Dublin Road era un tratto di asfalto a due corsie che si snodava nella foresta. Alberi torreggianti su entrambi i lati della strada scortarono Mackenzie fino alla residenza di Amy Lucas. Si sentì come trasportata indietro nel tempo, soprattutto quando raggiunse la casa e vide la vecchia Cadillac posata sui blocchi di cemento in fondo al vialetto di ghiaia.
Parcheggiò dietro l'unica altra automobile nel vialetto, una Honda molto più recente, quindi scese. Mentre saliva sulla veranda, pensò al signor Atkins che le aveva raccontato di sua madre e di Amy che giocavano a carte proprio in quel punto. La consapevolezza che sua madre un tempo si trovasse su quel portico le fece procurò un piccolo brivido.
Mackenzie bussò alla porta e subito aprì una donna che era solo l’ombra del ricordo che Mackenzie aveva di lei. Amy Lucas sembrava essere sulla cinquantina e aveva lo sguardo tipico di una persona perennemente sospettosa degli altri. I capelli castani erano già diventati quasi completamente grigi. Li portava tirati indietro a rivelare una fronte piena di vecchie cicatrici da acne. Tra le dita della mano destra reggeva una sigaretta accesa, il fumo che rientrava dentro casa.
"Signora Lucas?" chiese Mackenzie. "Amy Lucas?"
"Sono io" disse quella. "Lei chi è?"
Mackenzie esibì il distintivo e ripeté la solita tiritera. "Mackenzie White, FBI. Speravo di poterle rivolgere..."
"Mac! Santo cielo! Che ci fai in città? "
Il fatto che la donna a quanto pare si ricordasse perfettamente di lei la disorientò un po’, ma ciononostante Mackenzie riuscì a mantenere la calma. "In realtà sto lavorando a un caso e speravo potesse essermi d’aiuto."
"Io?" Poi scoppiò a ridere e quella risata roca tradì le innumerevoli sigarette fumate negli anni, che ormai le stavano rovinando i polmoni.
"Ecco, riguarda il caso di mio padre. E francamente, mia madre e io non siamo più in buoni rapporti. Speravo che potesse aiutarmi a far luce su alcune cose."
Gli occhi sospettosi della donna si strinsero per un momento, poi Amy annuì facendosi da parte. "Entra" le disse.
Appena Mackenzie mise piede in casa, il tanfo del fumo di sigaretta la colpì in viso come uno schiaffo. Era quasi una nuvola visibile sospesa in casa. Amy le fece strada attraverso un piccolo atrio fino in soggiorno, dove si accomodò su una vecchia poltrona sgangherata.
Mentre Mackenzie si sedeva sul bordo di un divano sul muro opposto, dovette sforzarsi di non dare a vedere che stesse cercando di non tossire per tutto il fumo di sigaretta.
"Ho saputo di suo marito" disse Mackenzie. "Le mie condoglianze."
"Sì, è stato un giorno triste, ma sapevamo che sarebbe arrivato. Il cancro può essere uno stronzo. Però... lui era pronto ad andarsene. Il dolore era talmente intenso verso la fine."
Non c'era un modo facile per cambiare argomento e, dal momento che Mackenzie non aveva mai considerato l'arte della conversazione il suo punto di forza, fece del proprio meglio per arrivare al punto senza sembrare scortese.
"Dunque, sono tornata in città per cercare di trovare maggiori dettagli sull'omicidio di mio padre. Il caso è rimasto freddo per moltissimo tempo, ma un'altra serie di omicidi in altre parti dello stato ci ha fatto riaprire le indagini. Volevo venire da lei perché a quanto ne so è stata vicina a mia madre. Mi chiedevo se potesse dirmi qualcosa sullo stato in cui si trovava nei giorni immediatamente prima e subito dopo la morte di mio padre."
Amy tirò una boccata dalla sigaretta e si appoggiò allo schienale della sedia. Non sembrava più sospettosa, adesso era piuttosto triste.
