15 luglio 18…
Strano incontro e bizzarra conversazione, con questa signorina Wilson. Ben a ragione l'ho chiamata viragine. S'è fatta avanti arrossendo un poco, anzi diciamo pur molto, se molto ce ne voleva per trasparire dal bruno della carnagione, e ridendo in pari tempo, ridendo alto, più gradevolmente di Buci, che ha il riso muto.
–Il signor Morelli!—diss'ella, inoltrandosi.—Capisco ora perchè Buci voleva venire quassù ad ogni costo. Ma che cosa faceva Lei qui? dormiva, accanto all'acqua? Narciso ci si sarebbe voluto specchiare.
–Segno,—risposi io,—che non sono un Narciso.
–O piuttosto,—ribattè la signorina Wilson,—questa non è acqua da affogarci.
–Lo crede?—replicai.—Provando a tenerci dentro la testa….
–Allora, capisco bene, anche un catino basterebbe. Che bell'acqua viva, del resto!—soggiunse ella, affacciandosi all'argine.—Vien voglia di ficcarci le mani.—
E fece come diceva, affondando le mani, una dopo l'altra, e le braccia fino al gomito nell'onda cristallina, che fece intorno ad esse un lucido braccialetto d'argento. Io frattanto raccattavo il mio povero Orazio, che era scivolato sull'erba, e correva il rischio di prendere una bagnatura tanto molesta, quanto era piacevole alla signorina Wilson quella delle sue braccia indorate dal sole.
–Ecco il compagno di solitudine;—diss'ella, ridendo ancora alla vista del libro che stavo allora per rimettermi in tasca.—Un romanzo!
–Che! veda piuttosto.—
Così dicendo le squadernai sotto gli occhi il volume, avendo essa le mani impacciate e non amando io che quelle mani, per quanto gentili, battezzassero il mio poeta, pagano nella vita e nell'arte; e già anglicano nell'edizione, se mai.
–Sis licet felix ubicumque mavis,—lesse ella, accostando la sua faccia a quelle del libro,—et memor nostri, Galatea, vivas…. Che cos'è? latino? Capisco ora perchè si fosse addormentato il lettore.
–Oh!—gridai.—Non faccia questo torto ad Orazio, nè a Galatea, il cui bel nome le è capitato sott'occhio. Mi ero addormentato qui, perchè avevo dormito poco stanotte.
–Ha ballato?—mi chiese, ammiccando.
–Io! Le pare?
–Ah, sì, è vero; non son cose per Lei, che è… se lo lascia dire?
–L'orso di Corsenna? Dica pure liberamente.
–Come lo sa?
–L'innocenza ha parlato, per bocca del figliuoletto dei Rossi. E sarà Lei, m'immagino, che ha inventato il soprannome.
–Mi crede dunque molto cattiva?
–No, ma poichè voleva dirmelo….—ripigliai.—Gli autori recitano così volentieri le cose loro!
–Non sono stata io;—disse la signorina con accento più grave, che voleva acquistar fede alla sua asserzione.—Ma certamente mi pare che Le convenga. È proprio un orso, signor Morelli. Si fa la vita di campagna, vita allegra, di buona compagnia, e Lei se ne sta sempre da parte come un frate certosino. Si fanno corse di qua e di là, pranzi nei paesi e merende nei boschi, in dieci, in quindici, in venti persone, e Lei non si lascia vedere. Si balla qualche volta….
–E l'orso, contro l'uso, non fa neppur questo;—interruppi io.—Che orso male addestrato, non è vero? Quanto alle passeggiate, vede bene, signorina, che ne faccio.
–Ma da solo. L'ha mai veduto uno che si diverta da solo?
–Potrei dirle di sì, se avessi l'uso di guardarmi allo specchio. Ma io sono anche un orso mal pettinato. Infine, vivo da solo, com'Ella dice.
–E basta a sè stesso, non è così? Capisco infatti che tutto assorto nei suoi alti pensieri….
