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Andrea.
(LEI)

Dunque per tutt'oggi non lo vedrò.

La giornata primaverile splende e si spegne; io sono qui, sola, triste a struggermi.

Ed egli è rinchiuso là, tra le sue spaventose e immobili statue, macabre nella loro fissità; terribili e contronatura perchè non mutano e non muoiono in un mondo dove tutto muta e muore.

Egli è calmo e contento; il suo lavoro lo assorbe, la sua arte lo affascina.

L'Arte, ah! l'Arte.... che orrore! L'Arte! la nemica della donna, la nemica della felicità!

Ma se io gli dicessi questo, non mi comprenderebbe.

Amor mio,

Fai bene, fai bene a lavorare. L'Arte sarà per te la Donna migliore di tutte. Essa non ti tradirà e non ti scorderà se tu non la scordi e la tradisci.

A domani, dunque.

Viviana.
(LUI)

Mio tesoro,

Com'è bello ciò che tu dici dell'Arte!

Tu vedi la vita e l'amore diversamente da tutte le altre donne. È per questo, forse, ch'io ti amo così perdutamente.

Neppure oggi mi stacco dal mio lavoro. Sei contenta?

Tuo

Andrea.
(LEI)

Strano che il cuore dell'uomo e della donna non siano mai, non possano mai essere completamente all'unisono! La loro armonia sembra basata sul contrattempo, come le note sincopate dei «rag-times» o delle Danze Ungheresi di Brahms: quando l'uno è sul «battere», l'altro è sul «levare»; quando l'uno è felice, l'altro soffre; quando l'uno comincia, l'altro termina....

L'uomo vuole la gioia dell'ora; la donna, non appena ama, vuole il parossismo e il pathos, vuole l'infinito e l'eterno.

Andrea s'è innamorato di me per la mia spensierata indifferenza, la mia gaia, incurante letizia; e non appena m'innamoro io di lui, ecco svanire la mia gaiezza, spegnersi la mia giocondità ed io non sono più quella che egli ha amato. Sono cupa, fosca, esigente, noiosa, come tutte le donne innamorate. Mi sento l'anima piena di una esasperata ostilità e la bocca piena di parole amare.

Flavia, a cui mi confido, scrolla le spalle: «Che vuoi! siamo fatte così. L'amore si posa sulla soglia del nostro cuore come una cosa mite, luminosa, alata; ci sembra una farfalla, una colomba, o un'allodola che batterà l'ali.... canterà e volerà via. Ma non appena è in noi, ecco che ci accorgiamo di aver chiuso nel nostro cuore una tigre; una tigre che ci rode, ci strazia e ci dilania».

È vero, è vero! Anch'io sento la tigre accovacciata in me. E pensando ad Andrea mi domando: che cosa posso fare per tormentarlo, per farlo soffrire come soffro io?

Mio carissimo,

Poichè oggi tu non vieni, andrò alle corse con Clerici e Giorgio di Vallefuoco. Stasera Silvestri mi conduce a udire le poesie indiane del Tagore. Tu sai che cosa è per me la poesia!…

In ispecie quella indiana.

Sempre tua!
(LUI)

La statuetta non mi riesce. Il viso pare velato da non so quale mestizia; sulle labbra non vi è più un riso ma un «rictus», e le occhiaie sono piene d'ombra. Forse, dopo tutto, ci vorrà una modella.

. . . . . .

Viviana fu oggi da me per pochi istanti. Era strana. Mi fissava con uno sguardo di fuoco e un sorriso di gelo. Mi disse che Clerici era di fuori in automobile. D'improvviso mi ha domandato:

– Per quanto tempo m'amerai?

Io risi.

– Hai forse qualcuno che aspetta il suo turno?…

– Rispondi! – fece lei colle labbra strette.

Allora le presi le due mani:

– Per sempre.

– Uh, che orrore! – esclamò con una risata cinica. – Non voglio. Voglio essere amata per poco tempo.

– Perchè? perchè?

– Perchè.... le cose lunghe diventano serpi! – mi disse lei.

E mi lasciò.

Più conosco le donne e meno le comprendo.

(LEI)

Sincera! Volevo essere sincera con lui. Ma qual'è la donna che può essere sincera con un uomo?

È nostro destino mentire, mentire sempre. Mentire all'uomo, per non perderlo, quando non lo si ama.... Mentire, mentire mille volte di più, per non perderlo, quando lo si ama!

Se ad Andrea io svelassi tutto il mio cuore, se gli gridassi sul viso: – Ti amo! Ti amo! Non posso più vivere così.... Portami via, tienimi con te per sempre!… oppure, dammi la morte! Fa ch'io piombi dal tuo abbraccio nel Nulla! – egli mi guarderebbe stupito con quei begli occhi tranquilli e profondi, e penserebbe con un lieve senso di noia e di stanchezza: – Mio Dio! Come è eccessiva ed esaltata questa donna!