"Cavolo, mi manca tua madre. Come sta?"
"Non lo so" replicò Mackenzie. "Non ci parliamo da più di un anno. Come può ben immaginare, tra noi ci sono questioni irrisolte. "
Amy annuì. "È mai riuscita a uscire da quella... casa?"
Intende il reparto psichiatrico, pensò Mackenzie. "Sì. Poi si è trovata un appartamento da qualche parte e ha vissuto la sua vita. Lasciandosi me e Stephanie alle spalle."
"Quando tuo padre morì, fu così difficile per lei" disse Amy. "Il fatto che fosse proprio lì sul divano, quando è successo... l'ha mandata fuori di testa."
Sì, ha mandato anche me fuori di testa, pensò Mackenzie. "Già, è stato così per tutti noi. La mamma le ha mai detto niente riguardo a quella notte? Magari cose che ha visto o sentito? "
"Non che riesca a ricordare. So che era ossessionata dall'idea che la porta non fosse chiusa a chiave... che la persona che entrò e uccise tuo padre fosse riuscita a entrare in casa senza difficoltà. Il fatto che sarebbe potuto accadere a te o tua sorella la spaventava a morte."
"Questo è il punto" disse Mackenzie. "Tutti gli altri sono rimasti sani e salvi. L'assassino voleva solo mio padre. La mamma ha mai condiviso con lei delle cose su mio padre che ha trovato strane? Magari dei motivi per cui qualcuno potesse volerlo morto? "
"Onestamente, tua madre parlava solo di quanto fosse sexy con quell'uniforme della polizia. Era un detective nell’ultimo periodo, giusto?"
"Esatto. Quindi... alla mamma piaceva il fatto che fosse un poliziotto o la metteva a disagio?"
"Un po' entrambe le cose, immagino. Era molto orgogliosa di lui, ma era sempre preoccupata. È per questo che beveva così tanto. Era sempre preoccupata che potesse capitargli qualcosa e il bere era il suo modo di gestire lo stress."
"Capisco…"
"Senti, so che alcune voci che circolano in città potrebbero non essere così belle, ma tua madre amava tuo padre. Lo amava molto. Lui aveva fatto di tutto per supportarla. Quando era diventato per la prima volta un poliziotto e riuscivano a malapena a sbarcare il lunario, aveva persino ottenuto un prestito e comprato un minuscolo condominio fuori città. Per due anni provò a fare l’affittacamere, ma non faceva per lui. Il reddito però era sufficiente per tenerli a galla."
"Questo a quando risale?" volle sapere.
"A prima arrivassi tu, di sicuro" disse Amy. "Allora eravamo tutti così giovani. Dio, non riesco a credere di aver dimenticato certe cose così facilmente... "
Mackenzie non poté fare a meno di sorridere. Era bastato così poco e già aveva imparato qualcosa di nuovo su suo padre. Certo, forse lui e sua madre avevano menzionato di sfuggita la storia degli appartamenti in affitto, ma se anche l'avevano fatto, lei non ci aveva mai dato peso.
"Amy, quando è stata l'ultima volta che ha parlato con mia madre?"
"Il giorno prima che partisse per andare in quella casa. Non per infierire, ma anche allora penso che fosse arrabbiata con te. Anche se non ha mai rivelato il motivo della sua rabbia."
"E ha detto qualcosa su mio padre?"
"Ha detto che è successo come in un incubo. Che era colpa sua e che avrebbe dovuto essere in grado di fermarlo. Io ho pensato che fosse solo il senso di colpa per essere rimasta addormentata e non essersi svegliata quando il killer entrò in casa con la pistola. "
“C'è qualcos'altro che le viene in mente?” chiese Mackenzie.
Mentre Amy rifletteva, Mackenzie si era aggrappata a una cosa che la donna aveva detto. Lei avrebbe dovuto essere in grado di fermarlo.
Sembra una cosa strana da dire, alla luce di quanto successo.
Lei sa qualcosa. Lo ha sempre saputo e ho sempre avuto troppa paura per chiederglielo...
