Читать бесплатно книгу «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 2» Эдварда Гиббона полностью онлайн — MyBook
cover

La vittoria di Claudio su i Goti, e il fortunato successo di Aureliano contro gli Alemanni aveano già restituito alle armi Romane l'antica lor superiorità sopra le Barbare nazioni del Settentrione. Il punire i domestici tiranni, e riunire le smembrate parti dell'Impero era un'impresa riservata all'ultimo di questi bellicosi Imperatori. Quantunque fosse stato riconosciuto dal Senato e dal Popolo, le frontiere dell'Italia, dell'Africa, dell'Illirico e della Tracia ristringevano i confini del suo dominio. La Gallia, la Spagna e la Britannia, l'Egitto, la Siria e l'Asia minore erano tuttavia possedute da due ribelli, che soli di una lista sì numerosa, erano sino allora andati esenti dai pericoli della lor condizione; e per render compita l'ignominia Romana, due donne erano le usurpatrici di quei troni rivali.

S'era veduta nella Gallia una rapida successione di Monarchi, innalzati e caduti. La rigida virtù di Postumo non servì che ad accelerare la sua rovina. Egli dopo d'aver oppresso un competitore, ch'aveva presa in Magonza la porpora ricusò di concedere alle sue truppe il sacco di quella ribelle città; e nel settimo anno del regno suo divenne la vittima della loro delusa avarizia46. La morte di Vittorino, amico e collega di Postumo, fu prodotta la più piccola causa. Le luminose qualità47 di questo Principe erano oscurate da una licenziosa passione, ch'egli soddisfaceva con atti di violenza, senza aver quasi riguardo alle leggi della società, o a quelle ancor dell'amore48. Egli fu trucidato a Colonia da una congiura di gelosi mariti, la cui vendetta potrebbe sembrare più giustificabile, se risparmiato avessero l'innocente suo figlio. Dopo la strage di tanti Principi valorosi, è in certo modo mirabile, che una donna contenesse per lungo tempo le feroci legioni della Gallia, ed è cosa più singolare, che questa donna fosse la madre dell'infelice Vittorino. Coi suoi artifizi e colle sue ricchezze potè Vittoria collocar successivamente sul trono Mario e Tetrico, e regnare con maschio vigore sotto il nome di questi dipendenti Imperatori. La moneta di rame, di argento, e di oro si coniava in suo nome; essa prese i titoli di Augusta e di Madre degli eserciti: il suo potere finì solamente colla sua vita; ma fu questa forse accorciata dalla ingratitudine di Tetrico49.

A. D. 271

Quando ad istigazione dell'ambiziosa sua protettrice assunse Tetrico le regie insegne, egli era Governatore della tranquilla provincia dell'Aquitania, impiego convenevole al suo carattere ed alla sua educazione. Egli regnò per quattro o cinque anni sulla Gallia, sulla Spagna e sulla Britannia, schiavo e Sovrano di un licenzioso esercito, ch'egli temeva, e dal quale era sprezzato. Il valore e la fortuna di Aureliano gli aprirono finalmente la strada alla libertà. Egli si arrischiò a svelare la trista sua situazione, e scongiurò l'Imperatore di affrettarsi a soccorrere il suo infelice rivale. Questa segreta corrispondenza, se fosse giunta all'orecchie dei soldati, molto probabilmente avrebbe costato a Tetrico la vita; nè poteva egli deporre lo scettro dell'Occidente senza commettere un atto di tradimento contro se stesso. Egli finse che vi fosse apparenza di una guerra civile, condusse in campo le sue forze contro Aureliano, le ordinò nella maniera più svantaggiosa, svelò i suoi propri consigli al nemico, e con pochi scelti amici disertò sul principio dell'azione. Le ribelli legioni, benchè disordinate e sconcertate dall'inaspettato tradimento del loro Capo, si difesero però con disperato valore, finchè furono quasi tutte tagliate a pezzi in quella sanguinosa e memorabil battaglia, che seguì vicino a Chalons nella Sciampagna50. La ritirata degli ausiliari irregolari Franchi e Batavi51, che il vincitore presto costrinse o persuase a ripassare il Reno, ristabilì l'universale tranquillità, e l'autorità di Aureliano fu riconosciuta dalla muraglia d'Antonino alle colonne d'Ercole.

Fino dal regno di Claudio la Città di Autun, sola e senza soccorso, avea osato dichiararsi contro le legioni della Gallia. Dopo un assedio di setto mesi esse rovinarono e saccheggiarono quella sfortunata città già desolata dalla fame52. Lione, al contrario, avea resistito con ostinata avversione alle armi di Aureliano. Si legge il castigo di Lione53, ma non si trovano mentovate le ricompense di Autun. Tale in verità è la politica della guerra civile, ricordarsi severamente delle ingiurie, ed obbliare i più importanti servigi. La vendetta è proficua, la gratitudine è dispendiosa.

