Читать бесплатно книгу «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 6» Эдварда Гиббона полностью онлайн — MyBook

Olimpio266 avrebbe potuto continuare ad insultare il giusto sdegno del popolo, che altamente accusavalo come autore della pubblica calamità; ma il suo potere fu appoco appoco distrutto dagli intrighi segreti del palazzo. Gli Eunuchi favoriti trasferirono il governo d'Onorio e dell'Imperio in Giovio, Prefetto del Pretorio, indegno servo, che non purgò neppure col merito d'un personale affetto gli errori e le sciagure della sua amministrazione. L'esilio o la fuga del colpevole Olimpio lo riservò ad altre vicende della fortuna: ei provò lo avventure di una vita oscura e vagabonda; s'innalzò di nuovo alla potenza, cadde per la seconda volta nella disgrazia; gli furon tagliati gli orecchi; e spirò sotto le verghe, somministrando l'ignominiosa sua morte un grato spettacolo agli amici di Stilicone. Dopo la remozione d'Olimpio il cui carattere era profondamente viziato dal fanatismo religioso, i Pagani e gli Eretici restaron liberi da quella politica proscrizione, che gli escludeva dalle dignità dello Stato. Il valoroso Gennerido267, soldato d'origine barbara, che sempre aderiva al culto dei suoi maggiori, era stato costretto a spogliarsi del cingolo militare: e quantunque fosse più volte assicurato dall'Imperatore medesimo, che le leggi non eran fatte per le persone del grado o merito suo, egli ricusò d'accettare qualunque particolar dispensa, e persistè in un'onorevol disgrazia, finattantochè non ebbe ottenuto, un atto generale di giustizia dall'angustia in cui si trovava il Governo Romano. La condotta di Gennerido nell'importante posto, a cui fu promosso o restituito, di Generale della Dalmazia, della Pannonia, del Norico e della Rezia, parve, che ravvivasse la disciplina e lo spirito della Repubblica. Le sue truppe, da una vita d'oziosità e di miseria, tosto s'abituarono al disciplinato esercizio, e ad un'abbondante sussistenza; e la privata sua generosità spesse volte suppliva alle ricompense, che erano negate dall'avarizia o dalla povertà della Corte di Ravenna. Il valore di Gennerido, formidabile ai vicini Barbari, fu il più forte baloardo della frontiera Illirica; e la vigilante sua diligenza procurò all'Impero un rinforzo di diecimila Unni, che giunsero ai confini dell'Italia accompagnati da tal convoglio di provvisioni, e da un seguito così numeroso di bovi e di pecore, che avrebber potuto servire non solo alla marcia d'un esercito, ma anche allo stabilimento di una colonia. Ma la Corte ed i consigli d'Onorio tuttavia presentavano una scena di debolezza e di distrazione, di corruzione e d'anarchia. Le guardie, instigate dal Prefetto Giovio, furiosamente si ammutinarono e domandarono le teste di due Generali, e dei due principali Eunuchi. I Generali, sotto una perfida promessa di sicurezza, furono mandati sopra una nave e privatamente decapitati; laddove il favor degli Eunuchi procurò loro un dolce e sicuro esilio a Milano ed a Costantinopoli. L'Eunuco Eusebio ed il barbaro Allobie successero nel comando della camera e delle guardie; e la gelosia, che avevan fra loro questi subordinati ministri, fu la causa della reciproca lor distruzione. Per un insolente ordine del Conte dei Domestici, il gran Ciamberlano fu vergognosamente battuto a morte a colpi di bastone sotto gli occhi dell'attonito Imperatore, ed il susseguente assassinamento d'Allobie in mezzo ad una pubblica processione è l'unica circostanza della vita d'Onorio, in cui dimostrasse il più debole sintomo di risentimento e di coraggio. Avanti la lor caduta però Eusebio ed Allobie avevan contribuito per la lor parte alla rovina dell'Impero opponendosi alla conclusion d'un trattato, in cui Giovio, per un interessato e forse colpevol motivo, era entrato con Alarico in un personale congresso, che ebbero sotto le mura di Rimini. Nell'assenza di Giovio, l'Imperatore fu indotto ad assumere un superbo stile d'inflessibile dignità, che nè la situazione nè il carattere di lui potean sostenere; e fu immediatamente spedita al Prefetto del Pretorio una lettera segnata col nome d'Onorio, che gli dava libera permissione di disporre della moneta pubblica, ma severamente proibivagli di prostituir gli onori militari di Roma alle orgogliose domande di un Barbaro. Questa lettera fu imprudentemente comunicata ad Alarico medesimo, ed il Goto, che in tutta la negoziazione s'era portato con moderazione e decenza, espresse con le più oltraggiose parole il vivo suo sentimento dell'insulto così sfacciatamente fatto alla propria persona e nazione. S'interruppe ad un tratto la conferenza di Rimini, ed il Prefetto Giovio, tornato a Ravenna, fu costretto ad abbracciare, ed anche ad incoraggiare le opinioni, che dominavano in Corte. Per suo consiglio e dietro al suo esempio, i principali Ufiziali dello Stato e dell'armata furono obbligati a giurare, che senza prestare orecchio in alcuna circostanza ad alcuna condizione di pace, avrebbero sempre perseverato in una perpetua ed implacabile guerra contro il nemico della Repubblica. Questo temerario impegno pose un insuperabile ostacolo ad ogni futuro trattato. I ministri d'Onorio si udirono dichiarare, che se avessero solo invocato il nome della Divinità, provvederebbero alla pubblica salute, ed abbandonerebbero le anime loro alla mercè del Cielo: ma essi avevan giurato per la sacra testa dell'Imperatore medesimo, avevan toccato con solenne ceremonia quell'augusta sede di maestà e di sapienza; e la violazione del loro giuramento gli avrebbe esposti alle pene temporali del sacrilegio e della ribellione268.

