Si protesta a bel principio il Sig. Gibbon di voler fare una ricerca intorno al progresso e stabilimento del Cristianesimo, guidato unicamente dal candore e dalla ragione, e lo fa con un'arte e con una prevenzione, che comincia dalle prime mosse a svelarsi. Egli si lagna essere i monumenti de' primi tempi della Chiesa sospetti ed imperfetti; e li rende tali la mala fede, colla quale egli, dove li tronca, dove gli altera, dove vi aggiunge capricciosi comenti per far nascere le difficoltà, dalle quali si finge imbarazzato. Incontra un'altra gran difficoltà, ch'egli ascrive alla legge dell'Imparzialità, ed è quella di calunniare i Cristiani, anche dove la critica più severa li terrebbe al coperto della maldicenza. Sarà nostro dovere di andarne di mano in mano somministrando le prove, per quanto ci sarà permesso dagli angusti limiti, che ci siamo prefissi.
Nel proporre l'argomento del capo, ad onta della ambiguità, colla quale si spiega per parer Cristiano, e delle proteste che fa di rispettare la cagione primaria de' rapidi progressi della Chiesa Cristiana, determina abbastanza il lettore ad accorgersi, ch'egli intende provare, nulla in tale avvenimento osservarsi di sovrannaturale, ma esser tutto a naturali cagioni dovuto. Se ciò fosse vero, la Religione verrebbe a spogliarsi della luminosissima prova, che in favore della sua divina origine si raccoglie dal modo col quale si stabilì, e dalla rapidità con cui si propagò. Egli muove ogni pietra per far crollare questa prova; ma noi per sostenerla dureremo assai lieve fatica.
Il nostro esame però non è importante solamente per questo. La nausea del sovrannaturale ha trasportato ancora l'Autore a negare i miracoli de' primi secoli, quelli degli Apostoli, quelli di Gesù Cristo, ogni miracolo in generale; e ad esercitar pure la sua mordacità contro i misteri o contro la morale della Religion Rivelata: onde disputando con lui, si disputa con un Incredulo, che si sforza di comparire Cristiano. In vero questo ritratto non è luminoso: ma gli argomenti, che ne recheremo, convinceranno chiunque, che nell'esporre i suoi sentimenti noi certamente non ci siamo specchiati sull'esempio di lui.
Le cagioni naturali, ch'egli ha felicemente rinvenute, sono: 1. Lo zelo inflessibile e intollerante de' Cristiani: 2. La dottrina di una vita futura accompagnata da ciò che poteva aggiungerle peso: 3. Il dono de' miracoli attribuito alla Chiesa primitiva: 4. La morale pura, ed austera degli antichi Fedeli: 5. L'unione e la disciplina della Cristiana Repubblica: 6. La debolezza del Politeismo: 7. Lo Scetticismo del Mondo Pagano: 8. La pace e l'unione del Romano Impero.
Ristretto. Il popolo Ebreo, che giacque gran tempo nella condizione de' più vili schiavi, si distinse coll'insociabilità de' costumi, coll'odio che professava del genere umano, e colla ostinazione invincibile, colla quale ricusò sempre di accoppiare l'elegante mitologia dei Greci alle istituzioni Mosaiche. I primi Giudei non credettero i miracoli operati da Dio alla lor presenza: quelli però del secondo tempo prestarono cieca fede alla tradizione de' loro maggiori. La legge Mosaica sembra essere stata istituita per un paese particolare e per una sola nazione. Il Cristianesimo prescrisse uno zelo egualmente esclusivo per la verità della Religione, ed ammise l'autorità di Mosè e de' Profeti, da' quali però il Messia era stato promesso come Re e Conquistatore, non come Martire e Figliuolo di Dio. La Chiesa dimorò gran tempo confusa fra le Sette della Sinagoga, ed i Giudei convertiti univano all'Evangelio il culto Mosaico. I loro argomenti sembrano plausibili; ma la sagacità degl'interpreti ha rimossa ogni difficoltà. La Chiesa di Gerusalemme, che osservava i riti Mosaici, tornò da Pella nella nuova città di Adriano, avendovi prima rinunciato; e quelli, che rimasero costanti, furon trattati da Eretici. Circa questa controversia S. Giustino Martire spiegò a Trifone il suo sentimento con gran diffidenza, e confessò ch'era contrario a quello della Chiesa, che finalmente trionfò sul più mite. Se gli Ebioniti pretendevano non doversi abolire l'antico Testamento per la sua perfezione, gli Gnostici al contrario vi trovavano tanti difetti, che ricusarono di crederlo dettato da Dio. Sino ad Adriano la Chiesa tollerò ogni setta; in progresso l'escluse tutte. Persuasi i primi Cristiani, essere i demonj gli autori, i patrocinatori e gli oggetti dell'Idolatria, riguardavano con orrore ogni piccolo segno di culto nazionale: il loro più essenziale e più penoso dovere era di conservarsi puri nella corruzione dell'Idolatria, che infettava tutte le azioni pubbliche e private, prendendo sempre l'apparenza del piacere, e spesso quella della virtù. I Cristiani pretendevano da ciò l'opportunità di dichiarare e di confermare la zelante loro opposizione. Per mezzo di tali proteste di continuo si fortificava il loro attacco alla fede, ed a misura che cresceva lo zelo, essi combattevano con più ardore e con più felice successo nella santa guerra intrapresa contro l'impero de' demonj.
