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O P E R A Z I O N E P R E S I D E N T E

(UN THRILLER DI LUKE STONE – LIBRO 5)

J A C K M A R S

Jack Mars

Jack Mars è l’autore bestseller di USA Today della serie di thriller LUKE STONE, che per ora comprende sette libri. È anche autore della nuova serie prequel FORGING OF LUKE STONE, e della serie spy thriller AGENTE ZERO.

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Copyright © 2017 di Jack Mars. Tutti i diritti riservati. Salvo per quanto permesso dalla legge degli Stati Uniti U.S. Copyright Act del 1976, è vietato riprodurre, distribuire, diffondere e archiviare in qualsiasi database o sistema di reperimento dati questa pubblicazione in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza il permesso dell’autore. Questo e-book è disponibile solo per fruizione personale. Questo e-book non può essere rivenduto né donato ad altri. Se vuole condividerlo con altre persone, è pregato di aggiungerne un’ulteriore copia per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro senza aver provveduto all’acquisto, o se l’acquisto non è stato effettuato unicamente per il suo uso personale, è pregato di restituirlo e acquistare la sua copia. La ringraziamo del rispetto che dimostra nei confronti del duro lavoro dell’autore. Questa storia è opera di finzione. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono frutto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo romanzesco. Ogni riferimento a persone reali, in vita o meno, è una coincidenza. Immagine di copertina Copyright Keith Lamond, utilizzata con il permesso di Shutterstock.com.

LIBRI DI JACK MARS

SERIE THRILLER DI LUKE STONE

A OGNI COSTO (Libro 1)

IL GIURAMENTO (Libro 2)

SALA OPERATIVA (Libro 3)

CONTRO OGNI NEMICO (Libro 4)

OPERAZIONE PRESIDENTE (Libro 5)

IL NOSTRO SACRO ONORE (Libro 6)

CASA DIVISA (Libro 7)

SERIE PREQUEL CREAZIONE DI LUKE STONE

OBIETTIVO PRIMARIO (Libro 1)

COMANDO PRIMARIO (Libro 2)

AGENTE ZERO SPY SERIES

IL RITORNO DELL’AGENTE ZERO (Libro #1)

OBIETTIVO ZERO (Libro #2)

LA CACCIA DI ZERO (Libro #3)

INDICE

CAPITOLO UNO

CAPITOLO DUE

CAPITOLO TRE

CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO CINQUE

CAPITOLO SEI

CAPITOLO SETTE

CAPITOLO OTTO

CAPITOLO NOVE

CAPITOLO DIECI

CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO DODICI

CAPITOLO TREDICI

CAPITOLO QUATTORDICI

CAPITOLO QUINDICI

CAPITOLO SEDICI

CAPITOLO DICIASSETTE

CAPITOLO DICIOTTO

CAPITOLO DICIANNOVE

CAPITOLO VENTI

CAPITOLO VENTUNO

CAPITOLO VENTIDUE

CAPITOLO VENTITRÉ

CAPITOLO VENTIQUATTRO

CAPITOLO VENTICINQUE

CAPITOLO VENTISEI

CAPITOLO VENTISETTE

CAPITOLO VENTOTTO

CAPITOLO VENTINOVE

CAPITOLO TRENTA

CAPITOLO TRENTUNO

CAPITOLO TRENTADUE

CAPITOLO TRENTATRÉ

CAPITOLO TRENTAQUATTRO

CAPITOLO TRENTACINQUE

CAPITOLO TRENTASEI

CAPITOLO TRENTASETTE

CAPITOLO TRENTOTTO

CAPITOLO TRENTANOVE

CAPITOLO QUARANTA

CAPITOLO QUARANTUNO

CAPITOLO QUARANTADUE

CAPITOLO QUARANTATRÉ

CAPITOLO QUARANTAQUATTRO

CAPITOLO QUARANTACINQUE

CAPITOLO QUARANTASEI

CAPITOLO QUARANTASETTE

CAPITOLO QUARANTOTTO

La morte è un destino più dolce che la tirannia.

Eschilo

Due anni dopo…

CAPITOLO UNO

2 novembre

2:35 ora della costa orientale

Vicino al Tidal Basin- Washington DC

“Ok,” disse l’uomo, il fiato che si perdeva in nuvole bianche. “Che ci facciamo qui?”

Era tardi, e la notte era gelida con la pioggerellina che cadeva.

L’uomo si chiamava Patrick Norman, e stava parlando da solo. Era un investigatore, un uomo abituato a trascorrere lunghi periodi di tempo da solo. Parlare da solo faceva parte del lavoro.