Non è così fatto il cuore degli uomini? L'eccessiva passione, l'esaltazione del desiderio, la dedizione completa, invece di avvincerli li allontana.

Mio caro,

Impossibile vederti questa sera. Vado al Regio con Oldofredi a udire il concerto di musica boema. Tu sai quanto adoro la musica.... in ispecie quella boema.

Addio.
Viviana.

A meno che ciò ti dispiaccia?…

(LUI)

Strano questo bisogno che hanno le donne di correre di qua e di là coll'uno e coll'altro....

Probabilmente se io la pregassi di non andare, mi troverebbe geloso e tirannico e mi prenderebbe in odio.

Amor mio,

Nulla di ciò che a te piace può dispiacere a me.

Andrea.
(LEI)

No. Nel cuore della donna l'amore non è la gioia: è lo strazio, è lo struggimento, è una fosca e frenetica disperazione senza ragione e senza rimedio.

Non c'era concerto al Regio iersera. Egli avrebbe potuto accertarsene, guardando il giornale. Poteva telefonarmi; accorrere, protestare, pregare; poteva rimproverarmi, ingiuriarmi, insultarmi.

Niente! Si è rassegnato. Come la sua statua, la sua aborrita e orrenda statua: «la Rassegnazione che sorride al Dolore».

Io odio la Rassegnazione. Odio la gente che si rassegna. Odio le statue. Odio tutto.

(LUI)

Il modello in creta di «Gioia» è terminato. È indubbiamente ciò che di meglio ho fatto finora.

Melzi mi fa osservare che dico sempre questo di ogni mio lavoro più recente.

Sarà così.

Tuttavia «Gioia» mi sembra senza contestazione il mio capolavoro.

Viviana ne sarà felice.

(LEI)

Vorrei morire! morire subito, fulminata ai suoi piedi! Non posso più vivere, non posso più mentire. Non posso più sorridere colla Tigre che mi sbrana e mi dilania. Non penso più che alla morte, al silenzio, alla pace, all'oblio.

Esco sul balcone e guardo il fiume che scorre calmo e lucente sotto alle mie finestre. Perchè non correrei fuori nel grigio crepuscolo e mi lascerei scivolare giù in quell'argentea profondità? Dopo un breve attimo di terrore, di soffocazione, di disperata lotta, calerei lentamente al fondo, e vi giacerei immobile, calma e placata, colla fronte al cielo.... E le tranquille acque mi scorrerebbero sul viso.

Oh, dolce giacere immobile e supina sotto quel liquido e mobile frescore! oh, dolce sentire l'acqua scorrere sopra il mio viso!…

Perchè non morire?… O allora.... dirgli tutto?

(LUI)

Ho deciso di concorrere per la Fontana Monumentale di Piazza Solferino.

(LEI)

Gli ho detto tutto. Tutto!

Gli ho detto: – T'amo troppo. Soffro troppo. Voglio lasciarti.

– Ma perchè soffri? Non t'amo forse? non t'amo? – mi chiedeva lui smarrito.

– Sì, sì! m'ami! – E gli accarezzavo i capelli, mentre dentro la tigre mi lacerava e mi sbranava.

Allora egli mi è caduto ai piedi. – Dimmi che cosa debbo fare! Che cosa vuoi che faccia? Io non ti capisco. Non so perchè soffri, non so perchè dici che ti rendo infelice.

– Non lo so neppur io, – risposi singhiozzando.

Allora egli mi chiuse tra le braccia come fossi una bambina. – Vuoi che lasciamo tutto? Vuoi venir via con me? Vuoi?… Vuoi che si vada lontano dove nessuno ci conosce a vivere insieme per sempre?

. . . . . .

Mio Dio, mio Dio! Vi ringrazio.

Partire con lui!… Andare lontano, dove nessuno ci conosce! Vivere insieme!… per sempre!…

La tigre è morta.

(LUI)

«Alea jacta est». Partirò con lei.

Sarà quel che sarà.

MAGGIO
(LEI)

Come sono felice! Come sono felice!

Forse non è tanto il pensiero della fuga con lui, della vita con lui, che mi esalta, ma il fatto ch'egli lo voglia.

Una immensa tranquillità, una pace blanda è scesa sulla mia anima e quasi non riesco a comprendere e a ricordare le turbolenti angoscie dei giorni passati. Perchè soffrivo tanto? Non lo so più.