Risposta. Tutti gli oggetti, che si presentano uniti in questo quadro, sono estranei all'argomento prefisso per titolo: della promessa conclusione in nessuna parte si parla, fuorchè nelle ultime righe, che noi abbiamo giudicato importante di trascrivere interamente, affinchè il lettore gli domandi ragione, come ha impiegate tante carte e tante citazioni di Autori in materie che non influiscono per modo alcuno nella conclusione, che avea tolta a stabilire, ed a questa non consacri se non gli ultimi quattro o cinque versi.
Ma formano essi poi una prova? Vediamolo. Conclusione. Una delle cagioni naturali dello stabilimento e de' progressi del Cristianesimo fu lo zelo degli stessi Cristiani. Supposta prova. I Cristiani si opponevano con forza alle pratiche dell'Idolatria, e dichiaravano con zelo i loro sentimenti. Per mezzo di tali proteste di continuo si fortificava il loro attacco alla fede; ed a misura che cresceva lo zelo, essi combattevano con più ardore e con più felice successo nella santa guerra intrapresa contro l'impero dei demonj. Qui, se noi non siamo ciechi, non iscorgiamo, se non la descrizione del fatto, di cui dovevasi render ragione. Lo zelo de' Cristiani combatteva con felici successi contro i demonj; cioè stabiliva e dilatava la fede dell'Evangelio tra le genti, che servivano al demonio. Come esso produceva quest'effetto? Da quali principj ripeteva la sua forza? Da questa spiegazione dipenderebbe il decidere, se in esso dobbiamo riconoscere una cagione del tutto naturale. Ma l'Autore di tutto ha parlato fuorchè di questo; e quindi ognuno comincerà a scuoprire, quanto ci vaglia nell'arte di ragionare, e quanta pena dia agli Apologisti del Cristianesimo per difenderlo da' colpi di lui.
Lo zelo de' Cristiani ridusse rapidamente alla fede molte nazioni del mondo. Questo è il fatto, di che dobbiamo rintracciar la cagione, e per condurci da filosofi, uopo è considerare le persone dal Cristiano zelo investite, quelle che ne seguiron l'impulso, e l'oggetto, intorno al quale si aggirava lo zelo. Nè dobbiamo permettere all'Autore, che dopo di averci fatta visitare la Palestina per informarci degli affari Giudaici senza vedervi nascere il Cristianesimo, ci trasporti di salto in mezzo agl'Idolatri, e ci additi i Campioni dell'Evangelio già cresciuti e formati in atto di guerreggiare contro l'impero del demonio. Ragion vuole, che se ne osservi il primo cominciamento, ed insieme i primi progressi.
I fondatori della Religion Cristiana furono Gesù Nazareno, ch'era tenuto per figliuolo di un falegname, e dodici pescatori, che abbandonate le reti, si diedero a seguirlo. La loro apparenza non poteva risvegliare, se non il più alto disprezzo. Poveri, rozzi, ignoranti, odiati dalla loro nazione, impresero a riformare il Mondo, ed il loro zelo fu coronato dai più felici successi.
