Riley e Jennifer Roston erano sedute l’una di fronte all’altra nella sala conferenze, in silenzio ormai da quasi un intero minuto.
Quella suspense era più di quanto Riley potesse sopportare.
Finalmente, la Roston esordì: “E’ stata una bella recita, Agente Paige.”
Riley si sentì ferita ed arrabbiata.
“Non ne ho bisogno” ringhiò in risposta.
Fece per alzarsi dalla sedia e andarsene.
“No, non se ne vada” la Roston disse. “Non senza sentire ciò che ho in mente.”
Poi, con uno strano sorriso, aggiunse: “Potrebbe rimanere sorpresa.”
Riley era certa di sapere perfettamente che cosa la Roston avesse in mente: voleva distruggerla.
Ciò nonostante, Riley restò seduta. Qualunque cosa stesse accadendo tra lei e la Roston, era giunta l’ora di sistemarla. E, inoltre, era curiosa.
La Roston riprese: “Innanzitutto, penso che abbiamo iniziato col piede sbagliato. Ci sono stati dei fraintendimenti. Non ho mai voluto essere sua nemica. La prego di credermi. Io la ammiro. Molto. Sono venuta al BAU, entusiasta all’idea di lavorare con lei.”
Riley ne fu un po’ sconvolta. L’espressione del viso e il tono della voce della Roston sembravano perfettamente sinceri.
In verità Riley era rimasta profondamente impressionata da tutto ciò che aveva sentito dire sulla Roston: i suoi risultati all’Accademia erano impressionanti ed aveva già ottenuto degli encomi per il lavoro sul campo a Los Angeles.
E, ora, seduta lì a guardarla, Riley era di nuovo impressionata dall’atteggiamento della Roston. La donna era bassa ma robusta ed atletica, ed emanava energia ed entusiasmo.
Tuttavia quello non era il momento per Riley di elogiare la nuova agente. C’erano state semplicemente troppa tensione e sfiducia tra di loro.
Dopo una pausa, la Roston riprese: “Penso che ci sia molto che possiamo fare l’una per l’altra. Ora. Infatti, sono certa che entrambe vogliamo esattamente la stessa cosa.”
“Di che cosa si tratta?” chiese Riley.
La giovane sorrise e inclinò leggermente la testa.
“Mettere fine alla carriera criminale di Shane Hatcher.”
Riley rimase in silenzio.
Le ci vollero alcuni secondi per capire che le parole di Roston erano vere. Non considerava più Shane Hatcher un alleato ma, al contrario, era un nemico pericoloso. E doveva essere fermato, prima che facesse del male a qualcuno dei cari di Riley.
C’era un solo modo: doveva essere catturato o ucciso.
“Dimmi di più” Riley rispose infine.
La Roston poggiò la mano sul mento, e si allungò verso Riley.
“Dirò alcune cose” riprese la giovane agente. “Vorrei che mi ascoltasse senza dire niente. Non neghi o confermi ciò che dirò. Si limiti ad ascoltare.”
Riley annuì nervosamente.
“Il suo rapporto con Shane Hatcher è continuato anche dopo che è evaso da Sing Sing. In effetti, è diventato più stretto di prima. Ha comunicato con lui più di una volta, diverse volte, ne sono più che sicura, talvolta anche di persona. Lui l’ha aiutata nei casi ufficiali e l’ha aiutata anche in modi più personali. Il suo rapporto con lui è diventato, com’è il termine? Simbiotico.”
A Riley occorse un considerevole autocontrollo per non reagire a nessuna di quelle affermazioni.
Che erano tutte, naturalmente, assolutamente vere.
La Roston proseguì: “Sono quasi certa del fatto che lei fosse consapevole della sua presenza alla sua baita. Probabilmente era d’accordo con lui. Ma la morte di Shirley Redding non è stata un incidente. E non faceva parte del suo accordo. Hatcher è andato fuori controllo, e lei non vuole avere nulla a che fare con lui. Ma ha paura di lui. Non sa come rompere la connessione.”
Un inquietante silenzio cadde tra lei e la giovane collega. Riley si chiese come facesse a sapere tutto. Era inquietante. Ma Riley non credeva nella lettura della mente.
