Al tempo delle castella, la parola castellano ebbe tre significati diversi, o per dir meglio fu adoperata ad indicare tre diverse classi di persone. Era castellano il signore di uno o più castelli; era castellano colui che, nel nome del signore, teneva il governo di un castello; e castellano si chiamava pure chi dimorava nelle castella, cioè nelle piccole terre cinte di mura e dominate da una rocca.
Nelle regioni d'Italia dove fiorì la vita comunale e repubblicana, la parola era per lo più usata nel secondo significato, come quello che corrispondeva al maggior numero dei casi. Il vocabolario del Manuzzi, alla voce: Castellano, lo registra infatti innanzi di ogni altro, e prima scrive: Capitano di castello, che Signore di esso. E quando la parola racchiudeva il concetto della signoria, non implicava quello della dimora; occorre infatti ad ogni momento la locuzione: di molte o di poche terre castellano.
Invece nei paesi dove il sistema feudale ebbe il suo naturale compimento nella monarchia unitaria, grazie la intricata rete di privilegi, di prerogative e di interessi che fissava il signore alla terra e lo costringeva a risiedervi, per Castellano in ogni tempo si intese comunemente: il signore dimorante nel castello, il quale castello, dalla secolare e non interrotta consuetudine, venne prendendo una certa aria di famiglia, si adattò ai successivi crescenti bisogni, si piegò quasi ai minuti capricci dei padroni, così che ne rispecchiò poi fedelmente l'indole e le abitudini.
Fra questo castellano campagnuolo ed il signore dimorante nella città e più il Principe dei nuovi principati italiani all'epoca del Rinascimento, corrono differenze così profonde che la distanza di un secolo non ne darebbe di maggiori. Differenze nel campo dell'azione e delle attribuzioni politiche, differenze nell'ordinamento domestico e nelle abitudini della vita quotidiana. Le Corti, più ricche, più sfarzose, più colte, più popolose, ebbero istoriografi e descrittori in abbondanza, mentre ne difettarono i castelli. Ed ognuno di quegli istoriografi e descrittori fu in questi ultimi tempi argomento di nuovi e minutissimi commenti e raffronti, sicchè non si può oramai trovare in essi notizia che già non sia stata a sazietà detta e ripetuta. Ed anche riguardo i castelli, le notizie raccolte nei libri riflettono bensì molti momenti della vita privata, ma di preferenza quelli che si connettono colla pubblica, quali sarebbero le feste ed i ricevimenti o che hanno, in alcun modo, attinenza colle arti e colla cultura generale. Ora, noi gente positiva, abbiamo oggi delle curiosità più minute e meno discrete. Non ci basta sapere come quei fastosi signori accogliessero i frequenti ospiti, come ordinassero i banchetti, come uscissero a cavalcate, come vestissero nelle solenni occasioni, come si raccogliessero la sera in illustre compagnia a novellare od a ragionare di ornate cose, ma ci prende un indiscreto desiderio di entrare nelle più intime camere loro, di assistere la mattina al loro primo levare, di accompagnarli passo passo per tutta la giornata, di sorprendere le loro più gelose debolezze, di sedere alla loro tavola quando pranzano in famiglia, di gustare le loro vivande, di ascoltare i loro discorsi coi servitori e colle donne, e, quando la sera prendono commiato dai famigliari, di seguirli lungo i corritoi oscuri o su per le scale tortuose, e riaccompagnarli in camera, a meno che, fatti da qualche dolce ragione sospettosi e gelosi, non ce ne chiudano l'uscio sul muso, e non tirino il chiavistello. Queste nozioni, i libri che ci si mettono di proposito non ce le danno. Si possono bensì racimolare qua e là nei novellieri, e così mi sono industriato di fare, ma è bene dove le cose parlano, lasciar parlare le cose, le quali la sanno lunga e sono al solito più sincere che gli uomini.
