“Non sei malato, vero?” disse rapida Adele. Non era sicura di quale fosse l’origine di quella domanda, ma le uscì dalla bocca prima che potesse fermarla.
Robert sorrise e scosse la testa. “No, non che io sappia. Ma,” continuò, picchiettando le dita contro la scrivania e poi guardando lo schermo del computer di fronte a sé, “sto imparando meglio come usarlo. Con le email faccio fatica. Ma ho pensato, beh, per il tuo bene…” Si interruppe, sollevando lo sguardo su di lei.
Adele provò una vampata di gratitudine. Sapeva quanto Robert odiasse la tecnologia. Nonostante la quantità di emoji che usava nei suoi messaggini, aveva fatto il testardo di fronte all’avvento dei computer. Lo stesso, lei aveva chiesto all’Interpol che gli permettessero di essere parte del team. Questo era il patto che avevano sancito quando la signora Jayne le aveva proposto il contratto.
Al tempo, Adele aveva sentito voci e pettegolezzi che il DGSI stesse tentando di allontanare Robert dalla sua posizione: una sorta di pensionamento obbligatorio. Sentì un lampo di frustrazione. Il pensiero che qualcun altro prendesse il posto di Robert era irragionevole. Avevano messo in piedi la sezione omicidi del DGSI in parte con i suoi sforzi. Lui si era fatto un nome presso altre agenzie ben prima che il DGSI venisse formato, cosa che aveva attratto un sacco di nuove reclute. Adele rispettava la maggior parte degli agenti che lavoravano per l’Intelligence francese, ma nessuno suscitava il suo rispetto quanto Robert. Quell’uomo aveva una speciale intelligenza intuitiva e molto raramente si sbagliava. Nell’ultimo caso a Parigi, aveva insistito che l’assassino fosse un uomo con i capelli rossi, e ne aveva sottolineato la vanità. Lei non ne era stata sicura, ma alla fine la deduzione si era rivelata accurata.
Però Adele ricordava gli scambi con il direttore Foucault. Il cipiglio sulla sua fronte quando lei aveva richiesto l’aiuto di Robert. L’agenzia stava cercando di sfoltire il personale. Ora però, con l’aiuto del suo mentore all’Interpol, Foucault si era trovato con le mani legate.
“Ho bisogno di te,” gli disse semplicemente. “Sei il migliore in quello che fai.”
Robert scosse la testa e sospirò. “Non so se sia vero, cara,” disse, la voce tutt’a un tratto più debole.
“È così. Non ti preoccupare dei computer: ce la farai. Ne sono sicura. Abbiamo bisogno di qualcuno con cui avere i contatti alla base, che coordini le cose da qui. E non vorrei nessun altro.”
Robert annuì di nuovo, l’espressione ancora mesta. “Sono vecchio, Adele. So che può non sembrare.” Si passò la mano tra i capelli chiaramente tinti. “Ma questa agenzia, questo posto, penso sia per gente più giovane adesso.”
Adele si fece ancora più confusa. “Perché stai dicendo queste cose?”
Robert agitò una mano in aria. “Non ha importanza. Sono contento. Probabilmente, se non avessi chiesto di me, sarei stato mandato fuori dall’agenzia nel giro di una settimana.”
Ora la confusione di Adele si tramutò in risentito cipiglio. “L’hai sentito? Qualcuno ti ha detto che stavano cercando di sbarazzarsi di te?”
Robert scosse la testa. “Sono un investigatore. Non sono fatto per stare incastrato dietro a una scrivania. A volte queste cose le sai e basta.”
“Stai pensando troppo. Il tuo valore è impareggiabile, fidati di me. E poi, se tu te ne vai, me ne vado pure io”.
Robert sorrise di fronte a quel commento e premette le dita tra loro. “Mi pare giusto. I computer non sono il mio forte, ma farò del mio meglio. Ma non mi hai ancora detto con chi ti ha messo in coppia il direttore. John?” Inarcò leggermente le sopracciglia e un leggero sorriso gli inarcò i lati della bocca, ma Adele scosse la testa, smorzando la sua espressione.
“L’agente Paige,” disse con tono greve e pesante come il martello di un giudice.
Robert la fissò incredulo.
Lei scrollò le spalle.
Lui continuò a fissarla.
“Non l’ho chiesto io,” gli disse.
“Sophie Paige?”
Adele guardò verso la porta aperta, controllando che il corridoio fosse sgombero, poi annuì. “A quanto pare. Diciamo che era contenta quanto me.”
“Foucault non conosce la vostra storia?” disse Robert alzando la voce.
