Читать бесплатно книгу «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 10» Эдварда Гиббона полностью онлайн — MyBook
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Moltiplicando in tal guisa le mogli, avea forse in animo il fondatore d'una nuova religione, e di un nuovo impero, di moltiplicare le sorti di una numerosa posterità, e d'una successione diretta. Ma le speranze di Maometto andarono deluse. Ayesha, sposata vergine, e le altre sue dieci mogli tutte vedove, in età matura e di provata fecondità, tra le possenti braccia di lui si rimasero sterili. Quattro figli avuti di Cadijah erano morti in infanzia. Maria, la sua concubina Egiziana, gli divenne più cara per aver partorito Ibrahim, ma non passarono quindici mesi che dovè il Profeta piangerne la perdita: sostenne egli con fermezza i motteggi de' suoi nemici, e represse l'adulazione o la credulità de' Musulmani, assicurandoli che un'ecclissi solare, avvenuta in quel tempo, non era stata conseguenza della morte d'Ibrahim. Avea pure avuto da Cadijah quattro figlie, le quali sposarono i più fedeli de' suoi discepoli; morirono tre prima del padre loro; ma Fatima, l'ultima che godea tutta la sua confidenza e affezione, divenne consorte d'Alì suo cugino, e ceppo d'una stirpe illustre. Al merito e alle disgrazie d'Alì e de' suoi discendenti, è d'uopo ch'io doni qui anticipatamente la esposizione della serie de' Califfi saraceni, titolo che distingue i Commendatori de' credenti in qualità di vicari e di successori dell'appostolo di Dio184.

La nascita d'Alì, il suo matrimonio e la sua riputazione, che lo innalzarono sopra tutti i suoi concittadini, poteano giustificarne le pretensioni al trono dell'Arabia. Figlio d'Abu-Taleb, era già per questo solo titolo il Capo della famiglia di Hashem, e principe ereditario, o custode della città e del tempio della Mecca. S'era dileguata la luce profetica, ma il marito di Fatima potea sperare l'eredità e la benedizione del padre della moglie; alcune volte avevano gli Arabi obbedito ad una donna, e il Profeta strignendo teneramente fra le braccia i suoi due nipoti, li avea dalla sua cattedra qualche volta mostrati al popolo come l'unica speranza della sua vecchiaia, e come Capi della gioventù del paradiso. Poteva il primario de' veri credenti aver fiducia di camminare davanti a loro in questo e nell'altro Mondo, e se taluni pur comparivano più gravi ed austeri, almeno tra i nuovi convertiti, non potea veruno vincere Alì nello zelo e nella virtù. Accoppiava in sè i pregi di poeta, di soldato e di santo: vive ancora la sua sapienza in una Raccolta di sentenze morali e religiose185, e quando era tempo di disputare o di combattere, dalla sua eloquenza o dal suo valore erano soggiogati gli avversari. Dal primo giorno della sua missione sino all'estrema cerimonia de' suoi funerali, non fu mai abbandonato l'appostolo da quell'amico generoso, ch'egli amava denominare suo fratello, suo vicegerente, e il fido Aronne d'un altro Mosè. Fu poi rimproverato il figlio d'Abu-Taleb di avere trascurato i propri interessi, omettendo di farsi dichiarare in guisa solenne successore al trono, il che avrebbe tolta di mezzo ogni concorrenza, e data ai suoi diritti la sanzione d'un decreto celeste; ma scevro da diffidenza l'eroe s'affidava in sè stesso. La gelosia per altro del potere, e forse la tema di qualche contrarietà valsero a tenere in sospeso le risoluzioni di Maometto, e nell'ultima infermità vide assediato il suo letto dalla scaltrita Ayesha figlia di Abubeker e nemico d'Alì.