No, è solo una bravissima detective, pensò Riley.
Questa nuova agente era molto intelligente; in lei l’istinto e l’intuito sembravano essere forti quanto quelli della stessa Riley.
Ma che cosa stava provando a fare la giovane al momento? Stava tessendo una trappola, provando a indurre Riley a confessare tutto ciò che era successo tra lei e Hatcher?
In qualche modo, l’istinto di Riley le suggeriva qualcosa di diverso.
Ma avrebbe potuto fidarsi di lei?
La Roston stava sorridendo enigmaticamente, di nuovo.
“Agente Paige, pensa che io non sappia come si sente? Pensa che non abbia anch’io dei segreti? Pensa che io non abbia rimuginato in merito a un patto fatto con qualcuno con cui non mi sarei dovuta accordare? Mi creda, so esattamente cosa sta passando. Ha avuto una chance, e le regole devono essere infrante talvolta. Perciò, lei le ha infrante. Non molti agenti hanno il suo istinto. Voglio davvero essere d’aiuto.”
Riley studiò il volto della Roston, senza replicare. Rimase di nuovo colpita dalla sincerità della giovane agente.
Notò che un sorriso duro si stava formando agli angoli della bocca della Roston. Apparentemente, c’era qualcosa di oscuro dentro di lei, così come in Riley.
La Roston riprese: “Agente Paige, quando ho cominciato a lavorare al caso di Hatcher, lei mi ha dato accesso a tutti i file digitali che aveva su di lui. Tranne quello intitolato ‘PENSIERI’. Era nell’elenco, ma non sono riuscita a trovarlo. Lei mi ha detto di averlo cancellato. Aggiungendo che si trattava soltanto di appunti confusi e materiale superfluo.”
La Roston si appoggiò allo schienale della sua sedia, sembrando rilassarsi un po’.
Ma Riley era ben lungi dall’essere rilassata. Aveva avventatamente eliminato il file intitolato PENSIERI, che in realtà conteneva informazioni vitali relative ai movimenti finanziari di Hatcher, collegamenti che gli avevano consentito di restare a piede libero ed esercitare un potere considerevole.
La Roston disse: “Sono sicura che lei ha ancora quel file.”
Riley soppresse un brivido, derivato dal senso di allarme. In effetti aveva tenuto il file in una chiavetta USB. Aveva spesso pensato di cancellarlo, semplicemente, ma in qualche modo, non riusciva a farlo. L’incantesimo che Hatcher le aveva lanciato era davvero forte. E, forse, aveva pensato che avrebbe potuto usare quelle informazioni un giorno.
Invece di cancellarlo, era andata avanti, vivendo in uno stato d’indecisione.
In quel momento la chiavetta era nella sua borsetta.
“Sono anche sicura che quel file sia importante” la Roston riprese. “Infatti, potrebbe contenere informazioni necessarie per farmi togliere di mezzo Hatcher una volta per tutte. Ed entrambe vogliamo che ciò accada. Ne sono sicura.”
Riley deglutì.
Non devo dire niente, pensò.
Ma tutto quello che aveva detto la Roston non aveva davvero senso?
Quella chiavetta USB poteva certamente essere la chiave per liberare Riley dalle grinfie di Shane Hatcher.
L’espressione della Roston si ammorbidì ancora di più.
“Agente Paige, sto per farle una promessa solenne. Se le mi fornisce quelle informazioni, nessuno verrà mai a sapere che l’aveva nascoste. Non lo dirò ad anima viva. Mai.”
Riley sentì crollare la sua resistenza.
L’istinto la rassicurò in merito alla sincerità della giovane Roston.
Silenziosamente infilò la mano nella borsetta, estrasse la chiavetta USB, e la diede alla giovane agente. Gli occhi di quest’ultima si spalancarono lievemente, ma non disse una sola parola. Si limitò ad annuire e mise la chiavetta nella sua tasca.
Riley provò un disperato bisogno di rompere il silenzio.
“Desideri discutere d’altro, Agente Roston?”
L’altra rise un po’ sommessamente.