Oldofredi, il pittore, è venuto a trovarmi oggi e mi ha guardata stranamente. – Che cosa avete? – mi ha chiesto. – Come siete translucente e raggiante! – Indi ha soggiunto: – E perchè non lavorate? Perchè non scrivete più?… Badate che l'ingegno non è un dono, ma una responsabilità. L'ingegno è un debito da pagare, è un dovere da compiere; non è un fiore da puntarsi nei capelli!

Io sospirai. – Lo so, lo so; ma che volete? Una donna non può scrivere se non è innamorata. E quando è innamorata.... non può scrivere!

– Forse è vero, – disse Oldofredi colla sua voce un po' cavernosa. – Ma vi è un momento, momento fugace, effimero, evanescente, tra un amore che sta per tramontare e un amore che sta per nascere, in cui può fiorire il capolavoro. State in attesa, o Viviana! di quel momento fatale e vitale. E non lasciatelo passare invano.

Rimettermi a scrivere? Creare un capolavoro? Ah, lo vorrei!

È vero. – L'ingegno non è un fiore da puntarsi nei capelli!…

(LUI)

Più ci penso e più mi afferra la febbre della partenza, mi appassiona l'idea di lasciare dietro di me il passato, e slanciarmi nell'avvenire. Ciò che da principio mi spaventava, mi pareva una follia quasi colpevole, quasi imperdonabile, mi sembra ora l'unica cosa giusta e grande e felice ch'io abbia concepito mai, ch'io possa realizzare mai.

E perchè no? Sono un artista, dunque sono libero. Dovunque io vada porto le mie due mani con me; porto con me i miei occhi e la mia anima; e porto con me Viviana, ispirata e ispiratrice.

Partire! partire con lei! Ricominciare la vita in un paese nuovo, ignoto, vasto, generoso; lavorare, sostenuto dal meraviglioso amore di quella creatura meravigliosa!

(LEI)

Partire!… Esiliarsi!… Lasciare l'Italia e tutto ciò che l'Italia rappresenta per me! La luce.... l'incanto.... l'ispirazione!…

Questo pensiero talvolta mi spaventa.

(LUI)

Giro per questa città come un allucinato.... o come un dio: già rimoto, già staccato da tutto e da tutti.

Come mi sembrano poveri e pietosi quelli che restano qui, in questo ambiente ristretto, sordido, meschino, dove ogni giorno s'incontrano le medesime persone, i medesimi pregiudizi, le medesime piccole amicizie e piccole ostilità. Tra un mese sarò lontano da tutto ciò. Lontano!…

E tutte le acque dell'Atlantico scorreranno tra me e questi pallidi giorni del passato!

(LEI)

Da due giorni non vedo Andrea. Lavora febbrilmente alla sua statua, o corre in qua e in là preparandosi alla partenza.

Fui stamane nello studio di Oldofredi che s'apre su un grande giardino soleggiato.

Ne esco ebbra di colori. Donne azzurre e donne arancine, donne drappeggiate e donne ignude, donne sdraiate e donne ritte, donne vaganti per lunghi misteriosi corridoi o danzanti all'aperto sotto cieli verdastri punteggiati di lucciole.... Quanta fantasia, quanta stranezza, quanta suggestiva ambiguità in quest'arte!

Già, l'Arte!… In fondo, come dice Oldofredi, non c'è altro di bello al mondo. L'Arte! figlia del Sogno, sorella dell'Amore!…

(LUI)

Oggi ho detto a mia madre e a mio fratello che partivo. La loro disperazione è indescrivibile. Sembrano annientati, terrorizzati.

– Che cosa faremo? – piangeva mia madre, – io vecchia, lui malato, senza di te?

Sono fuggito. Mi pareva d'essere un carnefice.

(LEI)

Ho voglia di lavorare; di scrivere un nuovo libro.

Che sia questo il momento fatidico pronosticato da Oldofredi? Ma quale sarebbe «l'amore che tramonta», e quale «l'amore che nasce»?

.... Pensiamo al capolavoro.

In un libro ciò che conta soprattutto sono due cose: il titolo – e la fine.

La fine è subito trovata. Lui la abbandona, e lei muore. (Non è forse freschissimo ma è sempre bello).

Ma il titolo? È cosa più ardua.

Inviterò tutti i miei amici per venerdì sera: farò servire il thê à la russe; del caffè fortissimo; del vino di coca, e delle pillole di fosforo. E tutti dovranno aiutarmi a trovare un titolo, un titolo strano, strabiliante, per il mio nuovo libro. Lo dirò anche ad Andrea, sebbene non abbia molta fantasia.

Andrea,

Ti aspetto domani sera, senza fallo!

