Le cinque ultime campagne di Belisario dovettero affievolir l'invidia de' suoi competitori, gli occhi dei quali erano rimasti abbagliati ed offesi dallo splendore della prima sua gloria. In vece di liberare l'Italia dai Goti, egli era andato errando come un fuggitivo, lungo la costa, senza osare di internarsi nel paese, o di accettare la baldanzosa e replicata disfida di Totila. Eppure nel sentimento dei pochi che sanno separare i consiglj dagli avvenimenti, e paragonare gli stromenti con l'esecuzione, egli comparve più consumato maestro nell'arte della guerra, che non nei tempi della sua prosperità quand'egli traeva due Re prigionieri innanzi al trono di Giustiniano. Il valore di Belisario non era raffreddato dagli anni; la speranza aveva maturato il suo senno; ma pare che le morali virtù dell'umanità e della giustizia cedessero alla dura necessità dei tempi. La parsimonia o povertà dell'Imperatore costrinse Belisario a deviare dalla regola di condotta che gli aveva meritato l'amore e la confidenza degli Italiani. Si mantenne la guerra, mediante l'oppressione di Ravenna, della Sicilia e di tutti i fedeli sudditi dell'Impero; e la sua severità verso Erodiano, o meritata fosse od ingiusta, condusse questo Uffiziale a dare Spoleto in mano ai nemici. L'avarizia di Antonina, alla quale l'amore altre volte aveva fatto deviamento, regnava allora senza rivale nel cuore di essa. Belisario medesimo aveva sempre pensato che le ricchezze, in un secolo corrotto, sono il sostegno e l'ornamento del merito personale. Nè può presumersi ch'egli macchiasse il suo nome pel servizio pubblico, senza appropriarsi una parte di quelle spoglie. L'Eroe aveva sfuggito la spada dei Barbari119, ma il pugnale della cospirazione lo aspettava nel suo ritorno. In mezzo alle ricchezze ed agli onori, Artabano che aveva punito il Tiranno dell'Affrica, si lamentò dell'ingratitudine delle Corti. Egli aspirò alla mano di Prejecta nipote dell'Imperatore, il quale desiderava di ricompensare il suo liberatore. Ma la pietà di Teodora pose in campo ad ostacolo l'anteriore di lui matrimonio. L'orgoglio della real discendenza venne irritato dalla adulazione, ed il servizio di cui egli andava altero, aveva provato ch'era capace di fatti sanguinosi e superbi. Risoluta fu la morte di Giustiniano, ma i cospiratori ne differirono l'esecuzione, finchè potessero sorprendere Belisario disarmato e senza guardie nel palazzo di Costantinopoli. Non si poteva nutrire alcuna speranza di smuovere la sua fedeltà, da lungo tempo provata; ed essi giustamente paventavano la vendetta o piuttosto la giustizia del veterano Generale, che speditamente poteva adunar l'esercito della Tracia, onde punir gli assassini e forse godere i frutti del loro delitto. La dilazione condusse qualche confidenza indiscreta, e qualche confessione mossa dal rimorso. Artabano ed i suoi complici furono condannati dal Senato; ma l'estrema clemenza di Giustiniano non li punì che col ditenerli prigionieri nel suo proprio palazzo, sino al momento in cui perdonò loro quel criminoso attentato contro il suo trono e la sua vita. Se l'Imperatore dimenticava i suoi nemici, egli cordialmente doveva abbracciare un amico di cui non si ricordavano che le vittorie, e che più caro era fatto al suo Principe dalle recenti circostanze del loro comune pericolo. Belisario riposò delle sue fatiche nell'alta carica di Generale dell'Oriente e di Conte dei Domestici, ed i più antichi Consoli e patrizj rispettosamente cederono la precedenza del grado all'incomparabil merito del primo dei Romani120. Il primo de' Romani continuò ad essere l'umile schiavo della sua moglie; ma il servaggio dell'abitudine e dell'amore divenne men vergognoso, poscia che la morte di Teodora ebbe tolto di mezzo l'abbietto influsso del timore. Giovannina, loro figlia e sola erede dei loro tesori, fu promessa in moglie ad Anastasio, nipote dell'Imperatrice121, l'amorevol interposizione della quale aveva anticipato le gioje dei loro giovanili amori. Ma il potere di Teodora cadde insieme colla sua vita. I genitori di Giovannina cangiarono di consiglio, e l'onore e forse la felicità di essa furono sacrificati alla vendetta di un'insensibil madre che disciolse le imperfette nozze, innanzi che venissero ratificate dalle cerimonie della Chiesa122.