Innanzi di conoscere il Castellano, vediamo dunque di visitare il Castello. Il Castello del secolo XV, ha già alquanto dimesso della originaria spavalderia bellicosa. Ancora gli durano le torri e a taluno i fossati, ma le varie cinte che nei secoli precedenti lo fasciavano tutto intorno e gli toglievano l'aria e la vista, sono in parte cadute, ed in parte dimezzate per l'altezza, reggono gli stecconi delle pergole o danno appoggio alle spalliere. Noi dobbiamo però, se ci è caro averne una giusta mozione, imbrigliare alquanto la fantasia amplificatrice, la quale suole rappresentarci il castello feudale d'assai più vasto che in realtà non fosse. A mano a mano che la facoltà di muovere ed i mezzi di sostenere la guerra, vennero restringendosi dai signori di terre ai signori di Stati, il castello feudale, ove dimoravano i padroni, prese meno spazio ed apparve meno imponente. Coll'assodarsi delle monarchie, cessò ai signori il diritto di levar genti e la necessità di allogarle in chiusi recinti a guardia della Rocca. Gli apparecchi belligeri che sul principio del secolo XV alcuni signori amano ancora disporre intorno al maniero, ci stanno più a testimonianza di prerogative nobiliari che a pratica difesa. E perchè sono incomodi e costosi, ci durano poco, o perdurando sono causa che il padrone sloggi dalla antica e si fabbrichi nelle vicinanze una nuova dimora. I castelli dei privati signori che ancora ci rimangono di quel tempo, sono ben lontani dal fastoso apparecchio che un secolo e mezzo o due secoli più tardi fa delle ville signoresche altrettanti luoghi incantati, dove gli spaziosi giardini, le gradinate a terrazzi e gli alberi secolari diventano elementi architettonici e combinano insieme col palazzo ad una magnifica ed armoniosa veduta. Il giardino del secolo XV più si assomiglia ad un orto che ai lambiccati giardini del seicento e del settecento; esso è quasi sempre chiuso fra muraglie alte onde prende un'apparenza claustrale che non disdice all'ordinamento interno della casa. – Al di fuori, il castello ha un aspetto severo e spesso arcigno. Da una larga porta e per un atrio spazioso, si riesce nel cortile, lastricato a lastroni massicci, intorno al quale corrono le quattro pareti della casa aperte in portici e loggie e fregiati i muri con fascie a rabeschi e colori, con stemmi in pietra o dipinti, o con istorie figurate. Nel mezzo del cortile sta il pozzo o la cisterna, col parapetto fatto di pietre o marmi scolpiti, col tettuccio a colonnini, o colle staffe di ferro battuto a delicati fiorami, che reggono la carrucola. A volte, fra i monti dove si può condurre al castello qualche acqua sorgiva, in luogo del pozzo si trova una vasca che riceve zampilli dalla colonna che le sorge nel mezzo o pioggia abbondante di stille da un albero fronzuto di naturale grandezza, tutto ferro operato dalle radici alle foglie ed ai frutti. Sotto il portico, rasente il pieno muro, corre una lunga fila di panche fisse colla spalliera vagamente intagliata. E tra il sommo della spalliera e la vôlta, alcune pitture a fresco narrano a episodi la vita del castello e del borgo. Una ci mostra il corpo di guardia: nel fondo sta la rastrelliera cui pendono le armi, nel mezzo i soldati seduti al desco bevono, uno briaco fradicio dorme, altri giocano, due si accapigliano, e ad un capo della tavola una donna mostra all'amante la scena disgustosa per svogliarlo dalla intemperanza. Poi viene la bottega del beccaio, poi il mercato delle frutta e degli erbaggi, poi il sarto, poi lo speziale. Scene popolari e borghesi, tutte movimento, ispirate certo alla vista delle cose reali, testimonio preziosissimo delle costumanze locali, perchè la ingenuità della fattura, e una certa rozzezza artistica, attestano che il pittore ancora non conobbe l'arte nuova, che non attinse a maestri, ma s'industriò alla meglio di rappresentare le cose che gli stavano intorno.