A. D. 632

Colla morte e pel silenzio di Maometto, la nazione ricuperò i suoi dritti, e convocò un'assemblea per deliberare su la scelta d'un successore. I titoli di nascita, e l'ardito e altero contegno d'Alì offendevano lo spirito aristocratico degli anziani che volevano poter sovente disporre dello scettro con libere e frequenti elezioni. Mal sofferivano i Koreishiti l'orgogliosa preminenza della linea di Hashem; si riaccese l'antica discordia delle tribù; i fuggiaschi della Mecca e gli ausiliari di Medina posero in campo i lor dritti speciali, e fu fatta l'imprudente proposta di eleggere due Califfi independenti, cosa che avrebbe soffocato pur nella cuna la religione e l'impero de' Saraceni. Ogni trambusto cessò per la magnanima risoluzione di Omar, il quale rinunciando alle sue pretensioni, alzò subitamente la mano, e si dichiarò il primo suddito del placido e venerando Abubeker. L'occasione, che era urgente, e l'assenso popolare poterono rendere scusabile questa illegale e precipitata determinazione; ma Omar esso stesso annunciò dalla cattedra, che se da indi in poi osasse un Musulmano precedere il suffragio de' suoi fratelli, sarebbero degni di morte e l'elettore e l'eletto186. Abubeker fu senza pompa installato; Medina, la Mecca, le province d'Arabia gli obbedirono. Soli gli Hashemiti negarongli il giuramento di fedeltà, e il pertinace lor Capo si tenne racchiuso per più di sei mesi in casa senza volerlo riconoscere, e senza por mente alle minacce d'Omar, il quale tentò di dar fuoco alla casa della figlia dell'appostolo. Colla morte di Fatima, e coll'indebolimento della fazione d'Alì si calmò in lui lo sdegno, e riconobbe egli finalmente il generale de' fedeli; approvò la scusa da quello addotta della necessità di prevenire i nemici comuni, e saviamente ricusò la proposta, che Abubeker gli faceva, d'abdicare il governo degli Arabi. Dopo un regno di due anni, il vecchio Califfo intese la voce dell'angelo della morte. Nel suo testamento, coll'assenso tacito de' suoi compagni, commise lo scettro alla ferma ed intrepida virtù di Omar. «Non ho mestieri di questa dignità,» disse il modesto Musulmano. «Ma la dignità ha bisogno di te,» gli rispose Abubeker, il quale si morì pregando fervorosamente il Dio di Maometto, perchè volesse ratificare quella scelta, ed inspirare a' Musulmani sommessione e concordia. Fu esaudita la sua orazione, poichè Alì si diede tutto alla solitudine e alla preghiera, e protestò di voler rispettare il merito e la dignità del suo rivale, che lo consolò della perdita dell'impero co' più cortesi uffici di amicizia e di stima. Omar fu assassinato nell'anno duodecimo del suo regno. Temendo di gravare la propria coscienza co' peccati del successore, non volle nominare al trono nè suo figlio, nè Alì; ma lasciò a sei de' suoi rispettabili socii la difficil cura di scegliere il comandante de' credenti. Fu pure Alì biasmato dagli amici187 d'aver permesso che venissero assoggettati i suoi dritti al giudizio degli uomini, e d'averne riconosciuta la giurisdizione accettando un posto fra i sei elettori. Avrebbe potuto ottenerne il suffragio se avesse degnato promettere di conformarsi, in guisa rigorosa e servile, non solo al Corano e alla tradizione, ma alle decisioni de' due anziani188. Othmano, già secretario di Maometto, accettò a quelle condizioni il governo, e soltanto dopo il terzo Califfo, cioè passati ventiquattro anni dopo la morte del Profeta, Alì, per voto del popolo, fu investito della dignità di re e di gran sacerdote. I costumi degli Arabi non aveano perduta poco nè punto la primitiva semplicità, e il figlio d'Abu-Taleb non si curò della pompa e delle vanità del Mondo. Nell'ora della orazione si trasferì alla moschea di Medina, vestito d'una leggera stoffa di bambagia, coperto il capo di un turbante grossolano, colle pantofole in una mano, e coll'altra posata sopra il suo arco che gli serviva di bastone. Da' compagni del Profeta e da' Capi delle tribù venne salutato il nuovo sovrano, e gli fu presentata la destra in segno di fedeltà.

