Il prudente Stilicone, invece di persistere a forzare le inclinazioni di un Principe e di un popolo, che rigettavano il suo governo, saviamente abbandonò Arcadio agl'indegni suoi favoriti; e la ripugnanza, che egli ebbe ad involgere in una guerra civile i due Imperj, fece conoscere la moderazione di un ministro, che avea tante volte segnalato il suo spirito e saper militare. Ma se Stilicone avesse più lungamente sofferto la ribellione dell'Affrica, avrebbe tradito la sicurezza della Capitale, ed abbandonato la maestà dell'Imperatore dell'Occidente alla capricciosa insolenza di un Mauritano ribelle. Gildone37, fratello del tiranno Firmo, avea conservato ed ottenuto in premio dell'apparente sua fedeltà l'immenso patrimonio, ch'era stato confiscato per causa di tradimento; un lungo e meritevol servizio negli eserciti Romani l'aveva inalzato alla dignità di Conte militare; la ristretta politica della Corte di Teodosio aveva adottato il dannoso espediente di sostenere un governo legittimo mediante l'interesse di una potente famiglia; ed il fratello di Firmo fu investito del comando dell'Affrica. La sua ambizione tosto usurpò l'amministrazion della giustizia e delle finanze, senza renderne conto ad alcuno e senza contrasto; e conservò per dodici anni il possesso di un ufizio, da cui era impossibile rimuoverlo senza il rischio di una guerra civile. In quei dodici anni gemerono le province Affricane sotto il dominio di un tiranno, che pareva unisse l'insensibil natura di uno straniero ai parziali risentimenti di una domestica fazione. Spesso trascuranvansi le formalità legali coll'uso del veleno, e se i tremanti convitati alla tavola di Gildone ardivano d'esprimere i loro timori, ad altro non serviva l'insolente sospetto, che ad eccitare il suo furore, ed altamente chiamava i ministri di morte. Gildone alternativamente soddisfaceva le passioni dell'avarizia e della lascivia38; e se i suoi giorni eran terribili pei ricchi, le sue notti non erano meno spaventose pei mariti e pei genitori. Si prostituivano le più belle lor mogli e figliole agli abbracciamenti del tiranno; e quindi venivano abbandonate ad una feroce truppa di barbari ed assassini, neri o mulatti, nativi del deserto, che Gildone risguardava come i soli custodi del suo trono. Nella guerra civile fra Teodosio ed Eugenio, il Conte, o piuttosto il Sovrano dell'Affrica, osservò una superba e sospetta neutralità; ricusò d'aiutare alcuna delle parti con truppe o con navi, aspettò la dichiarazione della fortuna, e riservò pel vincitore le vane proteste del suo omaggio. Tali proteste non sarebbero servite a soddisfare il padrone del Mondo Romano, ma la morte di Teodosio, e la debolezza e discordia de' suoi figli confermarono la potenza del Mauritano, il quale, in prova di sua moderazione, si contentò d'astenersi dall'uso del diadema, e di somministrare a Roma il consueto tributo o piuttosto sussidio di grano. In ogni division dell'Impero le cinque Province dell'Affrica erano sempre state assegnate all'Occidente; e Gildone avea consentito di governare quell'esteso paese in nome d'Onorio, ma la cognizione, che aveva del carattere e de' disegni di Stilicone, presto l'impegnarono a prestare omaggio ad un più distante e più debole Sovrano. I ministri d'Arcadio abbracciaron la causa di un perfido ribelle; e la seducente speranza d'aggiungere all'Impero Orientale le copiose città dell'Affrica, li tentò ad arrogarsi un diritto, che non eran capaci di sostenere nè colla ragione, nè colle armi39.