Prima che Belisario partisse, Perugia fu assediata, e poche città si tennero inespugnabili contro le armi de' Goti. Ravenna, Ancona e Crotona tuttavia resistevano a' Barbari; e quando Totila chiese in isposa una delle infanti di Francia, egli fu punto dal giusto rimprovero che il Re d'Italia non meritava questo titolo, finchè non fosse riconosciuto dal Popolo romano. Tremila de' più valorosi soldati rimanevano a difesa della capitale. Per sospetto di monopolio essi trucidarono il Governatore e significarono a Giustiniano, col mezzo di una deputazione del clero, che se non perdonava questa violenza e non faceva pagar loro il soldo arretrato, immediatamente avrebbero accettato le allettanti proposte di Totila. Ma l'uffiziale che succedè al comando (il suo nome era Diogene) meritò la stima e la confidenza loro; ed i Goti, invece di rinvenire una facil conquista, trovarono una vigorosa resistenza per parte de' soldati e del popolo, il quale pazientemente sostenne la perdita del Porto e di tutti i soccorsi che riceveva dal mare. L'assedio di Roma si sarebbe forse levato, se la liberalità di Totila verso gl'Isauri non avesse eccitato al tradimento alcuno dei venali loro compatriotti. In una notte tenebrosa, mentre le trombe Gotiche sonavano da un altro lato, essi tacitamente aprirono la porta di S. Paolo. I Barbari si gittarono nella città; e la fuggente guernigione fu tagliata fuori, prima che potesse raggiugnere il porto di Centumcella. Un soldato, allevato nella scuola di Belisario, Paolo di Cilicia, si ritirò con quattrocento uomini nel molo di Adriano. Essi respinsero i Goti, ma erano minacciati dalla fame, e la loro avversione a mangiar carne di cavallo, gli confermò nel divisamento di arrischiare una disperata e decisiva sortita. Ma il loro ardire a poco a poco raffreddò per le offerte di una Capitolazione. Essi riceverono le loro paghe arretrate, e conservarono le armi e i cavalli, col porsi al servizio di Totila. I loro Capi che allegarono una lodevole affezione alle mogli ed ai figli loro rimasti nell'Oriente, furono licenziati con onore; più di quattro cento nemici che avevano cercato un asilo nei santuarj, andarono obbligati della loro salvezza alla clemenza del vincitore. Egli più non nutriva il disegno di sovvertire gli edifizj di Roma123, città che omai rispettava come la sede del Gotico Regno: il Senato ed il Popolo furono richiamati alla lor Patria; liberalmente si provvide ai mezzi di sussistenza; e Totila, in ammanto di pace, celebrò i giuochi equestri del Circo. Nel tempo ch'egli divertiva gli occhi della moltitudine, si allestivano quattro cento vascelli per imbarcar le sue truppe. Le città di Reggio e di Taranto cederono alle sue armi. Egli passò nella Sicilia, oggetto dell'implacabil suo sdegno, e l'Isola fu spogliata dell'oro e dell'argento che conteneva, dei frutti della terra, e di un infinito numero di cavalli, di greggi e di mandre. La Sardegna e la Corsica obbedirono alla fortuna dell'Italia; ed una flotta di trecento galee si portò sulle coste della Grecia124. I Goti sbarcarono a Corcira e sull'antico Continente dell'Epiro, si trassero fino a Nicopoli, trofeo di Augusto, e a Dodona125, una volta famosa pei responsi di Giove. Ad ogni nuova vittoria, il prudente Barbaro ripeteva a Giustiniano il desiderio che nutriva della pace, vantava il buon accordo dei loro predecessori, ed offeriva di impiegare le armi de' Goti per servire l'Impero.