Nel corpo della casa opposto all'entrata, od in quello che apre esternamente sui luoghi meno belli, meno soleggiati e meno in vista, stanno le cucine, le dispense, il tinello e gli altri locali dati al servizio, al bucato, e via dicendo. A seconda della maggiore o minor mole del castello e della sua giacitura, si trovano pure a pian terreno una o più camere fornite, ad uso di ospizio per i viandanti. Certe volte, queste camere, stanno in qualche fabbrica staccata e vicina, colle scuderie, i canili, le stalle ed il fienile.
La cucina ha nella vita signoresca di quel tempo una importanza grandissima quale noi a stento possiamo concepire, anche quando confrontiamo alle modiche nostre le formidabili mangiate di quei nostri maggiori. La Castellana pur sapendo di greco e di latino (caso, più raro assai, a mio giudizio, di quanto sia stato detto e di quanto si creda), scende ogni giorno alla cucina, bada direttamente alla spesa, e ne registra i conti in apposito libretto, combina col cuoco, o più comunemente colla cuoca, la lista del desinare, misura il vino alla servitù, vigila alla nettezza dei rami e delle stoviglie. Tutti i rami portano impressa l'arme della famiglia, come pure le brocche, le mezzine, i gotti, ed i piatti di stagno, e belle armi scolpite mostrano i monumentali mortai. – La cucina ha due immensi camini: uno raccoglie sotto le ali della cappa i fornelli, l'altro, il maggiore che ospiterebbe al coperto tutto quanto il servitorame, ha in un fianco, sotto la cappa, il forno, e dal lato opposto, aperto nel muro del fondo, il passa vivande, che guarda nella sala da pranzo. Questa la conosciamo: gli scrittori di storia, i novellieri, i diplomatici ed i poeti, ce ne hanno lasciato diligenti e riconoscenti descrizioni. D'altra parte il suo arredamento non ha quella stabilità che si incontra in ogni altro membro della casa, e a norma delle circostanze e degli ospiti, variano le tappezzerie, variano i mobili e variano sopratutto le argenterie ed il vasellame di cui, nelle occasioni solenni, il sire del Castello fa grande e non sincera mostra, togliendone a prestito da qualche vicino o parente.
Qui sopratutto da Principe a Castellano ci corre. Il Principe del Rinascimento, venuto in subitanea ed impensata grandezza, ama lo sfarzo degli apparati per naturale inclinazione artistica e per accorgimento politico. Egli sa che tanto più può quanto più è creduto potere, e del potere è visibile indizio la magnificenza. Inoltre, salito all'altissimo grado per virtù d'ingegno, egli pregia tutte le manifestazioni dell'ingegno umano, e gli ingegni stessi, onde si circonda di poeti e di artisti, ne stimola con danari ed onori l'attività, traendo dalla loro dimestichezza e dalle opere loro, come osserva il Burckardt, una nuova legittimità alla sua illegittima potenza.
Il Castellano, nobile di antica data, ha bensì ambizioni grandi, ma deve fare i conti colle rendite che il potere sovrano gli va continuamente assottigliando. Nè in tempi di così instabili signorie, e nella rapida decadenza degli ordinamenti feudali, egli osa fare vistosa mostra di ricchezze; onde, dei nuovi agi e delle nuove eleganze, ama piuttosto fruire in famiglia che procacciare agli ospiti il godimento. Perciò troveremo più ornate e ricche le camere di sopra, destinate al dormire e all'abitare, che la sala da pranzo e quella antica sala baronale che ancora occupa al piano terreno il maggiore spazio, ma che sia ostentazione di austerità, sia religione degli avi o sia piuttosto il trovarcisi a disagio, il padrone lascia, per lo più, nuda, fredda e solenne quale l'ebbe dai padri.