Si trovava sul sentiero di cemento lungo la riva. Non c’era nessun altro in giro. Un attimo prima quello che sembrava un senzatetto si trovava disteso sotto dei giornali su una panchina a una cinquantina di metri di distanza. Adesso quell’uomo era sparito, e i giornali erano sparpagliati sul terreno bagnato.

Dal suo punto di osservazione, Norman riusciva a vedere il Lincoln Memorial lontano alla sua destra. Dritto davanti a lui e dall’altra parte del Tidal Basin c’era la cupola del Jefferson Memorial, illuminata da luccicanti azzurri e verdi. Le luci scintillavano sull’acqua.

Norman lavorava in quell’ambito da molto, e quello era il tipo di riunione che gli dava soddisfazione. A tarda notte, in un luogo isolato, con qualcuno che nascondeva la propria identità – rischioso, però era stato esattamente quel tipo di cose ad averlo ripagato, in passato. Altrimenti in quel momento non si sarebbe trovato lì.

Un uomo percorse lentamente il sentiero verso di lui. Era alto, indossava un lungo impermeabile e un cappello dall’ampia falda abbassato sul viso. Norman lo osservò avvicinarsi.

D’un tratto alle sue spalle ci fu del movimento. Norman si voltò, e c’erano altri due uomini. Uno era il senzatetto di prima. Era nero, in pantaloni da lavoro laceri e un pesante parka invernale. Il parka era bagnato e macchiato e sporco. Aveva i capelli ritti in strambi ciuffi e ricci sulla cima della testa. Il secondo uomo era solo un altro indefinito signor nessuno con impermeabile e cappello. Aveva folti baffi neri – se Norman avesse poi dovuto descriverlo, sarebbe stato questo il massimo che avrebbe saputo fare. Era troppo sconvolto sul momento per assorbire tanti dettagli.

“Come posso aiutarvi, signori?” disse Norman.

“Signor Norman,” disse l’uomo alto dietro di lui. Aveva una voce molto profonda. “Penso di essere la persona con cui vuol parlare.”

Norman sentì le spalle crollargli. Stavano giocando. Se quegli uomini avessero voluto fargli del male, probabilmente l’avrebbero già fatto. La cosa lo sollevò un po’ – quella era gente del governo. Fantasmi. Spie. Operativi dell’intelligence, si sarebbero definiti loro. La cosa lo infastidiva anche un po’. Nessuna misteriosa fonte con informazioni per lui. Quelli lì lo avevano trascinato là fuori in una notte piovosa per dirgli… cosa?

Gli stavano facendo perdere tempo.

Norman si voltò di nuovo per guardare in faccia l’uomo. “E lei chi è?”

Fece spallucce. Si mostrò un sorriso appena sotto all’ombra del cappello. “Chi sono non ha importanza. Ha importanza per chi lavoro. E posso dirle che i miei capi non sono contenti del livello del suo lavoro.”

“Sono il meglio che ci sia,” disse Norman. Lo disse senza esitare. Lo disse perché ci credeva. Su altro si poteva discutere. Ma una cosa che non era mai stata messa in questione era la qualità del lavoro che svolgeva.

“È quello che credevano anche loro, quando l’hanno assunta. Penso che sarà d’accordo sul fatto che sono stati pazienti. L’hanno pagata per un anno senza risultati. Però, improvvisamente è passato tutto questo tempo, e adesso i giochi sono quasi fatti. Sono costretti a prendere un’altra direzione, una direzione che speravano di non prendere. Le elezioni si svolgeranno tra cinque giorni.”

Norman scosse il capo. Sollevò le mani, i palmi verso l’alto, sui fianchi. “Cosa posso dirvi? Volevano che trovassi prove di corruzione, e le ho cercate. Non ce ne sono. Quella può essere tante cose, ma non corrotta. Non ha legami con l’attività del marito, né formali né informali. Il marito non gestisce neanche più gli affari quotidiani dell’azienda, e l’azienda non ha contratti governativi, né qui né altrove. Tutti i suoi capitali prematrimoniali vengono gestiti in un blind trust, senza apporto da parte sua – misura che ha preso quando si è guadagnata un posto in Senato quindici anni fa. Non ci sono prove di tangenti di nessun tipo, nemmeno un accenno o una voce.”

“Quindi ha fallito nel trovare qualcosa?” disse l’uomo.

Norman annuì. “Ho fallito nel…”

“Ha fallito, in altre parole.”

Un bagliore di luce apparve nella mente di Norman, una cosa che non aveva considerato perché prima non gli era mai stata chiesta.

“Volevano che trovassi qualcosa,” disse. “Che ci fosse oppure no.”

Gli uomini attorno a lui non dissero nulla.