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Dopo che Stilicone ebbe data una ferma e decisiva risposta alle pretensioni della Corte Bizantina, solennemente accusò il tiranno dell'Affrica avanti a quel tribunale, che aveva una volta giudicato i Re e le nazioni della terra; e dopo un lungo intervallo si ravvisò l'immagine della Repubblica sotto il regno d'Onorio. L'Imperatore trasmise al Senato Romano un esatto ed ampio ragguaglio delle querele dei provinciali, e dei delitti di Gildone; e si richiese a' membri di quella venerabile assemblea che pronunziassero la condanna del ribelle. L'unanime lor sentimento lo dichiarò nemico della Repubblica; ed il decreto del Senato aggiunse una sacra e legittima sanzione alle armi Romane40. Un popolo che sempre si rammentava, che i suoi antenati erano stati padroni del Mondo, avrebbe con segreto orgoglio applaudito alla rappresentazione dell'antica libertà, se non fosse stato da gran tempo assuefatto a preferire la stabile sicurezza del pane alle immaginarie visioni di libertà e di grandezza. La sussistenza di Roma dipendeva dalle raccolte dell'Affrica; ed era evidente, che una dichiarazione di guerra sarebbe stata il segnale della carestia. Il Prefetto Simmaco, il quale presedeva alle deliberazioni del Senato, avvertì il ministro del suo giusto timore, che appena il vendicativo Moro avesse proibito l'esportazione del grano, si sarebbe minacciata la tranquillità, e forse la salute della Capitale dall'affamato furore di una turbolenta moltitudine41. La prudenza di Stilicone immaginò ed eseguì senza dilazione il più efficace disegno per sostenere il popolo Romano. Una grande ed opportuna copia di grano, raccolta nelle interne province della Gallia, si fece calare pel rapido corso del Rodano, e per mezzo di una facil navigazione fu trasportata dal Rodano al Tevere. In tutto il tempo della guerra Affricana, i granai di Roma furon continuamente pieni, la sua dignità restò libera da un'umiliante dipendenza; e gli animi d'un immenso popolo erano quieti pel tranquillo aspetto della pace e dell'abbondanza42.
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La causa di Roma e la condotta della guerra dell'Affrica furono affidate da Stilicone ad un Generale attivo e bramoso di vendicare le private sue ingiurie sul capo del tiranno. Lo spirito di discordia, che prevalse nella casa di Nabal, avea eccitato una mortal contesa fra' due suoi figli Gildone e Mascezel43. L'usurpatore insidiava con implacabile rabbia la vita del suo minor fratello, di cui temeva l'abilità ed il coraggio; e Mascezel, oppresso dalla superior forza, si riparò alla Corte di Milano, dove tosto ricevè la crudel notizia, che due suoi innocenti e miseri figli erano stati trucidati dall'inumano loro zio. L'afflizione del padre non fu sospesa, che dalla brama della vendetta. Il vigilante Stilicone già preparavasi a raccogliere le forze militari e marittime dell'Impero Occidentale; ed avea risoluto, qualora il tiranno facesse un'eguale e dubbiosa guerra, di marciare contro di esso in persona; ma siccome l'Italia esigeva la sua presenza, e poteva esser pericoloso l'indebolir la difesa della frontiera, giudicò miglior consiglio, che Mascezel s'assumesse questa difficile impresa alla testa di uno scelto corpo di veterani Galli, che avevan ultimamente servito sotto le bandiere d'Eugenio. Tali truppe, che furono esortate a convincere il Mondo, ch'esse potevano rovesciare ugualmente, che difendere il trono di un usurpatore, eran composte delle legioni Gioviane, Augustane ed Erculee; degli Ausiliarj Nerviani, dei soldati, che nei loro stendardi portavano il simbolo di un Leone, e delle truppe, che si distinguevano coi ben augurati nomi di Fortunata e d'Invincibile. Pure tal era la tenuità dei loro battaglioni, o la difficoltà di reclutare, che questi sette corpi44 di alta reputazione e dignità nella milizia Romana, non montavano a più di cinquemila uomini effettivi45. La flotta delle galere e delle barche da trasporto fece vela in una tempestosa stagione dal porto di Pisa in Toscana, e diresse il suo corso alla piccola isola di Capraia, che avea preso il nome dalle capre salvatiche, che in origine l'abitavano, e delle quali occupavasi allora il posto da nuova colonia di strana e selvaggia apparenza. «Tutta l'isola (dice un ingegnoso viaggiator di quei tempi) è piena o piuttosto contaminata da uomini, che fuggon la luce. Si danno il nome di Monaci o di solitarj, perchè vogliono viver soli senz'alcun testimone delle loro azioni. Temono i doni della fortuna pel timore di perderli; e per paura d'esser miserabili, abbracciano una vita di volontaria miseria. Quanto è assurda la loro scelta, quanto cieco il loro intelletto a temere i mali senza esser capaci di godere i beni dell'umana condizione! O questa malinconica frenesia è l'effetto di una malattia, oppure la coscienza della reità spinge questi infelici ad esercitare contro i propri lor corpi i tormenti, che si danno agli schiavi fuggitivi per mezzo della giustizia46». Tal era il disprezzo di un Magistrato profano pei Monaci della Capraja, che si venerarono dal pietoso Mascezel come gli eletti servi di Dio47. Alcuni di loro s'indussero per le sue preghiere ad imbarcarsi sopra la flotta; ed è stato osservato in onore del Generale Romano, che impiegava i giorni e le notti in preghiere, in digiuni, e nell'occuparsi a cantare i Salmi. Il devoto condottiere, che con tale rinforzo pareva che confidasse della vittoria, evitò gli scogli pericolosi della Corsica, costeggiò lungo la parte Orientale della Sardegna, e difese le sue navi dalla violenza del vento meridionale, gettando le ancore nel sicuro o capace porto di Cagliari alla distanza di quaranta miglia da' lidi dell'Affrica48.