“Va bene,” rispose Adele con voce più bassa. “Non so cosa sappia o non sappia il direttore. Ma le cose stanno così.”
“E John?” chiese Robert.
Adele agitò una mano in aria, come se il pensiero non le fosse neanche passato per la testa. “Intendi l’agente Renee? Beh, penso stia lavorando a un altro caso. La Paige ha detto così.”
Le sopracciglia perfettamente curate di Robert stavano inarcate sopra ai suoi occhi come nuvole scure che minacciavano tempesta. “La Paige,” disse sbuffando. “Adesso ho capito perché Foucault non me l’ha detto.”
Adele esitò. C’era qualcosa nel suo tono che non riusciva a interpretare. “Cosa intendi dire?”
Robert si stava ancora fissando le dita con sguardo cupo, e Adele dovette ripetere la domanda. Alla fine l’uomo sollevò lo sguardo. “Oh, niente… eccetto che sa quello che provo per te. E la Paige non è stata esattamente la persona più carina con te dopo l’incidente.”
Adele esitò, scrutando il suo vecchio mentore. Sapeva che Robert si sarebbe messo dalla sua parte. Ma c’era di più nel tono della sua voce. C’era qualcosa dietro a quel cipiglio che lei ancora non riusciva a capire. “Hai parlato con la Paige da quando me ne sono andata?” gli chiese lentamente.
“Parlato? No.” Si interruppe, come se fosse sul punto di aggiungere dell’altro, ma poi sembrò decidere il contrario e scosse rapidamente la testa, intrecciando le dita e piegando un pollice sopra all’altro. “No, niente del genere. Però penso che tutte e due sarete capaci di essere professionali, no?”
Adele scrollò le spalle. “Posso farlo, se lo fa anche lei.”
“Magnifique,” rispose lui. “Spero tu abbia dormito in aereo. Foucault voleva vederti subito al tuo arrivo.”
Adele annuì, le labbra premute saldamente tra loro. “L’agente Paige è già da lui,” gli disse. “Dobbiamo cominciare subito?”
Il vecchio mentore annuì mentre si alzava dalla sua sedia e si spostava rigidamente facendo il giro della scrivania. “Lascia qui la valigia,” le disse. “Mando a chiamare qualcuno perché la porti a casa mia. Adesso vieni.”
Robert le prese una mano e se la mise sottobraccio, appoggiandola nell’incavo del suo gomito, quindi la accompagnò all’ascensore. Robert era un uomo dalle vecchie maniere e c’era chi lo considerava pomposo. Ma per Adele, il suo comportamento suscitava solo affettuoso divertimento.
Aspettarono il sommesso tintinnio dell’ascensore ed entrarono nella cabina. Per un brevissimo istante il dito di Adele rimase sospeso sul pulsante del secondo piano, dove c’era l’ufficio di John. Che fosse lì? No, ora non era il momento giusto. Non c’era un’attesa di tre settimane tra gli omicidi come era successo l’altra volta. Tre giorni. Solo questo tempo era passato tra un crimine e l’altro. Un ritmo rapido e sorprendente. Un ritmo che poteva solo peggiorare.
Adele premette il pulsante dell’ultimo piano, con Robert che accanto a lei la teneva per il gomito, e aspettò che l’ascensore li portasse in alto, verso l’ufficio del direttore.
La Paige era seduta vicino alla finestra, un certo agio nel modo in cui stava appoggiata allo schienale dalla sedia da ufficio. Il direttore Foucault osservava con i suoi occhi da falco, mangiucchiandosi un lato della bocca e scuotendo la testa.
Adele e Robert stavano in piedi, in attesa. Gli occhi di Foucault erano fissi sullo schermo del suo computer e la sua espressione si faceva man mano più buia. “Tutto qua?” chiese, sollevando lo sguardo. “Niente di nuovo?” I suoi occhi sfrecciarono all’agente Paige, che a sua volta si girò verso Adele, come a voler proiettare su di lei l’ira del direttore.
Adele esitò. La luce del sole filtrava dalla finestra aperta del grande ufficio: l’aria circolava e portava via un po’ dell’odore di fumo, anche se buona parte aveva già impregnato le pareti.
“Sono appena arrivata,” disse Adele esitante, non sapendo se la stesse incolpando di qualcosa. “Avevo intenzione di sistemare le mie cose da Robert…” Si interruppe vedendo l’occhiata che le lanciava Foucault e si schiarì la gola. “Onestamente, ho dormito in aereo. Possiamo cominciare oggi pomeriggio. Vorrei vedere la scena del crimine della seconda vittima.”