I primi, ai quali eglino si rivolgessero, furono i Giudei, a cui erano pienamente noti. I Giudei si distinguevano all'ostinazione invincibile di non voler accoppiare altra istituzione a quelle di Mosè; ed alle istituzioni Mosaiche era congiunta la fortuna dello Stato. Questi i primi piegarono la fronte alla croce. Indi si aggregarono all'ovile di Cristo gl'Idolatri sudditi dell'Impero Romano, i quali da una parte guardavano con dispregio e con orrore i Giudei, e dall'altra erano tenacemente attaccati alla Religione della patria e per l'antichità ch'ella vantava, e per la gloria, alla quale aveva fatto salire l'Impero, e soprattutto perchè l'idolatria sotto l'apparenza del piacere e della virtù si presentava con sì seducenti maniere, che pe' Cristiani medesimi era un dovere penoso il resistervi.
In quel tempo i progressi, che i Romani avevano fatto nelle scienze, erano pervenuti al colmo della perfezione. Allora fu che pubblicossi il sistema Cristiano; sistema che co' suoi misteri pareva che distruggesse le più semplici e le più chiare idee della ragione, e che chiamando gli uomini colle massime morali ad una meta troppo alta riguardo alla sfera, dentro la quale si erano confinati i Gentili, sgomentava la natura ed irritava le passioni.
Questa dottrina e questa morale sostenuta dall'ardore di persone in apparenza cotanto deboli, in brevissimo tempo si stabilì, e fu avidamente abbracciata dagl'inflessibili Giudei e da' voluttuosi Gentili. Ora bisogna provare, che una sì stupenda rivoluzione accadde secondo il corso ordinario dell'umana natura, o confessare che i felici successi, che incontrò lo zelo de' Missionari Evangelici, si debbono ascrivere a cagione sovrannaturale. Quando l'Autore vorrà trattar l'argomento, che ha lasciato intatto, saprà a qual partito appigliarsi.
Presentiamogli frattanto un'altra considerazione. Non solamente ci fa stupire la conversione del Mondo operata con istrumenti tanto in apparenza deboli, ma inoltre non sappiamo comprendere, come ed i predicatori ed i convertiti avessero potuto star saldi fra tanti pericoli. I Cristiani, esclama l'Autore, si opponevano con forza agli errori, dichiaravano i loro sentimenti, e tali proteste gli attaccavano vie più alla fede. Anche qui veggiamo il nudo fatto, al quale bisogna aggiungere tutte le circostanze per darne idea adeguata.
Le tentazioni della Idolatria sono minutamente descritte dalla stessa penna dell'Autore, il quale ha ben riflettuto, che tutte le azioni, sì pubbliche che private vi facevano allusione, e ch'era un dovere penoso quello di resistere alle dolci attrattive del piacere, ch'ella menava in trionfo. A terminare il quadro noi aggiungeremo, che la professione Cristiana era universalmente tacciata con nota d'infamia; che le leggi l'avevano proscritta; che chi l'abbracciava, perdeva i suoi beni, e stava di continuo esposto al pericolo dell'esilio, dei tormenti, della morte. Avviene naturalmente, che tante e tali difficoltà inspirino maggior coraggio a combattere? L'Autore lo ha istoricamente supposto: aspettiamo ora, che lo provi filosoficamente; e diamo intanto una rapida scorsa agli oggetti estranei, co' quali egli ha dissipata la sua e la nostra attenzione.
Comincia dal rappresentare come una gioconda armonia di scambievole tolleranza il profondo letargo, nel quale giacevano immerse tutte le nazioni Idolatre circa il più grande, anzi l'unico affare, che abbia l'uomo in questa vita mortale; e procura di mettere in odio l'intolleranza de' Giudei, per ferir di riverbero il Cristianesimo, che prescrisse lo stesso zelo esclusivo. L'intolleranza religiosa non è altro che una incompatibilità di dottrina che nasce dalla natura, anzichè dall'arbitrio degli uomini. Siccome non può stare, che il triangolo abbia e non abbia tre lati, così non può conciliarsi, che sia stata rivelata da Dio una dottrina ed un'altra ad essa contraria: e s'egli ha annessa la salvazione a quella, non può essere, che si salvi chi a questa si attiene.