“Se era così, perché non me l’hanno detto dall’inizio? Avrei detto loro di attaccarsi, e non avremmo mai avuto questa incomprensione. Se volete inventare brutte notizie, non assumete un investigatore. Assumete un pubblicitario.”

L’uomo si limitò a fissarlo. Il suo silenzio, e il silenzio dei suoi due accoliti, era snervante. Norman sentì il cuore accelerare il battito. Gli tremò appena il corpo.

“Ha paura, signor Norman?”

“Di voi? Neanche un po’.”

L’uomo guardò i due dietro a Norman. Afferrarono Norman senza una parola, ciascuno eseguendo su di lui una dolorosa mossa armbar, uno per lato. Gli strattonarono le braccia dietro alla schiena e lo costrinsero a mettersi in ginocchio. L’erba bagnata gli inzuppò istantaneamente i pantaloni.

“Ehi!” urlò. “Ehi!”

Urlare era una vecchia tecnica di fuga che aveva imparato a una lezione di autodifesa anni prima. Era stata di aiuto un paio di volte. Quando si era sotto attacco, urlare più forte che si poteva. La cosa sconvolgeva l’aggressore, e spesso faceva scappare la gente. Nessuno se lo aspettava, perché la gente normale raramente alza la voce. La maggior parte delle vittime non lo fa mai. Era una verità dolorosa – molta gente a quel mondo era stata rapinata o violentata o assassinata perché troppo educata per urlare.

Norman raccolse il fiato per il grido più forte della sua vita.

L’uomo gli strattonò la testa verso l’alto dai capelli e gli ficcò in bocca uno straccio. Era uno straccio grande, bagnato e sporco di petrolio o benzina o di qualche altra sostanza nociva, e l’uomo glielo spinse in profondità. Gli ci vollero molte spinte violente per ficcarlo fino in fondo. Norman non riuscì a credere a quanto arrivò in profondità, e a quanto gli riempisse tutta la bocca. La mascella gli si spalancò al massimo.

Non poteva far tornar su lo straccio. L’odore disgustoso che aveva, il sapore, lo facevano soffocare. La gola gli si mise in moto. Se avesse vomitato, sarebbe morto asfissiato.

“Ga!” disse Norman. “Ga!”

L’uomo gli diede uno schiaffo a lato della testa.

“Zitto!” sibilò.

Gli era caduto il cappello dal capo. Adesso Norman gli vedeva i feroci e pericolosi occhi azzurri. Erano occhi privi di pietà. Erano anche privi di rabbia. O allegria. Non tradivano emozioni di nessun tipo. Dall’interno del cappotto estrasse una pistola nera. Un secondo dopo estrasse un lungo silenziatore. Lentamente, con cautela, senza nessuna fretta, avvitò il silenziatore nella canna della pistola.

“Sa,” disse, “che rumore farà questa pistola quando avrà sparato?”

“Ga!” disse Norman. Gli tremava tutto il corpo senza controllo. Il sistema nervoso era impazzito – così tanti messaggi in arrivo tutti insieme, nel tentativo di spostarsi attraverso l’apparato, che Norman era congelato sul posto. Tutto ciò che riusciva a fare era tremare.

Per la prima volta, si accorse che l’uomo indossava guanti neri di pelle.

“Farà il rumore di un colpo di tosse. È così che la penso io di solito. Qualcuno ha tossito, una volta, e ha cercato di farlo piano per non disturbare nessun altro.”

L’uomo premette la pistola a lato della testa di Norman.

“Buonanotte, signor Norman. Mi dispiace che non abbia svolto il lavoro.”

* * *

L’uomo abbassò lo sguardo sui resti di Patrick Norman, ex investigatore indipendente. Era stato un uomo alto e magro con addosso un trench grigio con sotto un completo blu. Aveva la testa devastata, il lato destro esploso in un grosso foro d’uscita. Attorno alla testa del sangue si riversava sull’erba bagnata e scorreva per il sentiero. Se fosse continuato a piovere, probabilmente il sangue sarebbe stato lavato via.

Ma il corpo?

L’uomo porse la pistola a uno dei suoi assistenti, quello che prima, quella sera, aveva finto di essere un senzatetto. Il senzatetto, che pure indossava i guanti, si accucciò sul corpo e premette la pistola nel palmo destro del morto. Meticolosamente, premette ciascun dito di Norman sulla pistola in vari punti. Lasciò cadere l’arma a circa quindici centimetri dal corpo.

Poi si alzò e scosse la testa con tristezza.

“Che peccato,” disse con accento londinese. “Un altro suicidio. Immagino che trovasse il lavoro stressante. Troppi contrattempi. Troppe delusioni.”

“La polizia ci crederà?”

L’inglese offrì il fantasma di un sorriso.

“Neanche un po’.”

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