Читать книгу «Un’esca per Zero» онлайн полностью📖 — Джека Марса — MyBook.
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Quasi come in risposta, il lamento dei motori si arrestò e la nave rallentò. Eun-ho sentì un brivido, questa volta non dovuto all'acqua gelida o al vento pungente. Il sole stava sorgendo, trasformando in azzurro l'acqua scura e riempiendo il cielo di riflessi rosati.

"Signori". L'uomo che rispondeva al nome di Kim, solo Kim, in piedi vicino alla prua, si rivolse a tutti prima in coreano e poi in inglese, per coloro che non conoscevano la lingua. I suoi occhiali dalla montatura circolare e la stempiatura dei capelli lo rendevano particolarmente simile al classico stereotipo degli scienziati dei romanzi di fantascienza, quelli che costruivano. “Oggi è un giorno importante. È il culmine di due anni di duro lavoro collettivo. È un peccato che così poche persone possano essere presenti a questo evento. Ma state tranquilli, amici miei, il mondo ricorderà i vostri nomi".

"Sempre che questa diavoleria funzioni", borbottò Sun sottovoce.

Eun-ho trattenne a stento una risatina.

"Cominciamo", disse Kim. Fece un cenno a un altro, che si trovava davanti a un complicato pannello di controllo per tre persone proprio dietro il timone della Glimmer, separato dal resto della nave da uno spesso scudo che Eun-ho sapeva essere a prova di proiettile. L'uomo spinse una chiave in una fessura, la girò e inserì una combinazione di quattro cifre sulla tastiera.

Le porte di alluminio al centro della nave si sollevarono con un forte ronzio, aprendosi verso l'esterno come una coppia di porte Bilco. Il ronzio si fece ancora più forte quando venne attivato l'ascensore idraulico. In pochi istanti, l'arma si erse dalle viscere della Glimmer come una presenza angelica che si disvela. Era uno spettacolo bellissimo da vedere.

Perfino i più istruiti sulla questione avrebbero sostenuto che un’arma al plasma non poteva essere altro che una congettura teorica, ai limiti della fantascienza, eppure loro ne avevano costruita una. Due anni di lavoro, giorno e notte, relazioni interpersonali sacrificate, vite e carriere dimenticate, alcune delle menti più brillanti del mondo orientale e occidentale e un investimento di denaro a dir poco esagerato avevano permesso di arrivare alla costruzione di un'arma che fino a poco tempo prima si pensava non sarebbe mai esistita.

L'ascensore idraulico aveva portato l'arma tre metri più in alto rispetto allo scafo della Glimmer. Le due rotaie parallele, essenzialmente la "canna" dell'arma, erano lunghe sei metri e consistevano in una coppia di elettrodi ultra robusti lungo i quali un'armatura di particelle ionizzate simili a gas scivolava a una velocità pari a sette volte la velocità del suono. La distanza di tiro effettiva, secondo il modello, poteva andare dai duecentoquaranta ai trecentoventi chilometri.

Le parole di Sun echeggiarono nella testa di Eun-ho. Sempre che questa diavoleria funzioni. Ovviamente, tutte le componenti dell'arma erano importanti, ma gli piaceva pensare che il suo lavoro sull'arma fosse probabilmente il più importante; dopo tutto, se l'arma non fosse riuscita a sparare il suo proiettile al plasma, sarebbe stata completamente inutile.

Non era superstizioso, ma incrociò comunque le dita.

"Tieni", borbottò Sun mentre gli porgeva un paio di spessi binocoli neri.

Eun-ho li prese con un cenno del capo. “Dove?”

Sun indicò ed Eun-ho guardò in quella direzione. Riusciva a scorgere a malapena una forma vaga di fronte al sole che sorgeva. La chiatta per il trasporto di rifiuti era lunga settanta metri e proveniva da Seoul. Era priva di equipaggio, dotata esclusivamente di luci fioche per impedire che qualcuno vi si scontrasse nella notte. La chiatta era stata ancorata lì tre settimane prima, proprio in quel punto, con uno scopo ben preciso.

Si trovava a soli diciotto chilometri. Il test di oggi non era altro che un viaggio inaugurale, per così dire, non volta a testare il range massimo di azione, ma l'efficacia, la precisione, la potenza e, come Sun aveva argutamente sottolineato, che quella diavoleria funzionasse.

"Pronto?", chiese Kim.

L'arma venne azionata. Eun-ho sapeva che, negli otto secondi necessari affinché l'arma si caricasse era necessario inserire le coordinate dell'obiettivo e, istantaneamente, l'arma avrebbe corretto la sua traiettoria.

“È pronta", rispose l'uomo alla cabina di comando.

Kim diede una rapida occhiata ai suoi colleghi. Quindi con un cenno secco della testa disse: "Fuoco".