Avviene per lo più, che i mali prodotti dalle contese dell'ambizione si restringano a' tempi e a' luoghi ove insorsero le contese medesime; ma la discordia religiosa degli amici e nemici d'Alì, riaccesa in tutti i secoli dell'Egira, nutre pur oggi l'odio perenne de' Turchi e de' Persiani189. Questi ultimi avviliti col nome di shiiti, o settari, hanno aggiunto al simbolo Musulmano l'articolo seguente di fede: che se Maometto è l'appostolo di Dio, il suo compagno Alì n'è il Vicario. Nel commercio abituale della vita, e nel culto pubblico, scagliano imprecazioni contro i tre usurpatori la cui esaltazion successiva lo ha per sì lungo tempo, ad onta de' suoi dritti, rimosso dalla dignità d'Imano e di Califfo; e nell'idioma loro il nome d'Omar esprime il colmo della scelleraggine e dell'empietà190. I Sonniti, la dottrina dei quali è accettata generalmente e si fonda sulla tradizione ortodossa de' Musulmani, seguono una opinione più imparziale, o per lo meno più decente. Rispettano la memoria d'Abubeker, d'Omar, d'Othmano e d'Alì, tutti santi e successori legittimi del Profeta; ma credendo che il grado di santità abbia determinato l'ordine di successione191, danno l'ultimo luogo allo sposo di Fatima. Quello storico, che con una mano ritrosa a' monumenti della superstizione bilancerà il merito de' quattro Califfi, pronuncierà sentenza che i lor costumi furono egualmente puri ed esemplari, che ardente ne fu lo zelo, e giusta tutte le apparenze sincero, e che in mezzo all'opulenza e potenza loro consacrarono la vita alla pratica dei doveri della morale e della religione; ma le virtù pubbliche d'Abubeker e d'Omar, ma la sapienza del primo, e la severità del secondo mantennero in pace e nella prosperità lo Stato. Per debolezza di naturale e per la vecchiaia Othmano fu inetto a dilatare l'Impero colle conquiste, o a reggere il peso del governo. Egli delegava ad altrui l'autorità, ed era ingannato; ammetteva altri alla sua confidenza, ed era tradito. I più saggi tra i fedeli gli furono inutili, o si cangiarono in nemici, e le sue prodigalità gli suscitarono ingrati e malcontenti. Per le province si sparse il mal seme della discordia: s'adunarono i deputati di quelle a Medina, e co' Charegiti, disperati fanatici, i quali recalcitravano alla subordinazione e alla ragione, si confusero gli Arabi, che, nati liberi, chiedeano riforma degli abusi di cui dolevansi, e punizione degli oppressori. Cufa, Bassora, l'Egitto e le tribù del deserto armarono i lor guerrieri, vennero ad accamparsi ad una lega circa da Medina, e imperiosamente al sovrano intimarono di fare ad essi giustizia, o di scendere dal trono. Di già il suo pentimento disarmava e disperdeva i rivoltosi; ma l'artificio de' suoi nemici li accese di nuovo furore, e per una falsità, a cui si lasciò indurre un perfido secretario, perdette Othmano la riputazione, e più presta ne fu la caduta. Non aveva più il Califfo la stima e la fiducia de' Musulmani, unico presidio de' suoi antecessori: un assedio di sei settimane lo ridusse a mancar d'acqua e di viveri, nè le deboli porte del suo palagio ebbero altra difesa che gli scrupoli di pochi ribelli più timorati che gli altri. Abbandonato da coloro che aveano abusato della sua bontà, al venerando Califfo, rimasto senza difensori, non restò che attendere la morte: si presentò condottiero degli assassini il fratello d'Ayesha: fu trovato Othmano che teneva il Corano sul petto, e fu da mille colpi trafitto. Dopo cinque giorni