–No, non dica questo, La prego. Io non mi basto; e i miei pensieri, se mai, radono piuttosto la terra.—
Guardavo a terra, accompagnando col gesto la frase. E lì, a due passi da me, sporgeva il piedino della fanciulla; non un piede da viragine, in verità, e bisognava rendergli giustizia. Ella certamente si vergognò, perchè ritrasse il piede, dissimulando tuttavia l'atto sollecito con una carezza a Buci, che si era posto a sedere molto gravemente lì presso, quasi in mezzo a noi due. Dal canto mio, ero pentito già del mio atto, e tanto più facilmente, in quanto che era stato involontario.
–Radono piuttosto la terra,—ripigliai, volendo mostrare che non facevo nessuna allusione di cattivo gusto,—perchè appunto la terra mi piace, così verde, così sana, così confortante allo spirito. Per amor della terra vengo in campagna. Lor signore, lo so, guardano più volentieri in aria; quando giuocano al lawn-tennis, per esempio.
–Un bel giuoco; non Le piace?
–Avrò il coraggio di confessarlo; niente affatto.
–Pure, è ginnastica.
–Per che farne?
–Per rinvigorirsi. Alle battaglie della vita bisogna esser forti, respirar bene, muoversi bene….
–Certo; per ballare, per andare nell'inverno a teatro.
–Due cose che hanno la loro bellezza; non è anche Lei di questa opinione?
–No, signorina.
–Perchè?
–Sono molti, i perchè; richiederebbero molto tempo; ed è forse ora per Lei di ritornare a casa.
–Ecco, ci muoveremo, e Lei li potrà dir tutti passeggiando.
–Non tutti, non tutti; sarebbero troppi. Ma uno basterà. Nelle conversazioni, nei ricevimenti, nei balli, nei teatri, in tutti i luoghi, insomma, dove le donne portano la loro grazia e la loro gioventù, c'è sempre una caterva di sciocchi. Sono essi il maggior numero, vorrà convenirne. Per costoro si avrà da perdere il tempo e l'arte? per costoro da sciupar la grazia e l'ingegno?
–Ma non è vero, non è vero ciò ch'Ella dice;—esclamò la signorina Wilson, mentre passava davanti a me attraverso il fogliame delle carpinelle.—Per un uomo che sa il latino,—soggiunse, prendendo coraggio dall'andar che faceva senza guardarmi,—sono idee molto… molto… mi aiuti a dire?
–Stravaganti.
–Eh, quasi. Infatti, vediamo, crede proprio che le donne vadano ai balli e ai teatri per darsi pensiero degli sciocchi? Gli sciocchi son sciocchi, e nella società si accettano per contorno, come in certi piatti, mi passi il paragone, gli zucchettini e i cavoli di Brusselles!
–Poveri zucchettini!—mormorai.—Poveri cavoli di Brusselles!
–Ho detto quelli, non avendo altro alla mano;—diss'ella ridendo.—Cerchi Lei il contorno più sciocco, e sarà quello che ci servirà per definire tutti quei personaggi, che dispiacciono a me come a Lei.
–Ma non dispiace egualmente essere ammirate, citate sui giornali, vedere il giorno appresso descritte in tutti i loro particolari le graziose abbigliature.
–Oh sì, mi parli di quelle! Con tanti errori, dovendo farsi aiutare dalle modiste, e se Dio vuole riuscendo ad imprestare ad una signora il vestito di un'altra. Del resto, ritornando sui generali, voglio ammettere anch'io che un po' di tempo si perda in queste occupazioni di società. Ma questo avviene a tutti, e in ogni genere di vita. Lo guadagna forse Lei, il suo tempo, leggendo libri latini?
–Chi sa? Il vivere è un disporsi a morire.
–Ah bene! altre idee… come quelle di poco fa.
–Rinunziamoci dunque. Il vivere è un vegetare.—
Qui la viragine diede addirittura in uno scoppio di risa.
–Povera vita, a che la riduce! Ma almeno, per vegetare, bisognerebbe farsi piantare. Preferisce in vaso, o in piena terra?—
Gran diavola! Con lei, così pronta alla ribattuta, non si poteva vincere nè impattare.