“La prego, mi chiami Jenn. E’ così che mi chiamano tutti i miei amici.”
Riley le rivolse un’occhiata incerta, mentre la Roston si alzò dalla sedia.
“In ogni caso, non mi permetterò di rivolgermi a lei se non come Agente Paige. Almeno fino a quando lei non si sentirà a suo agio altrimenti. Ma la prego. Mi chiami Jenn. Insisto davvero.”
La giovane lasciò la stanza, lasciando Riley seduta lì, in stupito silenzio.
Riley s’impose di riprendere il suo lavoro in ufficio. Ogni volta che non era impegnata in un caso, sembrava che tonnellate di noiosa burocrazia si riversassero su di lei e quel carico non si sarebbe esaurito finché non fosse tornata di nuovo sul campo.
Era sempre sgradevole. Ma oggi aveva molta difficoltà a concentrarsi su quello che aveva davanti. Temeva di aver commesso uno sciocco e terribile errore.
Perché mai aveva appena consegnato quel file a Jennifer Roston, o “Jenn”, come ora insisteva che Riley la chiamasse?
Era in sostanza una confessione, per quanto riguardava Riley.
Perché l’aveva data proprio a quell’agente, quando non l’aveva mostrata a nessun altro? Come poteva un’ambiziosa giovane agente evitare di riportare la trasgressione di Riley ai suoi superiori, forse persino allo stesso Carl Walder?
In qualsiasi istante, ormai, Riley avrebbe potuto essere arrestata.
Perché non si era limitata a cancellare il file?
O perché non se ne era sbarazzata, così come aveva fatto con il braccialetto d’oro che Hatcher le aveva regalato? La catena era un simbolo del loro legame. Conteneva anche un codice per contattarlo.
Riley l’aveva gettato via in un momento di grande agitazione, nello sforzo di liberarsi di lui.
Ma, per qualche ragione, non era riuscita a ripetersi con la chiavetta USB.
Perché?
I dati finanziari che conteneva erano senz’altro sufficienti ad almeno limitare i movimenti e le attività di Hatcher.
Poteva bastare proprio quello per fermarlo definitivamente.
Era un enigma, così come lo erano vari aspetti del suo rapporto con Hatcher.
Mentre stava studiando dei documenti sulla sua scrivania, il suo cellulare si mise a squillare. Era un messaggio da un mittente sconosciuto. Riley trasalì, quando lo lesse.
Pensava che questo mi fermasse? Tutto è già cominciato. Non mi dica che non l’avevo avvertita.
Riley ebbe difficoltà a respirare.
Shane Hatcher, pensò.
Riley rimase a guardare il messaggio, avvertendo un senso di panico crescere dentro di lei.
Non le fu difficile intuire che cosa fosse accaduto. Jenn Roston aveva aperto il file non appena lei e Riley si erano separate, aveva scoperto il suo contenuto e si era messa già al lavoro, provando a chiudere l’operazione Hatcher.
Ma, con il suo messaggio, lo stesso evaso aveva annunciato, come gesto di sfida, che Jenn non era riuscita nell’intento.
Tutto è già cominciato.
Shane Hatcher era ancora a piede libero, ed era arrabbiato. Con le sue risorse finanziarie intatte, poteva dimostrarsi più pericoloso che mai.
Devo rispondergli, pensò. Devo ragionare con lui.
Ma come? Che cosa poteva dire per non farlo infuriare di più?
Infine, le venne in mente che Hatcher poteva non comprendere totalmente ciò che stava succedendo.
Come poteva sapere che era la Roston a sabotare la sua rete, e non Riley? Forse poteva fargli comprendere almeno quello.
Le sue mani tremavano, mentre digitava una risposta.
Mi lasci spiegare.
Ma quando provò ad inviare il messaggio, lo vide segnato come “non spedito.”
Riley gemette con disperazione.
Era successa la stessa cosa anche l’ultima volta che aveva provato a mettersi in contatto con Hatcher: lui le aveva inviato un messaggio criptico, poi aveva chiuso la comunicazione con lei. Un tempo era stata in grado di comunicare con Hatcher tramite videochiamata, messaggi e persino telefonate. Ma quei giorni erano finiti.