d'anarchia, cessò il tumulto colla inaugurazione d'Alì; il rifiutar la corona sarebbe stato cagione d'una strage generale. In questa critica situazione, mantenne egli la fierezza che s'addiceva al Capo degli Hashemiti, e dichiarò che preferito avrebbe il servire al regnare; gridò contro la presunzione de' soldati esteri, e volle l'assenso se non volontario, almeno espresso de' Capi della nazione. Non fu mai accusato d'essere stato complice dell'assassinio di Omar, quantunque si celebri in Persia senza riguardo la festa dell'uccisore di quel Califfo. S'era dapprima interposto Alì ad accomodare la lite fra Othmano e i suoi sudditi, ed Hassan, il primogenito de' suoi figli, mentre difendeva il Califfo, fu insultato e ferito. Rimane dubbio peraltro se Alì sia rimasto ben saldo e fosse sincero nell'opporsi a' ribelli, ed è poi certo che si giovò del loro delitto. Un'esca simile potea ben sedurre e corrompere la più specchiata virtù. Non solo su la sterile Arabia si stendeva lo scettro de' successori di Maometto, ma i Saraceni erano stati vincitori in oriente e in occidente, e le doviziose contrade della Persia, della Siria, dell'Egitto erano il patrimonio del comandante de' fedeli.

A. D. 655-660

Una vita passata in orazione e in contemplazione non avea raffreddato l'ardor guerriero ed operoso di Alì: giunto all'età matura, con una lunga esperienza del Mondo, lasciava vedere nel suo contegno una temerità e imprudenza giovanile. Ne' primi giorni della sua amministrazione non pensò ad assicurarsi con benefici, o con catene, della mal certa fedeltà di Telha e di Zobeir, due Capi arabi i più poderosi. Si ricoverarono essi alla Mecca, indi a Bassora, inalberarono il vessillo della ribellione, e s'insignorirono della provincia d'Irak e dell'Assiria, che invano domandate aveano per guiderdone de' servigi prestati: la maschera del patriottismo giova a coprire le più manifeste contraddizioni; e i nemici d'Othmano, che forse ne furono gli assassini, chiesero allora che fosse vendicata la sua morte. Furono nella fuga accompagnati da Ayesha, la vedova di Maometto, che sino all'ultimo istante di vita serbò implacabil odio al marito e alla posterità di Fatima. I più ragionevoli tra i Musulmani si scandolezzarono al vedere, che la madre de' fedeli cimentasse e persona e dignità in un campo, ma la moltitudine superstiziosa credè che dalla sua presenza fosse consacrata la giustizia, e accertato il trionfo dalla causa da lei abbracciata. Il Califfo seguìto da ventimila de' suoi fidi Arabi, e da novemila prodi ausiliari di Cufa, diede battaglia sotto le mura di Bassora a' ribelli superiori di numero, e riportò la vittoria. Telha e Zobeir, Capi dell'esercito nemico, caddero in quel conflitto, il primo ove l'armi de' Musulmani si tinsero del sangue de' concittadini. Ayesha, dopo aver corse le file per incoraggiare i soldati, s'era posta in mezzo al pericolo. Settanta uomini, che teneano le redini del suo cammello, furono uccisi o feriti, e la seggiola o lettiga in cui era chiusa si trovò, finita l'azione, tutta traforata e carica di chiaverine e di dardi. Sostenne la augusta prigioniera con volto intrepido i rimbrotti del vincitore, il quale, con quei riguardi e quell'affezione che doveva sempre alla vedova dell'appostolo, la rimandò subito al luogo ove solamente poteva essere confinata in modo decoroso, cioè alla tomba di Maometto. Dopo questa vittoria, che si denominò la giornata del cammello, Alì si volse contro un avversario