A. D. 272

Appena Aureliano si fu assicurato della persona e delle province di Tetrico, rivolse le sue armi contro Zenobia, quella celebre Regina di Palmira e dell'Oriente. L'Europa moderna ha prodotte varie femmine illustri, che hanno sostenuto con gloria il peso del regno; nè il nostro secolo è privo di sì distinti caratteri. Ma, eccettuando le dubbie imprese di Semiramide, Zenobia è forse l'unica donna, il cui genio superiore si sia sollevato dalla servile indolenza, imposta al suo sesso dal clima e dai costumi dell'Asia54. Essa vantava la sua origine dai Re Macedoni dell'Egitto, uguagliava in bellezza la sua antenata Cleopatra, e superava d'assai questa Principessa nella castità55 e nel valore. Era Zenobia stimata la più amabile e la più eroica del suo sesso. Era di carnagione bruna (giacchè parlando di una Signora queste piccole cose divengono importanti); i suoi denti erano di una bianchezza di perla, e ne' suoi grandi e neri occhi scintillava un insolito fuoco, temperato dalla più lusinghiera dolcezza. Forte ed armoniosa aveva la voce. Il suo maschio intelletto era rinvigorito ed adornato dallo studio. Non era ella ignara della lingua Latina, e possedeva con ugual perfezione il linguaggio Greco, l'Egiziano e il Siriaco. Avea disteso per suo proprio uso un Epitome della Storia Orientale, e familiarmente paragonava le bellezze di Omero e di Platone dietro la scorta del sublime Longino.

Questa perfetta donna sposò Odenato, che dalla condizione di privato s'innalzò alla Sovranità dell'Oriente. Divenne essa ben tosto amica e compagna di quest'Eroe. Negl'intervalli della guerra si dilettava Odenato estremamente della caccia; egli inseguiva con ardore le fiere dei deserti, leoni, pantere ed orsi; e l'ardor di Zenobia in quel pericoloso divertimento non era punto inferiore. Avea essa avvezzato il suo temperamento alla fatica, sdegnava l'uso di un cocchio coperto, compariva ordinariamente a cavallo in abito militare, e marciava talvolta per molte miglia a piedi alla testa delle sue truppe. I felici successi di Odenato furono attribuiti in gran parte all'incomparabile di lei prudenza e valore. Le illustri loro vittorie sopra il gran Re, che per due volte perseguitarono fino alle porte di Ctesifone, gettarono i fondamenti della comune lor fama e potenza. Le armate, ch'essi comandavano, e le Province ch'aveano salvate, non riconoscevano per Sovrani che i due lor Capi invincibili. Il Senato e il popolo Romano riverivano uno straniero, che vendicato avea il prigioniero loro Imperatore, e l'insensibil figlio di Valeriane riconobbe perfino Odenato come suo collega legittimo.

A. D. 267

Dopo una felice spedizione contro i Goti, devastatori dell'Asia, il Principe di Palmira ritornò alla Città di Emesa nella Siria. Invincibile nella guerra, fu ivi ucciso per domestico tradimento, ed il suo favorito divertimento della caccia fu la cagione, o l'occasione almeno della sua morte56. Il suo nipote Meonio pretese di lanciare il suo dardo prima di quel dello zio; e benchè avvertito del fallo, ripetè la medesima insolenza. Fu Odenato irritato come Monarca e come cacciatore: tolse egli al temerario giovane il cavallo, segno d'ignominia tra i Barbari, e lo castigò con un breve confine. Fu presto dimenticata l'offesa, ma non il castigo; e Meonio con pochi arditi congiurati in mezzo ad una gran festa assassinò il suo zio. Erode, figlio di Odenato, benchè non di Zenobia, giovane di carattere dolce ed effemminato57 fu ucciso col padre. Ma Meonio altro non ottenne con questo sanguinoso misfatto, che il piacere di vendicarsi. Ebbe appena tempo di prendere il nome di Augusto, avanti che lo sacrificasse Zenobia alla memoria del suo consorte58.