Merda. Devo chiamarla.
Amy alla fine rispose: "No, niente che io riesca a ricordare. Ma adesso hai rimesso in moto i miei ricordi del passato. Se mi viene in mente qualcos'altro, sicuramente te lo farò sapere."
"Lo apprezzerei” disse Mackenzie, consegnando ad Amy uno dei suoi biglietti da visita.
Lasciò la casa, incredibilmente grata di poter respirare l'aria fresca. Tornò alla sua auto, consapevole che puzzava di fumo di sigaretta, e rifletté ancora sulle nuove informazioni che aveva appreso su suo padre.
Un affittacamere, pensò. Non ce lo vedo affatto! Mi chiedo se Stephanie lo sapesse...
Ma sulla scia di quel pensiero, ne spuntò un altro.
Devo andare a trovare mia madre. Non posso più girarci intorno.
Questa consapevolezza la rese immediatamente nervosa. Mentre si allontanava su Dublin Road, il solo pensiero di vedere sua madre la stava mandando nel panico. Le sembrava di avvertire un peso crescente allo stomaco, mentre tornando in città cercava di pensare a qualcosa che potesse rimandare l’inevitabile incontro con sua madre.
Aveva ancora un compito legittimo da svolgere prima di continuare a tormentarsi pensando a sua madre. Controllò i fascicoli del caso e recuperò i dati sull'autopsia di suo padre. Trovò il nome del medico legale che aveva scritto il referto originale e si mise a cercarlo.
Fu piuttosto semplice. Nonostante il coroner in questione si fosse ritirato due anni prima, la contea di Morrill uno di quei luoghi simili ad un buco nero: impossibile fuggire. Ecco perché vedeva così tanti volti familiari per le strade. Nessuno aveva pensato di andarsene, di girare il mondo per vedere cosa la vita avesse da offrire.
Aveva contattato l'agente Harrison a Washington per ottenere l'indirizzo di Jack Waggoner, il medico legale che aveva operato su suo padre. Ottenne l'indirizzo in pochi minuti e si ritrovò a guidare in un'altra piccola città chiamata Denbrough. Denbrough era situata sessantacinque chilometri a sud di Belton; due puntini sulla mappa della contea di Morrill.
Jack Waggoner viveva in una casa accanto a un ampio campo. Vecchie staccionate fatiscenti e filo spinato indicavano che una volta lì c'erano stati cavalli o bestiame. Quando parcheggiò l’auto nel vialetto di una magnifica casa a due piani in stile coloniale, vide una donna che strappava le erbacce da un giardino fiorito che delineava l'intero portico.
La donna continuò a osservare Mackenzie fino a quando non ebbe parcheggiato e fu scesa.
"Salve" la salutò Mackenzie, volendo interagire con la donna al più presto, prima che quel suo modo di fissarla le desse sui nervi.
"Salve a lei" replicò la donna. "Posso chiederle chi è?"
Mackenzie tirò fuori il distintivo e cercò di presentarsi nel modo più garbato che poté. Subito gli occhi della donna si illuminarono e smise di guardarla con sospetto.
"E cosa porta l'FBI a Denbrough?" si stupì la donna.
"Speravo di parlare con il signor Waggoner" spiegò. "Jack Waggoner. È in casa? "
"Sì, è dentro" disse la donna. "Io sono Bernice, comunque. Sua moglie da trentun anni. A volte riceve chiamate dal governo, sempre su gente morta che ha visto in passato. "
"Beh, è proprio per questo che sono venuta qui. Potrebbe andarlo a chiamare?"
"La porterò da lui" disse Bernice. "È nel bel mezzo di un progetto."
Bernice condusse Mackenzie dentro casa. Era pulita e scarsamente decorata, il che contribuiva a farla sembrare molto più grande di quanto non fosse in realtà. La struttura dell’abitazione le fece pensare ancora una volta che l'enorme campo lì fuori fosse servito un tempo per ospitare del bestiame, che doveva aver aiutato a pagare una casa del genere.