più formidabile, contro Moawiyah, figlio d'Abu-Sophian, che aveva preso il titolo di Califfo, ed era francheggiato dalle forze della Siria, e dalla riputazione della casa d'Ommiyah. Dopo il passaggio del Thapsaco, la pianura di Siffin192 s'allunga su la riva occidentale dell'Eufrate. In questo terreno vasto e piano fecero i due competitori per centodieci giorni una guerra d'avvisaglie. La perdita d'Alì in novanta scaramucce, succedute in que' giorni, fu valutata di venticinquemila uomini, e quella di Moawiyah di quarantacinquemila; si trovarono fra i morti venticinque veterani di quelli che aveano combattuto a Beder, sotto lo stendardo di Maometto. In sì sanguinosa tenzone, il Califfo legittimo si dimostrò superiore al rivale per valore e per umanità. Ordinò alle sue milizie, sotto pene severe, d'aspettare il primo assalto del nemico, di perdonare a' fuggiaschi, di rispettare i cadaveri degli uccisi, e l'onore delle prigioniere. Propose da generoso di risparmiare il sangue de' Musulmani con un duello; ma intimorito il rivale, ricusò una disfida che gli pareva una sentenza di morte. Montato Alì sopra un cavallo baio investì, precedendo i suoi soldati, e ruppe le file dei Siri, sbigottiti dalla forza invincibile della sua grave spada a due tagli. Ogni volta che atterrava un ribelle, gridava, Allah Acbar; «Dio è vincitore;» e nel forte d'una battaglia notturna, s'intese quattrocento volte ripetere questa terribile esclamazione. Già il principe di Damasco meditava la fuga; ma per l'inobbedienza e il fanatismo delle sue soldatesche perdette Alì la vittoria che sembrava per lui sicura. Moawiyah ne agitò la coscienza col dichiarare solennemente, che si appellava al Corano cui mostrava esposto su le picche della prima fila di soldati, e dovette Alì soscrivere una tregua obbrobriosa, e un compromesso insidioso. Si ritrasse egli a Cufa, pieno di dolore e di rabbia; scorata era la sua fazione; lo scaltro rivale soggiogò, o sedusse, la Persia, l'Yemen, l'Egitto; e il pugnale del fanatismo, rivolto contro i tre Capi della nazione, non colse che il compagno di Maometto. Tre Charegiti, o entusiasti, discorrendo un giorno nel tempio della Mecca intorno ai disordini della Chiesa e dello Stato, decisero che colla morte d'Alì, di Moawiyah e d'Amrou, amico di quest'ultimo e vice-re dell'Egitto, sarebbe rimessa la pace e l'unità della religione. Ognuno degli assassini elesse la sua vittima, avvelenò il ferro, si consacrò alla morte, e secretamente si trasferirono al luogo destinato per commettere il delitto. Erano tutti tre del pari fermi e risoluti; ma il primo, per isbaglio, trafisse in vece di Amrou il deputato che sedeva al suo posto: dal secondo fu pericolosamente ferito il principe di Damasco, e il terzo nella moschea di Cufa colpì mortalmente il Califfo legittimo, che, nel sessantesimoterzo anno dell'età sua morì, raccomandando generosamente ai figli di terminare con un sol colpo il supplizio dell'assassino. S'ebbe cura di celare il suo sepolcro193 a' tiranni della casa d'Ommiyah194; ma nel quarto secolo dell'Egira fu innalzato, presso le ruine di Cufa, un monumento, un tempio, e una città195. Migliaia di Shiiti riposano in quella terra sacra a' piedi del Vicario di Dio, e il deserto è avvivato dal concorso de' Persiani, de' quali ogn'anno è grande la frequenza colà, nell'opinione che sia meritorio quel pellegrinaggio al pari di quel della Mecca.

A. D. 661-668

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