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Gildone s'era preparato a far fronte all'invasione con tutte le forze dell'Affrica. Con la liberalità dei doni e delle promesse procurò d'assicurarsi la dubbiosa fedeltà de' soldati Romani, mentre attirava alle sue bandiere le remote tribù della Getulia e dell'Etiopia. Mise in ordine un'armata di sessantamila uomini, ed altamente vantavasi con quella temeraria presunzione, che suol precorrere la disgrazia, che la sua numerosa cavalleria calpestato avrebbe le truppe di Mascezel, ed involto in un nuvolo di ardente sabbia i nativi delle fredde regioni della Gallia e della Germania49. Ma il Mauritano, che comandava le legioni d'Onorio, era troppo bene informato delle maniere de' suoi nazionali per concepire alcun serio timore di un disordinato e nudo esercito di Barbari, il braccio sinistro dei quali invece di scudo non era difeso che da un mantello; che, appena scagliato aveano con la destra il lor giavelotto, restavano totalmente disarmati; ed i cui cavalli non erano mai stati ammaestrati a soffrir l'impaccio della briglia, o ad obbedirne la guida. Egli fermò il suo campo di cinquemila veterani in faccia ad un superiore nemico, e dopo la dilazione di tre giorni diede il segno di una generale battaglia50. Avanzandosi Mascezel sulla fronte con belle offerte di perdono e di pace, incontrò uno dei primi che portava lo stendardo Affricano, e ricusando questo di cedere, gli tagliò il braccio con la sua spada. Cadde a quel colpo insieme col braccio l'insegna; e subito fu replicato da tutte le bandiere della fila quel supposto atto di sommissione. A questo segno le disaffezionate coorti proclamarono il nome del legittimo loro Sovrano; i Barbari, sorpresi per la diserzione dei Romani loro alleati, si dispersero, secondo il loro costume, in una tumultuaria fuga; e Mascezel ottenne l'onore di una facile e quasi non sanguinosa vittoria51. Il tiranno dal campo di battaglia fuggì al lido del mare; e si gettò in un piccol vascello con la speranza di giugner sicuro a qualche amico porto dell'Impero Orientale; ma l'ostinazione del vento lo rispinse nel porto di Trabaca52, che aveva riconosciuto insieme col resto della provincia il dominio d'Onorio, e l'autorità del suo vicario. Gli abitanti, in prova del pentimento e della fedeltà loro, arrestarono la persona di Gildone, e lo posero in carcere; ma la propria disperazione lo liberò dall'intollerabil tormento di soffrir la presenza di un ingiuriato e vittorioso fratello53. Si portarono al piè dell'Imperatore i prigionieri e le spoglie dell'Affrica: ma Stilicone, la moderazione del quale appariva sempre più cospicua e più sincera in mezzo della prosperità, tuttavia affettò di osservar le leggi della Repubblica: e deferì al Senato ed al Popolo Romano il giudizio de' più illustri delinquenti54. Fu pubblico e solenne il loro processo; ma i Giudici nell'esercizio di quell'antiquata e precaria giurisdizione, erano impazienti di punire i Magistrati Affricani, che avevano intercettato la sussistenza del Popolo Romano. Quella ricca e colpevol Provincia fu oppressa dai ministri Imperiali, che avevano un interesse visibile a moltiplicare il numero dei complici di Gildone; e quantunque sembri, che un editto d'Onorio freni la maliziosa industria degli accusatori, un altro editto, alla distanza di dieci anni, continua e rinnova la processura di que' danni, che furon fatti nel tempo della general ribellione55. Gli aderenti del tiranno, che scamparono dal primo impeto dei soldati e dei giudici, poteron trarre qualche consolazione dal tragico fine del fratello di lui, che non potè mai ottenere il perdono per gli straordinari servigi, che avea prestati. Dopo d'aver terminato un'importante guerra nello spazio di un solo inverno, Mascezel fu ricevuto alla Corte di Milano con grande applauso, con affettata gratitudine e con segreta gelosia56, e si è risguardata la sua morte, che forse fu l'effetto del caso, come un delitto di Stilicone. Nell'atto di passare un ponte, il Principe Mauritano, ch'era in compagnia del Generale dell'Occidente, fu ad un tratto gettato dal suo cavallo nel fiume; restò impedita l'officiosa premura dei famigliari da un crudele e perfido sorriso, che videro in volto a Stilicone; e mentr'essi differivano il necessario soccorso, l'infelice Mascezel rimase annegato57.