Bernice la accompagnò in un seminterrato ammobiliato. Arrivata in fondo alle scale, la prima cosa che vide Mackenzie fu una testa di cervo sulla parete. Poi, mentre giravano l'angolo, vide un cagnolino impagliato - un cane vero, impagliato dopo la morte. Era appollaiato nell'angolo su una strana piattaforma.
Nell'angolo più lontano del seminterrato, un uomo sedeva ricurvo su un tavolo da lavoro. Una lampada illuminava qualcosa a cui stava lavorando, che restava nascosto dalla schiena e dalle spalle curve dell'uomo.
"Jack?" lo chiamò Bernice. "C’è una visita per te."
Jack Waggoner si voltò e studiò Mackenzie dietro le spesse lenti degli occhiali. Quindi se li tolse, sbatté le palpebre quasi comicamente e lentamente si alzò dalla sedia. Appena si spostò, Mackenzie poté vedere a cosa stava lavorando. Vide il corpo di quella che sembrava una piccola lince rossa.
Tassidermia, pensò. A quanto pare non è riuscito a stare lontano dai cadaveri, dopo il pensionamento.
"Non credo che ci conosciamo" disse Jack.
"In effetti no" confermò lei. "Sono Mackenzie White, dell'FBI. Speravo di parlare con lei di un cadavere che analizzò circa diciassette anni fa. "
Jack fischiò e scrollò le spalle. "Accidenti, riesco a malapena a ricordare i corpi che ho visto durante il mio ultimo anno di lavoro - e questo risale soltanto a due anni fa. Diciassette anni è chiedere troppo."
"Era un caso di alto profilo" specificò Mackenzie. “Un poliziotto...un detective, in realtà. Un uomo di nome Benjamin White. Era mio padre. È stato colpito a..."
"A bruciapelo nella parte posteriore della testa" terminò Jack. "Con una Beretta 92, se la memoria non mi inganna."
"Esatto."
"Certo, quello me lo ricordo. E... beh, suppongo si possa dire che sia bello conoscerla. Mi dispiace per suo padre, ovviamente."
Bernice sospirò e si avviò verso le scale. Rivolse a Mackenzie un mezzo sorriso come per scusarsi e, dopo averle fatto un cenno, li lasciò soli.
Jack sorrise a sua moglie mentre questa saliva le scale. Quando i suoi passi non si sentirono più, Jack tornò a guardare il tavolo di lavoro. "Le stringerei la mano ma... ecco, non so se le piacerebbe."
"La tassidermia mi sembra un hobby adatto per un uomo con un passato lavorativo come il suo" gli disse Mackenzie.
"Mi fa passare il tempo. E non è male avere un piccolo guadagno extra. Ad ogni modo... Sto divagando. Cosa posso dirle riguardo il caso di Ben White?"
"Sinceramente, sto solo cercando qualcosa fuori dall'ordinario. Ho letto i rapporti dei casi più di cinquanta volte, come minimo. Li conosco praticamente a memoria. Ma sono anche consapevole del fatto che spesso ci sono minuscoli dettagli che vengono notati solo da una o due persone - dettagli che in quel momento non sembra valere la pena includere nel rapporto ufficiale. Sto cercando qualcosa del genere. "
Jack si prese un momento per pensarci, ma Mackenzie capì dall'espressione delusa nei suoi occhi che non gli veniva in mente niente. Dopo qualche istante, scosse la testa. "Mi dispiace, ma per quanto riguarda il cadavere in sé, non c'era niente di strano. Naturalmente la causa della morte era chiara. A parte questo, però, il corpo era in buona forma."
"Allora perché lo ricorda così bene?"