Successe tutto così in fretta che Eun-ho non ebbe nemmeno il tempo di realizzare completamente quello che vide. In un istante, o anche meno, una scintilla blu di plasma percorse gli elettrodi dell'arma. Altrettanto velocemente, li abbandonò. Non ci fu alcun suono assordante, nessuno scoppio, nessun suono acuto risuonò nelle sue orecchie. Si sentì semplicemente uno strano rumore, come un tonfo, e si vide un luccichio di plasma blu. Poco più che una scintilla, un bagliore.

Un istante dopo, a diciotto chilometri di distanza, la chiatta esplose. Anche da quella distanza la potenza di quell'esplosione lo fece rabbrividire. Un momento prima la chiatta si vedeva all'orizzonte, con l'aiuto di un binocolo, e un istante successivo un'esplosione di fuoco fece volare pezzi della nave per varie centinaia di metri e illuminò le prime ore del mattino.

Pochi secondi dopo, ciò che rimaneva dell'obiettivo affondò nelle gelide acque dell'Oceano Pacifico del Nord.

In momenti come questo, molti grandi uomini avevano pronunciato una frase o una dichiarazione, preparata con lungimiranza nella speranza che le loro parole potessero essere riportate in futuro in un testo di storia, o citate su internet, o almeno notate dai presenti. Ma Eun-ho non aveva preparato alcuna dichiarazione e in quel momento riuscì a proferire una sola sillaba.

“Uh!".

La prova era andata straordinariamente bene. Quella diavoleria funzionava perfettamente. Dove poco prima c'era una chiatta, ora non c'era altro che acque schiumose. La forza distruttiva dell'arma era immensa, non si avvicinava nemmeno lontanamente a quella di un missile, ma superava di gran lunga quella di qualsiasi altra arma esplosiva. Era un'arma tattica, un'arma precisa; i suoi bersagli potevano essere piccoli, strategici e persino mobili. Poteva affondare navi, abbattere aerei o persino difendersi dai missili. La sua capacità di correggere la rotta quasi istantaneamente e la velocità del proiettile al plasma avrebbero vanificato qualsiasi tentativo di difesa. Il suo unico svantaggio erano gli otto secondi necessari per caricare prima di sparare, e anche quello era un tempo irrisorio in confronto a quello impiegato dai missili a lungo raggio, dai siluri o dai cannoni da battaglia. Le sue dimensioni relativamente ridotte rendevano semplice il trasporto e la sua tecnologia avanzata la rendeva praticamente invisibile a qualsiasi nemico, anche nelle immediate vicinanze.

Quell'arma al plasma avrebbe potuto rivoluzionare le guerre moderne. Ma non era quella l'intenzione con cui era stata costruita, almeno questo era stato detto a Eun-ho e ai suoi colleghi. Nonostante i molti miliardi investiti nella creazione dell'arma (la Corea del Sud era al decimo posto nella lista dei paesi con il budget militare più alto del mondo), ne avrebbero prodotte altre cinque e tutte insieme quelle armi avrebbe protetto non solo il confine tra loro e la Corea del Nord, ma avrebbero anche scongiurato gli attacchi di qualsiasi potenziale nemico o invasore. Il loro intento non era quello di diventare una potenza militare più forte o di distruggere chiunque non fosse un aggressore; volevano semplicemente proteggere e salvaguardare il loro popolo, niente più.

E lui, Eun-ho Park, era tra i responsabili del benessere della sua gente. Aveva contribuito a rendere possibile un progetto del genere. Anche il vento pungente di febbraio sull'oceano non poteva smorzare l'immensa sensazione di orgoglio che pulsava sotto il suo parka…

“Dottor Kim!” l'uomo dietro la console urlò all'improvviso. "Una barca!"

Eun-ho si girò rapidamente e i suoi occhi si spalancarono quando vide che l'uomo non stava guardando il display radar della sua console, ma stava indicando oltre la prua. Una barca si stava avvicinando a loro, a non più di un chilometro e mezzo di distanza, e si faceva sempre più vicina.

Il test dell'arma li aveva distratti e avevano abbassato la guardia. Pensavano di essere al sicuro, in mezzo all'oceano.

"Ma che diavolo…?" Sbottò il dottor Kim. "Chi sono?"

Eun-ho si rese conto di avere ancora il binocolo di Sun tra le mani. Lo portò al viso e mise a fuoco. Non sapeva molto di barche, ma ciò che sapeva era sufficiente per poter capire che la nave in avvicinamento non era militare e non era certo nuova come la Glimmer. Lo scafo scheggiato e sbiadito suggeriva che questa barca avesse subito un po' di usura… e si potevano vedere fori di proiettile sui lati.

Guardò il ponte e per poco non si fece sfuggire un sussulto. Gli uomini a bordo indossavano vestiti pesanti per il freddo, ma riusciva comunque a scorgere la pelle scura: erano africani. Avevano delle pistole tra le mani.

Eun-ho non era un esperto di navi, ma conosceva bene le armi e riconobbe un'AK-47.

"Signore", disse timidamente a Kim. "Non so come spiegarlo, ma credo che siano… pirati".