Viviana.
(LUI)

Questa sera l'ho udita ridere come nei primi giorni in cui la conoscevo. Veramente non rideva con me. Io andavo da lei credendo di trovarla sola, ma il salotto era pieno di gente.

Mi accolse festosa salutandomi da lontano colla mano alzata e il sorriso raggiante.

– Oh.... Andrea Galeazzi! Che piacere!…

In quell'istante mi parve che tutte le acque dell'Atlantico scorressero tra me e lei.

GIUGNO
(LEI)

Carissimo Andrea,

Ma come puoi pensare ch'io voglia rinunciare al nostro progetto? Mi credi dunque incostante e leggera? frivola e senza cuore?

È perfettamente vero che i Laforêt mi hanno invitata a passare l'estate nel loro castello di Revoire. Ma non per un istante ho pensato ad accettare l'invito.

Il mio pensiero è con te; lo sai.

Viviana.

P. S. Mi pare che di tutti i titoli suggeriti l'altra sera, «Narciso» è quello che mi piace di più. Anche «Pervertimenti» non sarebbe male....

Tu, che ne dici?

Oldofredi mi ha promesso le illustrazioni.

(LUI)

La statua è finita.

Tutto è pronto.

Agli amici più intimi ho già detto addio.

Il mio cuore è in tumulto.

(LEI)
Perdonami, Andrea! Perdonami!

Non parto. No. Non posso partire con te. Sarebbe la peggiore delle follie, sarebbe la più atroce delle crudeltà.

Pensa, pensa quanto saremmo infelici.

Sì: dopo un anno, dopo due anni – forse anche prima – pensa quanto soffriremmo tu ed io. Tu più di me!… O io più di te!… Non lo so.

So che verrebbe presto tra noi l'ora atroce del rimpianto e dei rimproveri.

Oggi ci sembra che l'esistenza intera non basterebbe alla nostra sete d'amore. Oggi, che tutto ci separa, che non possiamo mai saziarci l'uno dell'altro, mai guardarci abbastanza, mai parlarci abbastanza, ecco, ci irrompono dal cuore, ci fioriscono sulle labbra le grandi parole enfatiche di tutti gli amanti: la Lontananza!… l'Isolamento!… l'Eternità!…

Ma quando fossimo isolati, quando fossimo lontano, quando – dissetati e placati – ci trovassimo soli di fronte l'uno all'altra nella perpetua solitudine accoppiata degli amanti che vivono fuori della legge.... credi tu che non ne soffriremmo?

Tu forse non lo credi. Ma io lo so.

Quando tu, per amor mio, avessi lasciato dietro di te tutto ciò che ti fu caro, tutto ciò che ha formato fino ad oggi la tua esistenza: tua madre, tuo fratello, i tuoi amici, i tuoi impegni, i tuoi doveri, – ne avresti rammarico e rimpianto.

E quanto a me?… Oh, Andrea, io non sono che una piccola anima meschina; sono come tutte le donne – o quasi tutte – che, pur anelando alla vietata gioia vogliono anche la decorosa rispettabilità; che pur non volendo rinunciare al piacere, non intendono derogare dalle convenienze; che vogliono la passione ma non lo scandalo; che vogliono l'abbraccio degli uomini ma anche il saluto delle donne....

Tu mi odierai; tu mi disprezzerai! E avrai ragione.

Ebbene, disprezzami, odiami, ma non soffrire. Non voglio, non voglio che tu soffra per me. Non lo valgo, non lo merito.

Io ti ho sempre mentito. Io ti scrivevo delle lettere tristi quando ero gioiosa, ti scrivevo delle lettere gioiose quando ero triste; e anche ora, ora che vorrei essere così sincera con te, forse.... non lo sono.

Forse la verità è un'altra.

Non lo so. So che tu non devi, che tu non devi soffrire per me.

Andrea, Andrea! Dimmi che non soffri.

Viviana.
(LUI)

Non importa se io soffro. Segui la tua strada.

Quanto a me non affliggerti. Anche prima di conoscerti ero triste.

Addio.

LUGLIO
(LEI)

È finito. Finito!

Quando penso a lui, solo laggiù, nel suo studio tetro e desolato, mi sento morire.

Perchè l'ho amato? Perchè ho sofferto? Perchè l'ho lasciato?…

Non so. Non capisco il mio cuore.

Parto domani per Castel Révoire; con Flavia.

Viene anche Oldofredi.

(LUI)

Quanto vano gioire e vano soffrire! Ecco: torno qual'ero; torno alle mie silenziose creature.

E di tutto questo turbine di voluttà e d'angoscia, di tutta questa bufera che è passata sul mio cuore, che cosa resta?

. . . . . .

Resta una statua intitolata: «Gioia».

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