–Ci sono,—provai a rispondere,—delle piante che non vivono per le radici, non avendone affatto; piante che vanno, come una arcana inquietudine interna le sospinge; piante che volano, come il vento le porta.
–Davvero? Le metteremo alla prova. Mi accompagni, sulla cima di quel monte.
–Signorina!…
–Perchè no? Tal quale mi vede, io vado da per tutto, anche da sola. Stamane ho già fatta una scorribanda assai lunga, e per luoghi abbastanza selvatici, senz'altra compagnia che quella di Buci. È un eroe, non lo sa?
–Lo so benissimo. Qualche volta è fin troppo ardito, temerario a dirittura. Ma per andare lassù, a Santa Giustina, giudicando così ad occhio e croce, penso che tra il salire, il restare, il discendere ci vorranno almeno due ore. E sono adesso le undici.
–Allora sarà per domani. Cioè, non per domani. Domani si va a visitare un altro santo. Come si chiama più? È il monte più alto di questi dintorni, a mille metri sul livello del mare.
–San Donato;—le dissi.
–Sì, per l'appunto, San Donato;—rispose ella.—C'è forse già stato?
–No, mai: ho letto il nome sulla carta.
–Senta il desiderio di portargli la sua; voglio dire la sua carta di visita. Ci venga anche Lei, domattina.
–Io? Le pare?
–Lei, sì, Lei. Saremo una ventina di persone; le Berti, ch'Ella conosce; la contessa Quarneri, col sèguito; il commendator Matteini; Terenzio Spazzòli, detto l'impareggiabile, ed altri che non ricordo, ma tra i quali non vanno dimenticati i ragazzi della signora Berti. Hanno poi promesso di accompagnarci la signora sindachessa e la signora segretaria comunale, che sono, vorrà convenirne, le due prime dame di Corsenna, per diritto d'uffizio. Condurremo anche Buci, qui presente ed accettante. Non si decide?
–Oh, non sarebbe per Buci, se mai; nè per tante altre persone che mi ha nominate.
–Volevo ben dire!—gridò ella battendo le palme.—Non sarebbe stato cavaliere. Parlando sul serio, signor Morelli, veda un po' d'esser buono. Tutte queste signore villeggianti di Corsenna dicono che Lei vive così appartato, perchè non ha trovata una compagnia abbastanza piacevole. Smentisca la calunnia, e venga.
–Signorina… non per la calunnia, che si chiarirebbe tale da sè, ma per non rispondere con un mal garbo alla sua gentilezza, verrò. I posteri non lo crederanno, ma infine….
–I posteri non lo sapranno neanche;—rispose ella, entrando con gioconda padronanza nella mia celia.—E poi, chi vuole occuparsi di loro?—
In questi discorsi eravamo giunti al viale dei pioppi. La signorina Wilson, venuta su da un'altra parte, non lo aveva ancora veduto. Ne fu tutta ammirata, innamorata, rapita al settimo cielo. Sincera, vivace, tutta di primo impeto, aveva facili le espansioni, come pronta la lingua. Di quella maravigliosa piantata di pioppi volle fare uno schizzo nel piccolo albo che portava sempre con sè. Furono pochi segni di matita, ma sicuri ed efficaci. Gran diavola, l'ho già detto e lo ripeterò ancora Dio sa quante volte, gran diavola di ragazza! Osservavo, intanto; e com'ella ebbe finito, lodai, non solamente per obbligo di cortesia, ma ancora per sentimento di verità, ch'ella doveva pur riconoscere.
–No, non mi lodi;—rispose ella tuttavia;—come disegno non val niente. È un ricordo, e come ricordo può andare. Vede intanto, signor Morelli, che io non perdo sempre il mio tempo? Se una cosa è bella, se franca la spesa, ne godo; se è sciocca, la lascio stare.
–Amen;—fui per rispondere; ma mi contentai di dirlo col gesto.
Mezz'ora dopo eravamo al principio del paese, dov'io presi commiato ed ora per il giorno seguente. Giunto a casa, ho finita la lettera per Filippo Ferri, ed ho tirato giù questo passio. Anch'io per ricordo.
Come ricordo può andare… e restare. Che perditempi, dopo tutto!
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