Con l'assistenza de' suoi più fidi amici essa occupò immediatamente il trono vacante, e governò per più di cinque anni coi suoi virili consigli Palmira, la Siria e l'Oriente. Colla morte di Odenato spirava quell'autorità, che il Senato avea ad esso conceduta soltanto come una personal distinzione; ma la guerriera sua Vedova, disprezzando il Senato e Gallieno, costrinse uno de' Generali Romani, mandato contro di lei, a ritirarsi nell'Europa con la perdita dell'esercito e della sua fama59. In vece di piccole passioni, che agitano così spesso un regno femminile, la salda amministrazione di Zenobia era regolata dalle più giudiziose massime di politica: se era espediente il perdonare, sapeva essa colmare il suo risentimento: se necessario era punire sapeva impor silenzio alle voci della pietà. L'esatta sua economia tacciata fu di avarizia; pure in ogni conveniente occasione si mostrava e magnifica e liberale. I vicini Stati dell'Arabia, dell'Armenia e della Persia temerono la sua inimicizia, e domandarono la sua alleanza. Ai dominj di Odenato, che si estendevano dall'Eufrate alle frontiere della Bitinia, la di lui Vedova aggiunse l'eredità de' suoi antenati, il popolato e fertil regno d'Egitto. L'Imperator Claudio riconobbe il merito di lei, e si contentò, che mentre egli continuava la guerra Gotica, ella sostenesse l'onor dell'Impero in Oriente60. La condotta però di Zenobia fu accompagnata da qualche ambiguità; e non è improbabile, che concepito avesse il disegno di erigere una Monarchia indipendente e nemica. Ella unì alle popolari maniere dei Principi Romani la splendida pompa delle Corti dell'Asia, e pretese da' suoi sudditi le medesime adorazioni, che si prestavano ai successori di Ciro. Dette essa ai suoi figli61 un'educazione Latina, e spesso li presentò alle truppe ornati della Porpora Imperiale. Riservò per se stessa il diadema col magnifico, ma incerto, titolo di Regina dell'Oriente.

A. D. 272

Quando passò Aureliano nell'Asia contro un'avversaria, cui non altro che il sesso render poteva un oggetto di disprezzo, la sua presenza ridusse all'ubbidienza la provincia della Bitinia, già vacillante per le armi e per gl'intrighi di Zenobia62. Avanzandosi alla testa delle legioni egli ricevè la sommissione di Ancira, e pel tradimento di un perfido cittadino fu ammesso in Tiana dopo un assedio ostinato. Il generoso, benchè fiero carattere di Aureliano, abbandonò il traditore al furor dei soldati: una superstiziosa venerazione lo indusse a trattar con clemenza i concittadini del filosofo Apollonio63. Rimase Antiochia deserta al suo avvicinarsi, finchè l'Imperatore con salutevoli editti richiamò i fuggitivi, ed accordò un general perdono a tutti quelli, che per necessità piuttosto che per elezione si erano impegnati al servizio della Regina di Palmira. L'inaspettata moderazione di una tal condotta riconciliò gli animi dei Sirj, e fino alle porte di Emesa i voti dei popoli secondarono il terrore delle armi Imperiali64.

Sarebbe stata Zenobia indegna della sua rinomanza, se avesse indolentemente permesso all'Imperator d'Occidente di avvicinarsi dentro le cento miglia verso la sua Capitale. Il destino dell'Oriente fu deciso in due gran battaglie, tanto simili in quasi tutte le circostanze, che possiamo appena distinguere l'una dall'altra, fuorchè osservando, che la prima seguì vicino ad Antiochia65, e la seconda vicino ad Emesa66. In ambedue, la Regina di Palmira animò gli eserciti con la sua presenza, ed affidò l'esecuzione degli ordini suoi a Zabdas, che già segnalato avea i suoi talenti militari, con la conquista dell'Egitto. Le numerose forze di Zenobia consistevano per la maggior parte in arcieri leggieri ed in cavalleria grave, tutta armata di ferro. I cavalli Mori ed Illirici di Aureliano non poterono resistere all'urto gravissimo dei loro antagonisti. Fuggirono in un vero o simulato disordine; impegnarono i Palmireni in un faticoso inseguimento; gli stancarono con varie piccole scaramucce; e finalmente sconfissero quell'impenetrabile, ma poco agil corpo di cavalleria. L'infanteria leggiera frattanto, quando vote ebbe le faretre, restando senza difesa contro un più stretto assalto, espose i nudi fianchi alle spade delle legioni. Aureliano avea scelto queste truppe veterane ch'erano ordinariamente accampate sulle rive del Danubio superiore, ed il valor delle quali era stato severamente provato nella guerra Alemannica67. Fu impossibile a Zenobia, dopo la disfatta di Emesa, di radunare una terza armata. Fino alle frontiere dell'Egitto le nazioni soggette al suo Impero si erano poste sotto l'insegna del vincitore, che mandò Probo, il più valoroso dei suoi Generali, ad impadronirsi delle province egiziane. Palmira fu l'ultimo asilo della vedova di Odenato. Ritiratasi dentro le mura della sua Capitale, fece ogni preparativo per una vigorosa resistenza, e dichiarò con l'intrepidezza di una Eroina, che l'ultimo momento del suo regno lo sarebbe ancora della sua vita.