Giustiniano era sordo alla voce della pace; ma trascurava di sostenere la guerra; e l'indolenza della sua natura tradiva in qualche modo la pertinacia delle sue passioni. L'Imperatore fu tolto di questo salutare letargo dal Papa Vigilio e dal Patrizio Cetego, che si presentarono dinanzi al suo trono, e lo scongiurarono, in nome di Dio e del Popolo, d'imprendere nuovamente la conquista e la liberazione dell'Italia. Il capriccio non meno che il senno influì nella scelta dei Generali. Una flotta, carica di un esercito, e condotta da Liberio, fece vela in soccorso della Sicilia; ma l'avanzata età e la poca esperienza di costui vennero ben presto all'aperto, e gli fu dato un successore, prima che toccassero le spiagge dell'Isola. Il cospiratore Artabano fu tratto dalla prigione ed innalzato agli onori militari nel posto di Liberio, piamente credendosi che la gratitudine avrebbe animato il suo valore, e rinvigorito la sua fedeltà. Belisario riposava all'ombra dei suoi allori, ma il comando dell'esercito principale era serbato a Germano126, nipote dell'Imperatore, che veduto aveva il suo grado ed il suo merito per lungo tempo oppressi dalla gelosia della Corte. Teodora lo aveva offeso nei diritti di cittadino privato, relativamente al matrimonio de' suoi figliuoli, ed al testamento del suo fratello; e quantunque pura ed irreprensibile fosse la condotta di lui, tuttavia Giustiniano sentiva di mal animo che riputato venisse degno della confidenza dei malcontenti. La vita di Germano era una lezione di obbedienza assoluta: nobilmente egli ricusò di prostituire il suo nome ed il suo carattere nelle fazioni del Circo. La gravità de' suoi costumi veniva temperata da un'innocente giovialità; e le sue ricchezze sollevavano senza interesse l'indigenza e il merito de' suoi amici. Il valore di Germano aveva già prima trionfato degli Schiavoni del Danubio, e dei ribelli dell'Affrica. La prima nuova della sua promozione fece risorgere le speranze degli Italiani; e gli si diede in segreto la sicurezza che una flotta di disertori romani abbandonerebbe le bandiere di Totila all'avvicinarsi di lui. Il secondo suo matrimonio con Malasonta, nipote di Teodorico, rendeva Germano accetto ai Goti medesimi: ed essi con ripugnanza si muovevano contro il padre di un fanciullo reale, ultimo rampollo della stirpe degli Amali127. L'Imperatore gli assegnò uno splendido stipendio. Germano contribuì alle spese colle sue private sostanze. I suoi due figli erano attivi e ben veduti dal Popolo; ed egli, nella prontezza e nel buon successo delle leve che fece, superò l'aspettazione degli uomini. Gli fu permesso di scegliere alcuni squadroni di cavalleria Trace. I Veterani ugualmente che i giovani di Costantinopoli e d'Europa, si impegnarono a volontario servigio, e fin dentro al cuore della Germania, la fama e la liberalità del Comandante gli attirò l'ajuto dei Barbari. I Romani si avanzarono sino a Sardica; un esercito di Schiavoni fuggì all'aspetto delle armi loro: ma due giorni dopo la definitiva loro partenza, i disegni di Germano caddero troncati dalla malattia e dalla morte di esso. Nondimeno la spinta ch'egli aveva dato alla guerra d'Italia, continuò ad operare con efficacia e vigore. Le Città marittime, Ancona, Crotona, Centumcella, resisterono agli assalti di Totila. Lo zelo di Artabano ricuperò la Sicilia, e l'armata navale dei Goti fu disfatta presso ai lidi dell'Adriatico. Quasi eguali in forza erano le due flotte, di cui una aveva quarantasette, l'altra cinquanta galee: la perizia e la destrezza dei Greci determinò la vittoria; ma le navi furono così strettamente arraffatte che di quello dei Goti, dodici soltanto scamparono dal disastroso conflitto. Essi affettarono di tenere a spregio un elemento di cui non avevan pratica, ma la propria loro esperienza confermò la verità della massima, che il padrone del mare sempre lo divien della terra128.
Dopo la morte di Germano, le nazioni furono provocate al riso dalla strana novella che il comando degli eserciti Romani era affidato ad un Eunuco. Ma l'Eunuco Narsete129 dee venir posto fra i pochissimi che hanno saputo sottrarre al disprezzo ed all'odio dell'uman genere quel nome infelice.