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Mentre l'Imperatore e la sua Corte godevano, con ostinato orgoglio, la sicurezza delle paludi e delle fortificazioni di Ravenna, essi abbandonarono Roma, quasi senza difesa, allo sdegno d'Alarico. Pure tanta fu la moderazione, che ei tuttavia conservava o affettava di conservare, che quando si mosse col suo esercito per la via Flaminia, spedì uno dopo l'altro i Vescovi delle città d'Italia a rinnovare le sue proposizioni di pace, ed a scongiurare l'Imperatore di voler salvare la città ed i suoi abitanti dall'ostil fuoco e dal ferro dei Barbari269. Furono però allontanate queste imminenti calamità, non già per la saviezza d'Onorio, ma per l'umanità o la prudenza del Re Goto, che usò un più dolce quantunque non meno efficace metodo di conquista. Invece di assalire la Capitale, diresse con felice successo le sue operazioni contro il porto d'Ostia, una delle più ardite e stupende opere della magnificenza Romana270. Gli accidenti, a' quali era continuamente esposta la precaria sussistenza della città in un'invernale navigazione, ed in una strada aperta, ne avean suggerito al genio del primo Cesare l'util disegno, che fu poi eseguito sotto l'Impero di Claudio. Le moli artificiali, che ne formavano lo stretto ingresso, s'avanzavano molto nel mare, e fortemente rispingevano il furore dei flutti, mentre i più grossi vascelli sicuramente stavano all'ancora in tre profondi e vasti recinti, che ricevevano il ramo settentrionale del Tevere in distanza di circa due miglia dall'antica colonia d'Ostia271. Il Porto Romano appoco appoco divenne una città Episcopale272, dove si depositava il frumento dell'Affrica in spaziosi granai per l'uso della Capitale. Tosto che Alarico si trovò in possesso di quell'importante luogo, intimò alla città di arrendersi a discrezione; e la sua domanda fu aggravata dalla positiva dichiarazione, che il ricusare, o anche il differire di farlo avrebbe subito prodotto la distruzione dei magazzini, dai quali dipendeva la vita del Popolo Romano. I clamori di quel popolo ed il terrore della fame umiliaron l'orgoglio del Senato; il quale accordò senza ripugnanza la proposizion di collocare un nuovo Imperatore sul trono dell'indegno Onorio; ed il voto del Gotico conquistatore diede la porpora ad Attalo, Prefetto della città. Il grato Monarca riconobbe subito il suo protettore per Generale delle armate dell'Occidente. Adolfo, col titolo di Conte dei Domestici, ebbe la custodia della persona d'Attalo; e parve, che le due ostili nazioni s'unissero nei più stretti vincoli d'amicizia e d'alleanza273.