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La gioja del trionfo Affricano felicemente s'unì colle nozze dell'Imperatore Onorio e della sua cugina Maria, figlia di Stilicone: e quest'uguale ed onorevole parentela parve che investisse il potente ministro dell'autorità di padre sopra il sommesso pupillo di lui. Non tacque in giorno sì propizio la musa di Claudiano58: cantò in vari e vivaci metri la felicità della coppia reale e la gloria dell'Eroe, che confermava la lor unione, e sosteneva il lor trono. Il genio poetico salvò dall'obblivione le antiche favole della Grecia, che avevan quasi finito d'esser l'oggetto di una fede religiosa. La pittura del bosco di Cipro, sede dell'armonia e dell'amore, il trionfante progresso di Venere sopra i nativi suoi mari, e la dolce influenza, che sparse la presenza di lei nel palazzo di Milano, esprimono ad ogni età i naturali sentimenti del cuore nel giusto e piacevol linguaggio di un'allegorica finzione. Ma l'amorosa impazienza, che Claudiano attribuisce al giovine Principe59, dovè eccitare il riso della Corte; e la sua bella sposa (se pur meritava la lode della beltà) non avea molto da temere o da sperare dalle passioni del suo amante. Onorio non avea che l'età di quattordici anni; Serena, madre della sposa, differì per arte, o per mezzo di persuasioni la consumazione delle nozze Reali. Maria morì vergine dopo essere stata moglie dieci anni; e fu assicurata la castità dell'Imperatore dalla freddezza, o forse anche dalla debolezza della sua costituzione60. I suoi sudditi, che attentamente studiavano il carattere del giovane loro Sovrano, conobbero, che Onorio era senza passioni, e conseguentemente senza talenti; e che la debole e languida di lui natura era ugualmente incapace di adempire i doveri del suo grado che di godere i piaceri dell'età sua. Nella prima sua gioventù fece qualche profitto nell'esercizio di cavalcare e di tirar l'arco: ma presto abbandonò quelle faticose operazioni, ed il divertimento di nutrir uccelli divenne la seria e quotidiana cura del Monarca dell'Occidente61, il quale rimise le redini dell'Imperio nella ferma ed abile mano di Stilicone di lui tutore. L'esperienza dell'istoria, potrà confermare il sospetto, che un Principe, nato nella porpora, ebbe un'educazione peggiore dell'infimo dei suoi sudditi; e che l'ambizioso ministro lo lasciò arrivare all'età virile senza procurar d'eccitarne il coraggio, o d'illuminarne l'intelletto62. I predecessori d'Onorio eran soliti d'animare col loro esempio, o almeno con la presenza il valore delle legioni; e le date delle lor leggi attestano la perpetua attività dei loro movimenti per le Province del Mondo Romano. Ma il figlio di Teodosio passò il sonno della sua vita, come uno schiavo nel suo palazzo, come uno straniero nel suo paese, e come un paziente e quasi indifferente spettatore della rovina dell'Impero Occidentale, che fu più volte attaccato, e finalmente distrutto dalle armi dei Barbari. Nell'istoria, piena di eventi, di un regno di vent'otto anni, rare volte sarà necessario di rammentare il nome dell'Imperatore Onorio.
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