"Dammi qua". Kim quasi strappò il binocolo dalle mani di Eun-ho. Mentre guardava nel binocolo, il dottore quasi rimase a bocca aperta dallo stupore.

Ovviamente tutti avevano sentito parlare dei pirati moderni, in particolare di quelli che provenivano dalla Somalia. Ma quel che si sapeva di loro è che fossero molto legati al loro territorio e che le loro prede fossero le imbarcazioni in rotta nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico. Certamente non nel Nord del Pacifico. Erano a migliaia di chilometri di distanza dai loro territori.

Il tedesco si alzò in piedi, fissando la prua, socchiudendo gli occhi per vedere meglio. Si slacciò la fondina di nylon in vita ed estrasse la pistola nera opaca con un movimento così fluido che sembrò che l'arma fosse magicamente apparsa dal nulla tra le sue mani.

Poi Sun parlò.

"Puntate l'arma su di loro".

Il dottor Kim lo guardò con un'espressione di assoluta incredulità. "Sei pazzo? Vuoi semplicemente ucciderli?”

"Sono armati," mormorò il tedesco. "Fucili d'assalto".

"Hanno visto tutto", insistette Sun. “Ci hanno visto sparare con l'arma e stanno venendo verso di noi. Non è il caso di esitare. Puntala su di loro".

Eun-ho si sentì stringere lo stomaco dal panico. Era strano pensare come, in tutti quegli anni di ricerche, non avesse mai considerato nemmeno una volta che quell'arma avrebbe potuto essere utilizzata per strappare delle vite. Lui sarebbe stato in parte responsabile di quelle uccisioni. Aveva realizzato personalmente i proiettili. Eppure eccoli lì, di fronte a una vera e propria minaccia.

"Hai circa quindici secondi per decidere", annunciò il tedesco con il suo accento aspro, più forte di tutte le parole che Eun-ho gli aveva sentito pronunciare prima.

"No", disse Kim con fermezza. “Possiamo seminarli facilmente. Accendi i motori!”

"Prima dobbiamo ritirare l'arma…" balbettò l'uomo alla console.

"Allora fallo!" Strillò Kim. "Subito, veloce!"

"Ma hanno visto tutto!" Insistette nuovamente Sun.

"Dieci secondi", intervenne il tedesco.

Una raffica di spari automatici squarciò l'aria, così forte e improvvisa che Eun-ho istintivamente si mise le mani sopra la testa. Sentì il trambusto dell'ascensore idraulico che riportava il cannone al plasma all'interno dello scafo della Glimmer. Udì le grida, quelle in preda al panico, quelle polemiche dei suoi colleghi, e poi altre, gutturali, concitate e incomprensibili al suo orecchio, in una lingua che non era né coreano, né inglese e nemmeno mandarino, lingue che Eun-ho parlava fluentemente, ma che suonavano infuriate, minacciose e pericolose allo stesso tempo.

Quando ebbe il coraggio di guardare di nuovo, la barca pirata, poiché ormai si era convinto che fossero davvero dei pirati, si era avvicinata ancora di più e aveva rallentato, posizionandosi perpendicolarmente alla prua della Glimmer e rendendole impossibile avanzare.

"Inversione, adesso!" Kim urlò non appena le porte si richiusero sopra l'arma.

L'uomo alla console mise una mano sull'acceleratore e, quasi contemporaneamente, un singolo, forte sparo fece sobbalzare Eun-ho. La testa del pilota scattò a destra mentre una nuvola di nebbia rossa si posava sul mare alle sue spalle.

Il tedesco abbassò la pistola. Il silenzio e l'incredulità del momento che seguì fu schiacciante; l'uomo alla console cadde sul pontile. I pirati guardavano. I colleghi di Eun-ho rimasero assolutamente immobili. Le loro gambe si erano improvvisamente fatte di pietra.

E in quel momento, il tedesco si voltò e sparò immediatamente un secondo colpo sulla fronte di Kim.

Questo scosse tutto l'equipaggio. In molti gridarono. Due si precipitarono in avanti, Sun e un altro uomo, Bong, se Eun-ho ricordava correttamente il suo nome. Raggiunsero il tedesco ma lui si limitò a torcere il corpo e, senza nemmeno puntare la pistola, alzò il gomito. Questo colpì il naso di Sun con uno scricchiolio nauseante, sollevando spruzzi di sangue che raggiunsero il viso di Eun-ho. Con la stessa morbidezza con cui aveva sfoderato l'arma, il tedesco si girò la pistola nel palmo, facendola roteare e colpendo Bong con l’impugnatura della pistola proprio dietro la mascella.

Le gambe di Eun-ho si trasformarono in gelatina e le sue ginocchia si piegarono, facendolo cadere sul pontile. Risuonarono altri due colpi in rapida successione, e sebbene avesse già chiuso gli occhi, sentì distintamente il suono di due corpi che cadevano.

Si sentì un fragore d’acqua, e poi un altro: colleghi che avevano scelto di lanciarsi dal ponte.