispettabili per sapere e per santità del loro carattere, tanto più idonei a tale scelta mostravansi che su di essi non poteva cadere. Fra i primarj ministri dello Stato, vennero creati i sei Elettori Veneti, onde le illustri famiglie de' Querini e de' Contarini, s'inorgogliscono tuttavia di trovare in quell'Assemblea i nomi de' loro antenati. Radunatisi nella cappella del palagio i dodici Elettori, procedettero alla elezione, dopo avere invocato solennemente lo Spirito Santo. Ragioni di rispetto e di gratitudine unirono primieramente i voti di tutti i congregati a favore del Doge. Autore egli stesso di quell'impresa, per tali azioni erasi segnalato, che, a malgrado degli anni e della cecità, poteano renderlo ammirazione ed invidia de' più giovani cavalieri. Ma il Dandolo non mai abbastanza per virtù cittadine lodato, e disdegnando tutto ciò che a personale ambizione si riferiva, fu pago dell'onor de' suffragi, che degno il promulgavano di regnare. I suoi concittadini, e fors'anche i suoi amici si opposero eglino stessi a questa nomina111, facendo coll'eloquenza della verità, manifesti i danni che alla libertà di Venezia e alla causa comune doveano temersi dall'incompatibile collegamento della prima magistratura della Repubblica, e della Sovranità dell'Oriente. L'esclusione del Doge lasciò libero il campo a Bonifazio ed a Baldovino. I meriti di questi due candidati si contrabbilanciavano scambievolmente, ma tanto sovrastavano a quello degli altri, che a questi due cedettero rispettosamente le loro pretensioni. Maturità di anni, splendida rinomanza, l'opinione più generale de' Pellegrini, il voto dei Greci, stavano soprattutto pel Marchese di Monferrato; nè mi è sì agevole il credere che i piccioli possedimenti di questo Principe, posti a piedi dell'Alpi112, dessero inquietudine alla Repubblica di Venezia padrona del mare. Ma il Conte di Fiandra, in età di trentadue anni, valoroso, pio e casto, Capo d'un popolo ricco e bellicoso, discendente da Carlomagno, cugino del Re di Francia, contava fra i suoi Pari, Baroni e Prelati, che avrebbero mal tollerato di sottomettersi all'Impero di uno straniero. Questi Baroni, il Doge, e a capo d'essi il Marchese di Monferrato, stavansi alla porta della cappella, aspettando la risoluzione degli Elettori. Venne finalmente a nome de' suoi colleghi annunziandolo il Vescovo di Soissons. «Voi avete giurato, disse egli, obbedire al Principe che avremmo scelto. Per l'unanimità de' nostri suffragi, Baldovino Conte di Fiandra e di Hainaut, è vostro Sovrano ed Imperator d'Oriente». Il nuovo Monarca venne salutato fra romorose acclamazioni, che la gioia de' Latini e la tremante adulazione de' Greci per tutta la città ripeterono. Primo fu Bonifazio a baciar la mano al rivale e ad innalzarlo sul proprio scudo. Baldovino fu trasportato nella Cattedrale ove solennemente calzò i coturni di porpora. Tre settimane dopo l'elezione, il Legato del Papa che gli uffizj di Patriarca adempiea, lo coronò; ma prestamente s'impadronì del coro di S. Sofia il Clero veneziano, che fu sollecito a porre sul trono ecclesiastico Tommaso Morosini, nè trascurò alcuna diligenza per mantenere alla sua nazione gli onori e i benefizj della Chiesa greca113. Non indugiò il successore di Costantino a far noto per messi, questo memorabile cambiamento politico alla Palestina, alla Francia, a Roma. Le porte di Costantinopoli, le catene del porto vennero, per suo ordine, trasportate in Palestina come trofei114, e dalle Assise di Gerusalemme tolse le leggi e gli statuti, che meglio ad una colonia francese e ad una conquista d'Oriente addicevansi. Sollecitò indi per lettere tutti i Francesi, perchè venissero ad ingrossare questa colonia, a popolare una capitale vasta e magnifica, a coltivare un suolo fertile, e preparato dalla natura a dar largo guiderdone di lor fatiche al Sacerdote e al soldato. Mandò anche congratulazioni al Pontefice di Roma per la sua autorità ristaurata, nell'Oriente, eccitandolo ad estinguere lo scisma dei Greci colla sua presenza medesima ad un generale Concilio, e implorandone l'indulgenza e l'appostolica assoluzione per que' Pellegrini che agli ordini del Capo della Chiesa aveano contravvenuto115. Accorgimento e dignitosi modi la risposta d'Innocenzo contraddistinsero; attribuendo ai vizj degli uomini la sovversione dell'Impero d'Oriente, adorava in ordine a ciò i decreti della Providenza. «I conquistatori, egli dicea, saranno o assoluti o condannati giusta la condotta che terranno in appresso, e la validità del loro parteggiamento è cosa che dal giudizio di S. Pietro dipende». Non dimenticò nel medesimo tempo di prescriver loro, siccome il più sacro de' doveri, quello di mantenere subordinati e tributarj i Greci ai Latini, i Magistrati al Clero, il Clero al Pontefice.