In mezzo agli sterili deserti dell'Arabia s'innalzano alcuni pochi pezzi di coltivati terreni, quasi isole di quell'Oceano arenoso. Il nome stesso di Tadmor, o Palmira, nella lingua siriaca e nella latina denotava una moltitudine di palme, che davano ombra e verdura a quella temperata regione. Pura era l'aria; ed il suolo, irrigato da alcuni piccoli ruscelli, era capace di produrre frutti e grano. Un luogo, fornito di vantaggi tanto singolari, e situato in giusta distanza68 tra il golfo Persico ed il Mediterraneo, fu presto frequentato dalle carovane, che portavano alle nazioni Europee una considerabil porzione delle ricche merci dell'India. Palmira divenne insensibilmente una doviziosa ed indipendente città, ed unendo le Monarchie dei Romani e dei Parti cogli scambievoli vantaggi del commercio, potè conservare un'umile indipendenza, finchè alla fine dopo le vittorie di Traiano cadde quella piccola Repubblica in poter di Roma, e fiorì per più di centocinquanta anni nell'onorifico, ma subordinato grado di colonia. Durante questo pacifico periodo, se giudicar si può da poche iscrizioni rimasteci, gli opulenti Palmireni costruirono quei tempj, quei palazzi, quei portici di greca architettura, le cui rovine, sparse per l'estensione di varie miglia, hanno meritata la curiosità dei nostri viaggiatori. Parve che l'esaltazione di Odenato e di Zenobia aggiungesse nuovo splendore alla sua patria, e Palmira per un tempo stette rivale di Roma: ma fu la gara fatale, e molti secoli di prosperità furono sacrificati ad un momento di gloria69.

Nella sua marcia sull'arenoso deserto tra Emesa e Palmira fu Aureliano continuamente infestato dagli Arabi, nè potè sempre difendere il suo esercito, e specialmente il suo bagaglio da quelle volanti truppe di ladri attivi ed arditi, i quali aspettavano il momento della sorpresa, e deludevano il lento perseguire delle legioni. L'assedio di Palmira fu un oggetto assai più pericoloso ed importante, e l'Imperatore istesso, che con continuo vigore animava in persona gli assalti, venne ferito da un dardo. «Il popolo Romano» (dice Aureliano in una lettera originale) «parla con disprezzo della guerra, che io sostengo contro una donna. Egli non conosce il carattere, nè la potenza di Zenobia. È impossibile di enumerare i suoi bellici preparativi di pietre, di dardi, e di ogni sorta di armi lanciabili. Ogni parte delle mura è munita di due o tre baliste, e dalle sue macchine militari escono fuochi artificiali. Il timor del castigo l'ha armata di un disperato coraggio. Pure io confido tuttavia nelle Deità protettrici di Roma, che sono finora state favorevoli ad ogni mia impresa70». Incerto però della protezione degli Dei e dell'esito dell'assedio, Aureliano stimò più prudente consiglio di offerire articoli di una vantaggiosa capitolazione; alla Regina, un magnifico ritiro; ai Cittadini, i loro antichi privilegi. Furono rigettate ostinatamente le sue offerte, e dall'insulto fu accompagnato il rifiuto.

La costanza di Zenobia era sostenuta dalla speranza, che in breve la fame costringerebbe l'esercito Romano a ripassare il deserto; e dalla ragionevole aspettativa, che i Re dell'Oriente, e specialmente il Monarca Persiano, si armerebbero in difesa della loro più naturale alleata. Ma la fortuna e la perseveranza di Aureliano superarono ogni ostacolo. La morte di Sapore, che accadde verso quel tempo71, divise i Consigli della Persia, ed i piccoli soccorsi, co' quali si tentò di sollevare Palmira, furono facilmente intercetti o dalle armi, o dalla liberalità dell'Imperatore. Da ogni parte della Siria, una regolar successione di convogli arrivava sicuramente al campo, che fu aumentato pel ritorno di Probo colle vittoriose sue truppe dalla conquista dell'Egitto. Allora fu che Zenobia risolvè di fuggire. Montò essa sul più veloce de' suoi dromedari72, ed era ormai giunta alle rive dell'Eufrate, quasi sessanta miglia da Palmira, quando fu sopraggiunta dai cavalli leggieri di Aureliano, che l'inseguivano, e presa e ricondotta indietro cattiva ai piedi dell'Imperatore. Subito dopo si arrese la sua Capitale, e fu trattata con inaspettata dolcezza. Le armi, i cavalli e i cammelli, con un immenso tesoro di oro, di argento, di seta e di pietre preziose, tutto fu dato al vincitore, che lasciando solamente una guarnigione di seicento arcieri, ritornò ad Emesa, ed impiegò qualche tempo in distribuire e premj e castighi nel fine di una guerra sì memorabile, la quale restituiva all'ubbidienza di Roma quelle Province, che fino dalla prigionia di Valeriano se n'eran sottratte.

Бесплатно

0 
(0 оценок)

Читать книгу: «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 2»

Установите приложение, чтобы читать эту книгу бесплатно