Due scale mettono ai piani superiori della casa. Una, stretta, oscura e rotta da frequenti ripiani, è destinata al disbrigo delle faccende domestiche, l'altra spaziosa e chiara è riservata ai signori. Questa, o sale visibilmente dal cortile coperta di un tettuccio posato su pilastrini o colonnini, o si svolge in branche regolari con scalini larghissimi e di poco rilievo. Nell'Alta Italia non erano infrequenti le scale a chiocciola. Il Castello d'Issogne in Valle d'Aosta ce ne mostra una veramente bella e degna di studio. Ogni gradino s'impernia dall'uno dei capi in una colonna di granito sottilissima, e di là allarga a ventaglio il suo piano finchè infigge nel muro l'altro capo, più largo di un braccio. Rigirata sopra sè stessa, descrivendo un circolo che misura oltre quattro metri di diametro, quella scala, che pare empire colla sua elica enorme il cavo di una torre, ascende misteriosa, nascondendo, a chi sale, la persona che lo preceda di pochi gradini, ed ingrossando il suono di ogni passo e diffondendolo in quel vento continuo che rendono le spire di una conchiglia. La sera essa vi dà quella sottile inquietudine imaginosa, così piacevole agli adulti. Ogni passo ed ogni voce svegliano mille echi di passi e di voci che sembrano turbinare nel vano e salire e smarrirsi poi via per i solai tenebrosi. Vi scattano rumori secchi come il battere di un acciarino, spenti nell'attimo come la scintilla che ne lampeggia, vi corrono fruscii morbidi come di vesti che sfiorino la terra e rapidi come di persona snella che si rimpiatti. Se altri vi preceda colla lucerna, le muraglie, più che una luce, riflettono una bianchezza incerta simile a quella che irradiata dalle lampade degli altari fa più nera l'oscurità delle navate.
Le camere del primo piano, sono chiare e spaziose; i mobili pochi, ma ognuno di essi ha singolari pregi artistici. Gli intagli assottigliano il legno e gli danno la vaghezza e la leggerezza di un ricamo, senza scemarne punto la solidità. All'opposto di quanto segue oggidì, i meglio ornati non sono i mobili di pretto lusso, ma gli usuali, come i grandi stipi addossati al muro, le credenze, il seggiolone o cattedra che fiancheggia il letto, la cui spalliera, imperniata al telaio, può all'occorrenza scendere, e posando sui bracciuoli formare una tavola. Ai piedi del letto sta il cassone, o la cassapanca, ornata di intagli a fiori o figure, e con delicati fregi di ferro, alle maniglie ed alla serratura, quella cassapanca che fu argomento di tante argute ed inverosimili storie ai novellieri, nella quale le donne riponevano le vesti più sfarzose, poichè ancora non usava, o poco, di appenderle negli armadi. Il letto a colonnini, è coperto e fasciato di ricchissime cortine. Quando il signore conduceva la sposa al castello, la camera nuziale era tutta apparata a nuovo. Le altre camere della casa erano depredate per raccoglierne in quella tutti gli agi e le ricchezze. Si ponevano sul letto fin quattro materassi di bambagia, le lenzuola erano di tela, sottilissime, tutte trapunte di seta e d'oro, che doveva far ribrezzo a toccarle. Le coperte, di raso rosso, azzurro, cremisino, mostravano ricami di fili d'oro con le frangie d'ognintorno. Le cortine erano a liste alternate di velluto e damasco e tocca. Quattro origlieri lavorati maravigliosamente a ricami e trine aspettavano le nobili teste. Alle pareti, arazzi istoriati o vaghe stoffe sottili, a ghirlande di fiori. Nel mezzo sulla tavola un tappeto alessandrino, ed un tappeto, alessandrino pure, sul palco che reggeva il letto. E intorno i forzieri recati in dote dalla sposa, pieni di gemme, di monili, di stoffe preziose e di merletti.
Ma tale fasto durava quanto la intima convivenza dei coniugi, i quali, a breve andare, si riducevano entrambi in meno ricchi appartamenti, e spartivano fra di essi ed in seguito colla figliolanza le quattro materasse, che erano spesso le sole della casa, e delle quali più d'una volta i figlioli maschi ignoravano, finchè non menassero moglie, le tepide mollezze. Perchè, il lusso era grande, ma non pari al lusso le comodità, o, quanto meno, non le minute comodità, che tanto pregiamo ai giorni nostri.
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