Foucault annuì agitando una mano. “Sì,” disse, le folte sopracciglia corrucciate sopra gli occhi scuri. “Sarebbe meglio. Non abbiamo tempo da aspettare con questo, uhm? No.” Annuì in direzione della Paige. “Voi due avete lavorato insieme in passato, vero?”
La Paige continuò a restare seduta in silenzio accanto alla finestra. Annuì una volta. Anche Adele annuì.
Dopo qualche momento di imbarazzato silenzio, Robert intervenne schiarendosi la gola. “Caso strano, questo,” disse sommessamente.
Adele tenne gli occhi fissi su Foucault, ma annuì d’accordo con l’amico.
Robert sbuffò mentre l’attenzione dei presenti si spostava da Adele a lui. “Le vittime devono aver conosciuto l’assassino,” disse. “Un amico? Magari un parente?”
Adele ruotò leggermente il viso, inclinando al testa verso la spalla. “Forse. O forse l’assassino le ha colte di soppiatto. Un padrone di casa? Qualcuno in possesso della chiave?”
Robert esitò un momento e nuovamente calò il silenzio. Alla fine disse: “Che dici del rene mancante?”
“Hai letto le cartelle?”
“Il secondo rapporto non è ancora arrivato.” Robert fece una pausa, guardando Foucault con espressione interrogativa.
Il direttore annuì. “Ci stanno lavorando, ma sta richiedendo tempo. Il rapporto completo dovrebbe arrivare a breve.”
Robert annuì e questa volta si rivolse a Foucault, attraversando la stanza e andando a guardare attraverso la grande finestra che si affacciava sulla strada sottostante. Un piccolo bar dalle pareti dipinte di rosa occupava la strada dalla parte opposta del DGSI.
“Ho letto il primo rapporto,” disse. “Solo il rene mancante. Perché secondo voi?
La Paige e Foucault rimasero entrambi in silenzio. Ma Adele guardò il suo mentore, osservando il modo in cui la luce del pomeriggio illuminava il lato del suo volto, gettando delle ombre contro il pavimento rivestito di moquette.
“Collezione di trofei?” gli disse.
“Forse,” rispose Robert. “Ha senso.”
“Che altro?”
Robert scrollò le spalle e il suo sguardo andò a Foucault dietro alla scrivania.
Il direttore si accigliò ancor più. “Venite pagati per scoprirlo,” disse. I suoi occhi sfrecciarono tra i tre agenti, quindi diede un colpetto al computer e aggiunse: “Abbiamo bisogno di maggiori informazioni, e non avete molto tempo per raccoglierle.”
Adele notò la rapidità con cui noi si era trasformato in voi. Esitò un momento e poi disse sottovoce: “Ho pensato alle vittime. Entrambe straniere, sì? Da ragazza ho avuto esperienza con quella comunità, anche se non molta, visto che mia madre era del posto. Ma avevo alcuni amici americani con i genitori che si erano trasferiti per lavoro.” Si fermò. “Sono una comunità vulnerabile. Molte volte isolata: barriere di lingua e cultura. Forse l’assassino sta usando questo per avvicinarsi a loro. Lo sfruttamento della solitudine, oppure una pressione ad appagare il Paese ospitante.”
Foucault rispose annuendo e scrollando le spalle. “Esplorate tutte le possibilità,” disse. “Solo,” aggiunse, “non ne faccia un caso personale.” Distolse lo sguardo da Adele. “Agente Henry, lei starà qui, presumo?” Gli occhi del direttore erano fissi su Robert.
Robert si lisciò i baffi. “Direi che lascio il lavoro sul campo ai più giovani.”
Foucault riportò l’attenzione ad Adele. “La seconda scena del crimine?” disse. “È ancora sotto la nostra supervisione.”
“Io sono pronta a cominciare, se lei non è troppo stanca,” disse la Paige, parlando per la prima volta da quando erano entrati nella stanza. Il commento sembrava innocente, ma qualcosa in esso fece venire ad Adele la pelle d’oca.
Ora che l’attenzione era di nuovo su di lei, Adele espirò piano.
Americane in Francia, espatriate: si sentiva vicina a loro. Adele sapeva cosa volesse dire spostarsi da un Paese all’altro, rimettere radici, costruire da capo una nuova vita.
Ma queste vite erano state ricostruite solo per finire, tra le macchie di sangue sul pavimento dei loro appartamenti. Nessuna prova materiale. Nessun segno di colluttazione. Nessun segno di scasso o ingresso violento.
Ora non era il momento di riposarsi.
“Io sono pronta, quando sei pronta tu,” disse Adele, poi si girò verso la porta.
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