Un corpo debole e diminutivo nascondeva l'animo di uno statista e di un guerriero. Perduto egli aveva la giovinezza nel trattare la rocca e la spola nei bassi ufficj domestici, e nel servizio del lusso feminile; ma in mezzo a quelle ignobili cure, segretamente egli esercitava le facoltà di una mente vigorosa e perspicace. Straniero nelle scuole e nel campo, egli studiava nel palazzo le arti d'infingere, di adulare, e di persuadere; e tosto che avvicinossi alla persona dell'Imperatore, Giustiniano con sorpresa e piacere diede ascolto ai virili consigli del suo Ciamberlano e Tesoriere privato130. Si sperimentò e si accrebbe l'abilità di Narsete mercè delle frequenti ambascerie: egli condusse un esercito in Italia; acquistò una cognizione pratica della guerra e del paese, ed ebbe l'animo di gareggiare col genio di Belisario. Dodici anni dopo il suo ritorno, l'Eunuco fu scelto a compiere la conquista che il primo dei Generali romani aveva lasciato imperfetta. In luogo di cedere al bagliore della vanità e della adulazione, egli seriamente dichiarò, che se non riceveva forze adeguate all'impresa, mai non consentirebbe ad avventurar la sua gloria e quella del suo Sovrano. Giustiniano accordò al favorito ciò che forse avrebbe negato all'Eroe. La guerra Gotica rinacque dalle sue ceneri, ed i preparativi non furono indegni dell'antica maestà dell'Impero. Fu posta in sua mano la chiave dell'erario per formar magazzini, levar soldati, provvedere armi e cavalli, saldare le paghe arretrate, e adescare la fedeltà dei disertori e fuggiaschi. Le truppe di Germano erano in armi tuttora: esse fecero alto a Salona, aspettando il novello condottiero, e la ben nota liberalità di Narsete gli creò legioni di sudditi e di alleati. Il Re dei Lombardi131 adempì e superò gli obblighi di un trattato col fornire duemila e duecento de' suoi più prodi Guerrieri, coi quali venivano tremila dei loro marziali seguaci. Tremila Eruli combattevano a cavallo sotto Filemuto, nativo loro condottiero; ed il nobile Arato, che aveva adottato i costumi e la disciplina di Roma, comandava una banda di veterani della stessa nazione. Dagisteo fu tratto dalla prigione per capitanare gli Unni, e Kobad, nipote del gran Re, splendeva colla tiara regale alla testa de' suoi fedeli Persiani, che s'erano dedicati alla fortuna del loro Principe132. Assoluto nell'esercizio della sua autorità, più assoluto per l'amore delle sue truppe, Narsete condusse un numeroso e valente esercito da Filippopoli a Salona, d'onde costeggiò il lido Orientale dell'Adriatico sino ai confini dell'Italia, ove fu arrestato il suo andare. L'Oriente non poteva fornire vascelli atti a trasportare tanti uomini e tanti cavalli. I Franchi, i quali in mezzo al generale scompiglio, avevano usurpato la maggior parte della Provincia di Venezia, ricusavano il passo agli amici dei Lombardi. Teja, col fiore delle forze Gote, occupò la stazione di Verona, e quell'abile Capitano aveva coperto l'addiacente contrada di selve abbattute e di acque tratte fuori del letto de' Fiumi133. In questi frangenti, un Ufficiale sperimentato propose un disegno che dalla stessa sua temerità era fatto sicuro; cioè che l'esercito romano cautamente movesse lungo il lido del mare, mentre la flotta, precedendo la sua marcia, avrebbe successivamente gettato un ponte di battelli sulle foci del Timavo, della Brenta, dell'Adige e del Po, fiumi che cadono nell'Adriatico a settentrione di Ravenna. Nove giorni riposò nella città il Comandante romano, raccolse i residui dell'esercito d'Italia, e mosse alla volta di Rimini per accettar la disfida di un insultante nemico.
La prudenza di Narsete lo spinse ad una pronta e decisiva azione. Il suo esercito era l'ultimo sforzo dello Stato; le spese di ciascun giorno crescevano l'enorme debito, e le nazioni non assuefatte alla disciplina ed al travaglio potevano temerariamente condursi a volgere le armi una contro l'altra o contro il loro benefattore. Le stesse considerazioni avrebbero dovuto rattemperare l'ardore di Totila. Ma consapevole egli era, che il Clero ed il Popolo d'Italia agognavano ad una rivoluzione: egli si avvide od insospettì dei rapidi progressi che facea il tradimento, e stabilì di commettere il regno dei Goti alle venture di una giornata campale, in cui i prodi fossero animati dall'imminente pericolo, ed i mal affetti fossero rattenuti dalla reciproca loro ignoranza. Da Ravenna il Generale romano continuò la sua marcia, punì la guernigione di Rimini, traversò in linea retta i Colli di Urbino e riprese la via Flaminia, nove miglia di là dalla Rocca Forata, ostacolo dell'arte e della natura che poteva fermare o ritardare i suoi passi134. Adunati erano i Goti nelle vicinanze di Roma; senza frapporre dimora essi avanzarono all'incontro di un superiore nemico, e i due eserciti si accostarono fra loro alla distanza di cento stadi, fra Tagina135 ed i sepolcri dei Galli136
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