Si apriron le porte della città, ed il nuovo Imperator dei Romani, circondato da ogni parte dalle armi Gotiche, fu condotto in tumultuaria processione al palazzo d'Augusto e di Traiano. Dopo aver distribuito le dignità civili e militari fra i suoi favoriti e seguaci, Attalo convocò l'assemblea del Senato, avanti al quale in un florido e formale discorso espose la sua determinazione di restaurare la maestà della Repubblica, e di riunire all'Impero le Province dell'Egitto e dell'Oriente, che avevano una volta riconosciuto la sovranità di Roma. Tali stravaganti promesse eccitarono in ogni ragionevol cittadino un giusto disprezzo pel carattere d'un imbelle usurpatore, l'elevazione del quale era la più profonda ed ignominiosa ferita, che alla Repubblica fosse mai stata fatta dall'insolenza de' Barbari. Ma la plebaglia, con la solita sua leggierezza, faceva plauso alla mutazion de' padroni. Il pubblico disgusto era favorevole al rivale d'Onorio, ed i Settarj, oppressi da' suoi editti di persecuzione, s'aspettavano qualche sorta di favore, o almeno di tolleranza da un Principe, che nel suo nativo paese di Jonia era stato educato nella superstizione Pagana, ed aveva in seguito ricevuto il Sacramento del Battesimo dalle mani di un Vescovo Arriano274. I primi giorni del regno d'Attalo furono prosperi e belli. Fu mandato un Ufiziale di confidenza con un piccol corpo di truppe ad assicurarsi dell'ubbidienza dell'Affrica: la maggior parte dell'Italia si sottomise al terrore delle armi Gotiche; e quantunque la città di Bologna facesse una vigorosa ed efficace resistenza, il popolo di Milano, disgustato forse per l'assenza d'Onorio, accettò con alte acclamazioni la scelta del Senato Romano. Alarico, alla testa d'un formidabile esercito;, condusse il reale suo schiavo quasi alle porte di Ravenna; e con marzial pompa fu introdotta nel campo Gotico una solenne ambasceria dei principali ministri, cioè di Giovio Prefetto del Pretorio, di Valente comandante della cavalleria e dell'infanteria, del Questore Potamio, e di Giuliano Capo dei Notari. Acconsentirono questi in nome del lor Sovrano a riconoscere per legittima l'elezione del suo competitore, ed a dividere fra' due Imperatori le Province dell'Occidente. Le proposizioni loro furono rigettate sdegnosamente; e fu aggravato il rifiuto dall'insultante clemenza d'Attalo, il quale condiscese a promettere, che se Onorio avesse immediatamente dimesso la porpora, gli avrebbe permesso di passare il resto della sua vita nel pacifico esilio di qualche Isola remota275. La situazione in vero del figlio di Teodosio pareva così disperata a quelli, che erano i meglio informati delle sue forze e speranze, che Giovio e Valente, l'uno ministro e l'altro Generale di esso, gli mancaron di fede, vergognosamente abbandonarono la causa cadente del loro benefattore, ed impegnarono la perfida opera loro al servizio del suo più fortunato rivale. Onorio, sorpreso da tali esempi di domestico tradimento, tremava all'avvicinarsi d'ogni servo ed all'arrivo d'ogni corriere. Temeva egli i nemici segreti, che potevano esser nascosti nella sua capitale, nel suo palazzo, nella sua medesima camera; ed eran pronte alcune navi nel porto di Ravenna per trasportare l'abbandonato Monarca negli stati dell'Infante suo nipote, l'Imperator dell'Oriente.