Nel ripartimento delle province dell'Impero116, la porzione che toccò ai Veneziani trovossi più considerabile di quella dell'Imperatore latino. Ei non possedea che un quarto della conquista. Riserbatasi Venezia una grossa metà del rimanente, l'altra metà tra i venturieri di Francia e di Lombardia venne distribuita. Il venerabile Dandolo, acclamato despota della Romania, fu, giusta l'uso de' Greci, fregiato de' calzaretti di porpora. Ei terminò il corso della sua lunga e gloriosa vita a Costantinopoli; e benchè le prerogative di lui non passassero ai suoi successori, questi ne conservarono nullameno i titoli fino alla metà del secolo decimoquarto, ed aggiugneano l'altro singolarissimo, di Signori di un quarto e mezzo dell'Impero Romano117. Il Doge, schiavo dello Stato, rade volte ottenea la permissione di allontanarsi dalla sede del Governo; ma ne tenea vece in Grecia un Bailo o reggente, insignito d'inappellabile giurisdizione sulla colonia de' Veneziani. Degli otto rioni di Costantinopoli, tre appartenevano a questa colonia; il cui tribunale independente, era composto di sei giudici, quattro cancellieri, due ciamberlani, due avvocati fiscali e un contestabile. Una lunga esperienza sul commercio d'Oriente, gli avea fatti accorti sì, che meglio degli altri poteano provvedere ai loro interessi nel ripartimento; pur commisero una imprudenza nell'accettare il governo e la difesa d'Andrinopoli. Ad ogni modo la saggia politica di questi trafficanti, pensò ad assicurarsi una catena di città, di isole e di fattorie, lungo la costa marittima, che dai dintorni di Ragusi fino all'Ellesponto e al Bosforo si estendea. I dispendiosi lavori che a mantenere tali conquiste volevansi, avendo impoverito il veneto erario, abbiurarono le antiche massime del lor governo, adattandosi ad un feudale sistema, e concedendo, contenti di un semplice omaggio, ai Nobili118 il possedimento di que' paesi, che questi imprendeano a conquistare, o a difendere. In cotal guisa, la famiglia di Sanuto divenne padrona del Ducato di Nasso, che tenea la massima parte dell'Arcipelago. Mediante uno sborso di diecimila marchi, la Repubblica comperò dal Marchese di Monferrato, la fertile isola di Creta, o Candia, e le rovine di cento città119. Ma i meschini concepimenti di un'orgogliosa aristocrazia120, non permisero trar grande profitto da tali acquisti; onde i più giudiziosi fra i Senatori dichiararono non per possedute terre, ma per l'Impero del mare il tesoro di S. Marco impinguarsi. Sulla metà da ripartirsi fra i venturieri, il Marchese di Monferrato, fuor d'ogni dubbio, alla maggior ricompensa aveva dritto. Oltre alla cedutagli isola di Creta, per un riguardo al trono da cui fu escluso, gli fu conferito il titolo di Re