È ben altro l'insociabilità de' costumi, l'inumanità, la crudeltà, onde negli ultimi tempi furono rimproverati i Giudei per una depravazione personale contraria alle leggi di Mosè, il quale se vietò loro di trattare cogli Idolatri per non contaminarsi coll'esecrande lordure, che vengono rammemorate ne' libri sacri, ordinò loro nel medesimo tempo, che rendessero a' forestieri tutti gli uffizi della carità; e di trattarli come se stessi, a motivo che anch'eglino erano stati forestieri nella terra di Egitto.
La legge Mosaica fu istituita per un paese particolare e per una sola nazione quanto alla parte cerimoniale ed all'amministrazione politica, ma quanto ai precetti del Decalogo, che appartengono alla natura e cui Iddio si degnò di confermare colla rivelazione, obbliga tutti gli uomini.
Che i primi Giudei testimonj de' miracoli, co' quali Iddio gli scortava, non li credessero, e che vi prestassero cieca credenza i posteri per semplice tradizione, l'Autore lo raccoglie da quel passo: usquequo detrahet mihi populus iste? Usquequo non credent mihi in signis, quae feci coram eis? Gli dobbiamo rimproverare l'ignoranza del Latino, o la mala fede? Per non esserci permesso nè l'uno nè l'altro, farebbe d'uopo, che nel testo si leggesse usquequo non credant signa quae feci coram eis. Ma l'espressione usquequo detrahent mihi: usquequo non credent mihi in signis suona in volgare: Fino a quando mormoreranno della mia condotta? Fino a quando non presteranno fede alle mie minacce ed alle mie promesse, giacchè ho fatti innanzi a loro tanti miracoli? Questo è il vero rimprovero fatto a' primi Giudei, e che si vede non meno frequentemente ripetuto a' Giudei del secondo tempio. Per la qual cosa nulla da questo luogo può riferirsi contro la certezza degli enunciati miracoli.
I Profeti riunirono nel Messia co' caratteri di Re, e di Conquistatore quelli di Martire e di Figliuolo di Dio, e questi si trovano raccolti in ogni libro di Teologia. Ma ripiglia Orobio: Gesù non essendo stato Re e Conquistatore temporale, perchè i suoi seguaci ricorrono al senso spirituale? Perchè risponde il Limborchio, tal è l'interpretazione datane dagli Scrittori del nuovo Testamento, inspirati da quel Dio che dettò l'antico: e le prove dell'inspirazione di quelli è tale, che i Giudei non possono contrastarle senza ferire ancor questo.
La Chiesa non restò pure un momento confusa colla Sinagoga, nè quanto alla dottrina, nè quanto alla comunione. Gli Ebrei insegnavano, che la salute dipendeva unicamente dalla legge Mosaica; che Gesù era stato un impostore, e che la sua dottrina doveva passare per un'empia e detestabile profanazione. Secondo i Cristiani, Gesù era figliuolo di Dio, da cui solo sperar si doveva la vita eterna, e le cerimonie Mosaiche erano divenute per lo meno inutili. Circa la comunione, i Cristiani si congregavano in case private, e la Sinagoga lungi dal tollerarli li perseguitò fieramente e dentro e fuori della Palestina.
Lo sbaglio dell'Autore sarà per avventura derivato dal vedere, che nel primo secolo alcuni de' Giudei convertiti univano amendue i culti. Nel qual punto di storia sembra, che le sue idee fossero molto superficiali e confuse.
Tre classi di Giudei sostenevano l'osservanza dei riti Mosaici: alcuni li congiungevano all'Evangelio, ma senza crederli necessari alla salute; e questi erano riconosciuti per Ortodossi; altri ne insegnavano la necessità, e furono rigettati come Eretici sin dalla nascita della Chiesa, allor quando gli Apostoli nel Concilio di Gerusalemme dichiararono, che non erano più necessari. Nella terza classe mettiamo i Giudei non convertiti, i quali esaltavano tanto le istituzioni Mosaiche, che condannavano assolutamente la legge ed il culto di Cristo.
Ora scrive l'Autore, che gli argomenti impiegati da' Giudei convertiti a provare, che le ceremonie Mosaiche non potevano abrogarsi, e che tutti i Proseliti li dovevano riconoscere come indispensabili, non plausibili
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