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Ma v'è una Previdenza, come scriveva l'istorico Procopio276, che invigila sopra l'innocenza e la follia, e non si possono ragionevolmente porre in dubbio le pretensioni d'Onorio intorno alla particolar cura di essa. Nell'istante, in cui la sua disperazione, incapace d'alcun saggio o virile consiglio, meditava una vergognosa fuga, sbarcò inaspettatamente nel porto di Ravenna un opportuno rinforzo di quattromila veterani. A questi valorosi stranieri, la fedeltà de' quali non era stata corrotta dalle fazioni della Corte, egli affidò le mura e le porte della città, ed i sonni dell'Imperatore non furon più disturbati dal timore d'imminenti ed interni pericoli. La favorevole notizia, che s'ebbe dall'Affrica, mutò ad un tratto le opinioni degli uomini, e lo stato dei pubblici affari. Gli ufiziali e le truppe, che Attalo aveva mandato in quella Provincia, furon disfatte ed uccise; e l'attivo zelo d'Eracliano mantenne fedele sè ed il suo popolo. Il fido Conte dell'Affrica mandò una grossa somma di danaro, che assodò la fedeltà delle guardie Imperiali; e la sua vigilanza nell'impedir l'estrazione del grano e dell'olio, introdusse la carestia, il tumulto, e lo scontento nelle mura di Roma. L'infelice spedizione Affricana fu la sorgente di mutue doglianze ed accuse nel partito d'Attalo; e la mente del suo protettore appoco appoco alienossi dall'interesse d'un Principe, che non aveva spirito per comandare, nè docilità per ubbidire. Si presero le più imprudenti determinazioni senza saputa, o contro il parer d'Alarico; e l'ostinazione del Senato a non permettere, nell'imbarco, neppure la mescolanza di cinquecento Goti, dimostrò un'indole sospettosa e diffidente, che nella situazione, in cui si trovava, non era nè prudente nè generosa. Lo sdegno del Re Goto fu esacerbato dai maliziosi artifizj di Giovio, che era stato innalzato al grado di Patrizio, e che dopo scusò il doppio suo tradimento con dichiarare senza rossore, che egli aveva soltanto finto d'abbandonare il servizio d'Onorio per rovinare più efficacemente la causa dell'usurpatore. In una vasta pianura vicino a Rimini, ed alla presenza d'una innumerabile moltitudine di Romani e di Barbari, il misero Attalo fu pubblicamente spogliato del diadema e della porpora, ed Alarico mandò queste insegne della dignità reale come pegno di pace e di amicizia al figlio di Teodosio277. Furono restituiti ai loro impieghi gli ufiziali, che tornarono al loro dovere, e fu graziosamente accordato anche il merito di un tardo pentimento: ma il deposto Imperator de' Romani, desideroso della vita ed insensibile all'ignominia, implorò la permissione di seguitare il Campo Gotico nel corteggio d'un superbo e capriccioso Barbaro278.

La deposizione d'Attalo tolse di mezzo l'unico reale ostacolo alla conclusion della pace; ed Alarico avanzassi fino alla distanza di tre miglia da Ravenna per sollecitar l'irresolutezza degl'Imperiali Ministri, che col ritorno della fortuna eran tornati alla loro insolenza. Egli si accese di sdegno, quando seppe che un Capitano suo rivale, che Saro, personal nemico d'Adolfo e nemico ereditario della casa di Balti, era stato ricevuto nel Palazzo. Alla testa di trecento seguaci quel coraggioso Barbaro fece subitamente una sortita dalle porte di Ravenna; sorprese e tagliò a pezzi un considerabile corpo di Goti; rientrò in trionfo nella città, e gli fu permesso d'insultar l'avversario con la voce d'un araldo, il quale dichiarò pubblicamente, che la colpa d'Alarico l'aveva escluso per sempre dall'amicizia e dalla corrispondenza coll'Imperatore279. Il delitto e la follìa della Corte di Ravenna s'espiò per la terza volta dalle calamità di Roma. Il Re dei Goti, che non dissimulava più il desiderio di preda e di vendetta, comparve armato sotto le mura della Capitale; ed il tremante Senato, senz'alcuna speranza di soccorso, si preparò a differire con una disperata resistenza la rovina della patria. Ma i Romani non furon capaci di guardarsi dalla segreta cospirazione dei loro schiavi e famigli, che per interesse o per nascita erano attaccati alla causa del nemico. Alla mezza notte fu tacitamente aperta la porta Salaria, ed i cittadini furono svegliati dal terribil suono della Gotica tromba. Mille centosettanta tre anni dopo la fondazione di Roma, la città Imperiale, che avea soggiogato ed incivilito una parte sì considerabile del genere umano, fu abbandonata al licenzioso furore delle tribù della Germania e della Scizia280.

Il manifesto però d'Alarico, quando entrò a forza nell'abbattuta città, mostrò qualche riguardo alle leggi dell'umanità e della religione. Incoraggiò le sue truppe a prendersi arditamente i premj del valore, e ad arricchirsi colle spoglie d'un popolo dovizioso ed effeminato, ma gli esortò nel tempo stesso a risparmiar la vita dei cittadini, che cedevano, ed a rispettare le Chiese degli Apostoli S. Pietro e S. Paolo, come sacri ed inviolabili santuarj. Fra gli orrori d'un notturno tumulto, molti Goti Cristiani dimostrarono il fervore d'una recente conversione, e son riferiti e adornati dallo zelo degli scrittori Ecclesiastici281

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