e assegnate le province al di là dell'Ellesponto; ma fe' un saggio cambio di questa difficile e lontana conquista, col regno di Tessalonica o di Macedonia, distante dodici giornate dalla capitale, e dagli Stati del Re d'Ungheria, cognato del Marchese, e vicino quanto bastava, perchè questi all'uopo ne potesse sperare soccorsi. Il suo passaggio per le province che dovè traversare, fu in mezzo a continue acclamazioni o sincere, o simulate de' Greci; e l'antica e vera Grecia ricevette di nuovo un conquistatore latino121, che con aria d'indifferenza questa classica terra calcò. Degnando appena d'un guardo le bellezze della valle di Tempe, pose molta cautela addentrandosi nelle gole delle Termopile, occupò Tebe, Atene ed Argo, città al medesimo sconosciute, e prese d'assalto Corinto e Napoli122, che aveano tentato resistergli. Or la sorte, ora la scelta e successivi baratti, regolarono i premj degli altri pellegrini. Accecati dal giubilo del riportato trionfo, usarono immoderatamente del lor potere, sulla vita e le ricchezze d'un grande numero d'uomini. Dopo una recapitolazione esatta di tutte le province da ripartirsi, pesarono con avara bilancia le rendite di ciascuna di esse, la situazione più o men vantaggiosa, i modi più o meno abbondanti che queste offerivano, per alimentare uomini e cavalli sul loro suolo. Fin agli antichi smembramenti del Romano Impero, le pretensioni dei vincitori si estesero; nelle immaginarie lor divisioni, il Nilo e l'Eufrate si trovavan compresi, e giubilava il guerriero che nella sua parte di premio, la reggia del Sultano d'Iconium annoverava123. Non m'arresterò in questo luogo ad enumerare i nuovi fregi genealogici, e i possedimenti di ciascun cavaliere; mi basti il dire, che i Conti di Blois e di S. Paolo, il ducato di Nicea e la signoria di Demotica ottennero124; i principali feudi alle cariche di Contestabile, di Ciamberlano, di Coppiere e di Mastro di casa, andarono uniti. Il nostro Storico, Goffredo di Villehardouin, acquistò un ricco dominio sulle rive dell'Ebro, accoppiando gli uffizj di Maresciallo di Sciampagna e di Romania. Ciascun Barone a capo de' suoi cavalieri ed arcieri, si trasferì a prender possesso della sua parte di premio; nè grande resistenza la maggior parte di loro trovarono sulle prime: ma da siffatta dispersione derivò, che le generali forze scemarono; e ognuno s'immagina quanti litigi dovettero sorgere in tale stato di cose, e fra uomini che riconoscevano per primitiva legge il successo dell'armi. Tre mesi dopo la conquista di Costantinopoli, già l'Imperatore e il Re di Tessalonica, marciavano un contra l'altro; però l'autorità del Doge, i consigli del Maresciallo, la coraggiosa fermezza de' Pari a pacificarli pervennero125.