"A causa della natura del caso stesso. Mi è sempre sembrato maledettamente sospetto. Suo padre era un poliziotto rispettato. Qualcuno è entrato in casa sua, gli ha sparato alla nuca ed è riuscito a uscire senza che nessuno si accorgesse di nulla. Una Beretta 92 non è troppo rumorosa, ma lo è abbastanza da svegliare le persone in casa. "
"Infatti mi ha svegliato" confermò Mackenzie. "La mia stanza era proprio accanto alla sua. L'ho sentito, ma non ero certa di cosa fosse. Poi ho sentito i passi di qualcuno che oltrepassava la mia stanza. La porta della mia camera era chiusa, il che non era mai stata mia abitudine da bambina. La lasciavo sempre socchiusa. Invece qualcuno l'aveva chiusa. La stessa persona che ha sparato a mio padre, immagino."
"Giusto. Sei stata tu a trovarlo, vero?”
Lei fece un cenno affermativo. "E non potevano essere passati più di due o tre minuti dallo sparo. Quello è il tempo che mi ci è voluto per capire che qualcosa non andava. Allora sono scesa dal letto e sono andata nella stanza dei miei genitori per controllare."
"Le assicuro... vorrei avere più informazioni per lei. E la prego di perdonarmi se lo dico, ma qualcosa non torna nella versione ufficiale dei fatti. Ha parlato con sua madre di questo?”
"No. Non in modo approfondito. Non siamo esattamente in buoni rapporti."
"Era distrutta nei giorni precedenti al funerale. Nessuno riusciva a dirle una parola. Passava da pianti inconsolabili a crisi di rabbia in un batter d'occhio."
Mackenzie annuì ma non disse nulla. Ricordava fin troppo bene gli attacchi d’ira di sua madre. Erano uno degli elementi chiave che la fecero finire in seguito in un reparto psichiatrico.
"C’era per caso segretezza quando il corpo è arrivato all'obitorio?" chiese.
"Non che io ricordi. Nessun affare losco, per quanto ne so. Era solo un cadavere come un altro. Però sai... mi ricordo di un poliziotto che era sempre presente. C’era quando il corpo fu consegnato e rimase per un po' nell'ufficio medico, come se stesse aspettando qualcosa. Sono quasi sicuro di averlo intravisto anche al funerale. Insomma, Benjamin White era un uomo molto rispettato... soprattutto dai colleghi nelle forze dell’ordine. Ma questo agente... era lì costantemente. Se la memoria non mi inganna, si fermò dopo il funerale, come se avesse bisogno di stare un po’ da solo per elaborare il lutto, o qualcosa del genere. Ma parliamo di moltissimo tempo fa, intendiamoci. Diciassette anni sono un sacco di tempo. I ricordi cominciano a scivolare via quando hai la mia età."
"Per caso conosce il nome di questo poliziotto?" chiese Mackenzie.
"No, ma sono piuttosto sicuro che abbia firmato alcune pratiche burocratiche ad un certo punto. Forse se riesce a mettere le mani sui fascicoli originali?"
"Forse" gli fece eco Mackenzie.
Sta dicendo la verità e gli dispiace per me, rifletté Mackenzie. Non c’è nient'altro da imparare qui... tranne forse come impagliare animali.
"Grazie per il suo tempo, signor Waggoner" disse.
"Di nulla" rispose l’uomo, scortandola di nuovo al piano di sopra. "Mi auguro davvero che riesca a scoprire come sono andate le cose realmente. Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di strano in questo caso. E anche se non conoscevo bene suo padre, ho sempre sentito solo cose positive."
"Grazie, lo apprezzo davvero" disse Mackenzie.
Con un ultimo ringraziamento, Mackenzie tornò fuori con Jack al suo fianco. Rivolse un cenno della mano a Bernice, che era tornata alle erbacce nel giardino, e risalì in macchina. Erano le tre del pomeriggio ma le sembrava che fosse molto più tardi. Ipotizzò che fosse colpa del volo da Washington al Nebraska, seguito quasi subito da un viaggio di sei ore.
Però era troppo presto, così immaginò che avrebbe potuto terminare la giornata andando nel posto in cui sapeva che sarebbe finita, ma dove non aveva mai messo piede prima: la stazione di polizia di Belton.
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