Ora, non aveva alcun modo per rintracciarlo.
Ma lui, al contrario, poteva ancora mettersi in contatto con lei.
La seconda frase del suo nuovo messaggio era particolarmente inquietante.
“Non mi dica che non l’avevo avvertita.”
Riley ripensò a quello che le aveva scritto l’ultima volta che aveva comunicato con lui.
“Lei vivrà per pentirsene. Ma potrebbe non essere così per la sua famiglia.”
Riley sussultò e disse ad alta voce …
“La mia famiglia!”
Tremava mentre tentava di comporre il numero di casa sul cellulare. Sentì uno squillo dall’altro capo del telefono, che continuò a suonare libero. Infine si attivò la segreteria telefonica, e la donna ascoltò la sua stessa voce.
Riley fece un grande sforzo per impedirsi di gridare.
Perché nessuno rispondeva? Le scuole erano chiuse per le vacanze di primavera. Le sue figlie avrebbero dovuto essere in casa. E dov’era la governante, che viveva con loro, Gabriela?
Proprio prima che il messaggio in uscita terminasse, sentì la voce di Jilly, la tredicenne che Riley stava per adottare. La ragazzina sembrò ansante.
“Ciao mamma. Gabriela è andata a fare la spesa. April, Liam e io eravamo fuori in cortile, a giocare a calcio. Pensiamo che Gabriela torni da un momento all’altro.”
Riley si accorse di stare trattenendo il fiato. Fece un cosciente sforzo per ricominciare a respirare.
“Va tutto bene?” chiese.
“Certo” Jilly rispose, alzando le spalle. “Perché me lo chiedi?”
Riley lottò per calmarsi.
“Jilly, potresti andare a dare un’occhiata dalla finestra per me?”
“OK” Jilly disse.
Riley sentì dei passi.
“Sto guardando” la ragazza disse.
“Il furgone degli agenti dell’FBI è ancora fuori?”
“Sì. E anche quello nel vicolo. L’ho appena visto, quando era in cortile. Se quello Shane Hatcher si farà vedere, quegli uomini lo prenderanno di sicuro. C’è qualcosa che non va? Mi stai spaventando.”
Riley si costrinse a ridere.
“No, non c’è niente che non vada. Sto solo agendo, insomma sto agendo come una mamma, immagino.”
“OK. A dopo.”
La telefonata si concluse, ma Riley era ancora sconvolta.
Andò in fondo al corridoio, e poi si diresse all’ufficio di Brent Meredith.
La donna balbettò: “Signore, io, ho bisogno di prendermi il resto della giornata libera.”
Meredith distolse lo sguardo dal proprio lavoro.
“Potrei chiederle il motivo, Agente Paige?” le domandò.
Riley aprì la bocca, ma non ne uscì alcuna parola. Se avesse spiegato di essere stata appena minacciata da Shane Hatcher, l’uomo avrebbe insistito per vedere il messaggio in questione. E come poteva mostrarglielo senza ammettere di aver appena consegnato il file a Jenn Roston?
Meredith ora sembrava preoccupato, quasi consapevole che ci fosse qualcosa che non andava e di cui Riley non poteva parlare.
“Vada” le disse. “Spero che vada tutto bene.”
Il cuore di Riley era colmo di gratitudine per la comprensione e la discrezione dimostrate da Meredith.
“Grazie, signore” rispose.
Poi, si precipitò fuori dall’edificio e, raggiunta la propria auto, guidò fino a casa.
Avvicinandosi alla sua villetta a schiera in un tranquillo quartiere di Fredericksburg, notò con sollievo che il furgone dell’FBI era ancora al suo posto. Riley sapeva che ce n’era un altro posteggiato nel vicolo. Sebbene i due veicoli non avessero segni distintivi, non si poteva certo dire che non davano nell’occhio. Ma era inevitabile.
Riley parcheggiò la sua auto nel suo vialetto d’accesso, raggiunse il furgone e guardò all’interno dal finestrino del lato passeggero.
О проекте
О подписке