A. D. 1204 ec.

Due fuggiaschi che avevano occupato il trono di Costantinopoli, assumeano tuttavia il titolo di Imperadori, e que' che furono lor sudditi poteano cedere ad un moto di compassione verso l'antico Alessio, o ardere del desiderio di vendicarsi sopra l'ambizioso Murzuflo. Vincoli di famiglia, comune interesse, eguali delitti, e il merito di aver tolta la vita ai nemici del suo rivale, persuasero il secondo usurpatore a cercare di collegarsi col primo. Murzuflo si trasferì nel campo di Alessio, ove carezzevolmente e con onori fu ricevuto: ma gli scellerati, incapaci di sentire amicizia, hanno torto se si fidano in coloro che ad essi somigliano. Dopo averlo fatto arrestare in un bagno e privare degli occhi, Alessio si guadagnò le truppe di costui, se ne appropiò i tesori; poi fattolo scacciare dal campo, Murzuflo errò, qua e là, oggetto di scherno e d'orrore a coloro che, più di Alessio, aveano diritto di odiare e di punir l'assassino dell'imperatore Isacco, e del figliuolo d'Isacco. Straziato dalla tema e dai rimorsi, tentava rifuggirsi in Asia, allorchè i Latini di Costantinopoli lo sorpresero, ed instituito un pubblico giudizio, ad ignominiosa morte il dannarono. I giudici dopo avere esitato, nella scelta del supplizio, tra la mannaia, la ruota, e il palo, fecero collocare Murzuflo126 sulla cima di una colonna di marmo bianco, alta cenquarantasette piedi, e detta la Colonna di Teodosio (A. D. 1204-1222)127. Dall'alto di questa, fu precipitato capo volto a basso, e il cranio ne rimase infranto alla presenza di numerosissimo popolo assembrato nel Foro del Tauro che vedea con maraviglia in questo singolare spettacolo la spiegazione e il compimento di un'antica profezia128. Men tragico fu il destino di Alessio: il Marchese lo inviò in dono al Re de' Romani in Italia. Condannato a perpetua prigionia, l'usurpatore venne trasferito da una Fortezza dell'Alpi in un monastero dell'Asia, senza guadagnare molto nel cambio. Ma prima della caduta di Costantinopoli Alessio avea conceduta la sua figlia in isposa ad un giovane eroe che riedificò e tenne il trono de' principi greci129. Teodoro Lascaris, segnalato erasi per valore nei due assedj di Bisanzo. Dopo la fuga di Murzuflo, ed essendo già i Latini padroni della città, si offerse per Imperatore ai soldati ed al popolo, offerta che in tal momento poteva essere un atto di virtù, e certamente fu grande prova in lui di coraggio. Se nello stesso tempo gli fosse stato lecito infondere un'anima a quelle vili turbe, avrebbero calpestato sotto i lor piedi gli stranieri che lor sovrastavano; ma codardi i Greci nella disperazione, il soccorso di lui ricusarono, onde Teodoro fu costretto ripararsi nella Natolia, per respirare ivi un'aura d'independenza, libero dal vedere e dal paventare i conquistatori della sua patria. Sotto il titolo di despota, poscia d'Imperatore, unì a' suoi stendardi il piccolo numero d'uomini coraggiosi che il disprezzo della vita facea tuttavia forti contro la schiavitù; e riguardando come legittimo ogni atto che alla salvezza pubblica potesse giovare, non ebbe scrupolo d'invocare l'alleanza del Sultano de' Turchi. Posta in Nicea Teodoro la sua residenza, Prusa, Filadelfia, Smirne ed Efeso apersero le porte al loro liberatore. Le vittorie, e persin le sconfitte in forza e rinomanza lo accrebbero, e successore di Costantino, ne serbò quella parte d'Impero, che dal Meandro ai sobborghi di Nicomedia e in appresso a quelli di Costantinopoli si estendea. Anche l'erede legittimo de' Comneni, figlio del virtuoso Manuele, e pronipote del feroce Andronico, possedeva in lontana provincia una debole parte di questo impero: nomavasi Alessio, e il soprannome datogli di Grande probabilmente più alla sua statura che alle sue imprese si riferiva. I principi della dinastia, degli Angeli, senza aombrarsi della sua origine, lo aveano nominato governatore o duca di Trebisonda130: la sua nascita gli ispirava ambizione, la caduta dell'Impero gli fruttò independenza. Senza cambiare di titolo, regnò tranquillamente sulla costa del Mar Nero da Sinope sino al Fasi. Il figlio che a lui succedè, e del quale ignorasi il nome, è conosciuto soltanto come vassallo del Sultano che egli seguiva con dugento lancie alla guerra; ma il titolo di Duca di Trebisonda in questi due Comneni durò, e unicamente Alessio, pronipote del primo d'essi, spinto da orgoglio e da gelosia assunse il titolo d'Imperatore. Anche nella parte occidentale dell'Impero, Michele, bastardo della dinastia degli Angeli

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