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Карло Коллоди
Приключения Пиноккио. История деревянной куклы. Уровень 1 = Le avventure di Pinocchio. Storia d’un burattino

Легкое чтение на итальянском

Адаптация текста, комментарии, упражнения и словарь А. И. Ной


© Ной А. И., адаптация текста, комментарии, упражнения, словарь, 2024

© ООО «Издательство АСТ», 2024

Carlo Collodi
Le avventure di Pinocchio. Storia d’un burattino

1
Come è andato che Maestro Ciliegia, falegname, ha trovato un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino

C’era una volta[1] un pezzo di legno.

Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, che d’inverno si mettono nelle stufe per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.

Un bel giorno questo pezzo di legno è capitato nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, sennonché[2] tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via[3] della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura.

Appena maestro Ciliegia ha visto quel pezzo di legno, si è rallegrato tutto e ha borbottato a mezza voce:

– Questo legno è capitato a tempo[4]; voglio fare una gamba di tavolino.

Detto fatto[5], ha preso subito l’ascia arrotata per cominciare a levare la scorza e a digrossare; ma quando era lì per lasciare andare la prima asciata, è rimasto col braccio sospeso in aria, perché ha sentito una vocina sottile, che detto:

– Non mi picchiare tanto forte!

Figuratevi come è rimasto quel buon vecchio di maestro Ciliegia!

Ha girato gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non ha visto nessuno! Ha guardato sotto il banco, e nessuno; ha guardato dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; ha guardato nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno; ha aperto l’uscio di bottega per dare un’occhiata[6] anche sulla strada, e nessuno. O dunque?..

– Ho capito; – ha detto allora ridendo, – si vede che quella vocina me la sono figurata io[7]. Rimettiamoci a lavorare.

E ha ripreso l’ascia in mano, ha tirato giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno.

– Ohi! tu mi hai fatto male! – ha gridato la solita vocina.

Questa volta maestro Ciliegia è restato con gli occhi fuori del capo per la paura, con la bocca spalancata e con la lingua giù ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana[8].

Appena ha riavuto l’uso della parola, ha cominciato a dire:

– Ma di dove è uscita questa vocina che ha detto ohi?.. Eppure qui non c’è anima viva. Questo legno eccolo qui; è un pezzo di legno come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco… Se c’è nascosto qualcuno, tanto peggio per lui.

E ha agguantato con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e ha posto a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza.

Poi si è messo in ascolto[9], per sentire se c’era qualche vocina. Ha aspettato due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!

– Ho capito; – ha detto allora, – si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la sono figurata io! Rimettiamoci a lavorare.

Intanto ha preso in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in giù, ha sentito la solita vocina che gli ha detto ridendo:

– Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo!

Questa volta il povero maestro Ciliegia è caduto giù come fulminato. Quando ha riaperto gli occhi, si è trovato seduto per terra.

Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, è diventata turchina dalla gran paura.

2
Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino meraviglioso, che sa ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali

In quel punto qualcuno ha bussato alla porta.

– Passate pure, – ha detto il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi.

Allora è entrato in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato lo chiamavano col soprannome di Polendina[10], a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco.

Geppetto era bizzosissimo. Guai[11] a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia.

– Buon giorno, mastr’Antonio, – ha detto Geppetto. – Che cosa fate per terra?

– Insegno l’abaco alle formicole.

– Buon pro vi faccia.

– Chi vi ha portato da me, compare Geppetto?

– Le gambe. Sappiate, mastr’Antonio, che sono venuto da voi, per chiedervi un favore.

– Eccomi qui, pronto a servirvi, – ha replicato il falegname, rizzandosi su i ginocchi.

– Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea[12].

– Sentiamola.

– Ho pensato di fabbricare un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sa ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchiere di vino: che ve ne pare?

– Bravo Polendina! – ha gridato la solita vocina.

A sentirsi chiamare Polendina, compare Geppetto è diventato rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli ha detto imbestialito:

– Perché mi offendete?

– Chi vi offende?

– Mi avete detto Polendina!..

– Non sono stato io.

– Sta’ un po’ a vedere che sarò stato io! Io dico che siete stato voi.

– No!

– Sì!

– No!

– Sì!

E riscaldandosi sempre più, sono venuti dalle parole ai fatti, si graffiavano e si mordevano.

Finito il combattimento, mastr’Antonio si è trovato fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si è accorto di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.

– Rendimi la mia parrucca! – ha gridato mastr’Antonio.

– E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace.

I due vecchietti hanno stretto la mano e hanno giurato di rimanere buoni amici per tutta la vita.

– Dunque, compar Geppetto, – ha detto il falegname in segno di pace fatta – qual è il piacere che volete da me?

– Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date?

Mastr’Antonio, tutto contento, è andato subito a prendere sul banco quel pezzo di legno. Ma quando era lì per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno ha dato uno scossone e è andato a battere con forza negli stinchi del povero Geppetto.

– Ah! gli è con questo bel garbo, mastr’Antonio, che voi regalate la vostra roba? Mi avete quasi azzoppito!..

– Vi giuro che non sono stato io!

– Allora sarò stato io!..

– La colpa è tutta di questo legno…

– Lo so che è del legno: ma siete voi che me l’avete tirato nelle gambe!

– Io non ve l’ho tirato!

– Bugiardo!

– Geppetto non mi offendete; se no vi chiamo Polendina!..

– Asino!

– Polendina!

– Somaro!

– Polendina!

A sentirsi chiamar Polendina, Geppetto si è avventato sul falegname.

A battaglia finita, mastr’Antonio si è trovato due graffi di più sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Hanno pareggiato in questo modo i loro conti, si sono stretti la mano e hanno giurato di rimanere buoni amici per tutta la vita.

Intanto Geppetto ha preso con sé il suo bravo pezzo di legno, ha ringraziato mastr’Antonio, è ritornato zoppicando a casa.

3
Geppetto, tornato a casa, ha cominciato subito a fabbricarsi il burattino e gli ha messo il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino

La casa di Geppetto era una stanzina terrena. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo.

Appena entrato in casa, Geppetto ha preso subito gli arnesi e si è posto a fabbricare il suo burattino.

– Che nome gli metterò? – ha detto fra sé e sé[13]. – Lo voglio chiamare Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna.

Quando ha trovato il nome al suo burattino, allora ha cominciato a lavorare, e ha fatto subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi.

Figuratevi la sua meraviglia quando si è accorto che gli occhi si movevano e che lo guardavano.

Geppetto ha detto con accento risentito:

– Occhiacci di legno, perché mi guardate?

Nessuno ha risposto.

Allora, dopo gli occhi, ha fatto il naso; ma il naso, appena fatto, è cominciato a crescere: e cresci, cresci, cresci, è diventato in pochi minuti un nasone.

Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma più lo ritagliava e lo scorciava, e più quel naso diventava lungo.

Dopo il naso ha fatto la bocca.

La bocca non era ancora finita di fare, che ha cominciato subito a ridere.

– Smetti di ridere! – ha detto Geppetto impermalito; ma era come dire al muro.

– Smetti di ridere, ti ripeto! – ha urlato con voce minacciosa.

Allora la bocca ha smesso di ridere, ma ha cacciato fuori[14] tutta la lingua.

Geppetto, per non guastare i fatti suoi, ha finto di non avvedersene, e ha continuato a lavorare.

Dopo la bocca, ha fatto il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.

Appena finite le mani, Geppetto ha sentito portarsi via la parrucca dal capo. Si è voltato in su e che cosa ha visto? Ha visto la sua parrucca gialla in mano del burattino.

– Pinocchio!.. rendimi subito la mia parrucca!

E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, l’ha messa in capo per sé.

A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto ha detto a Pinocchio:

– Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancare di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male!

E si è rasciugato una lacrima.

Quando Geppetto ha finito di fare i piedi, ha sentito arrivarsi un calcio sulla punta del naso.

– Me lo merito! – ha detto allora fra sé. – Dovevo pensarci prima! Oramai è tardi!

Poi ha preso il burattino sotto le braccia e l’ha posato in terra, per farlo camminare.

Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.

Quando le gambe erano sgranchite, Pinocchio ha cominciato a camminare da e a correre per la stanza; finché è saltato nella strada e è scappato.

E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perché quel birichino di Pinocchio andava a salti.

– Piglialo! piglialo! – urlava Geppetto; ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva.

Alla fine è capitato un carabiniere il quale, si è piantato coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, coll’animo risoluto[15] di fermarlo e d’impedire il caso di maggiori disgrazie.

Ma Pinocchio, quando si è avveduto da lontano del carabiniere, che barricava tutta la strada, si è ingegnato di passargli, per sorpresa, framezzo alle gambe, e invece era fiasco.

Il carabiniere l’ha acciuffato per il naso e l’ha riconsegnato nelle proprie mani di Geppetto; il quale voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come è rimasto quando non è riuscito di poterli trovare: e sapete perché? Perché si è dimenticato di farglieli.

Allora l’ha preso per la collottola[16], e gli ha detto:

– Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti[17]!

Pinocchio si è buttato per terra, e non voleva più camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far capannello[18].

Chi ne diceva una, chi un’altra[19].

– Povero burattino! – dicevano alcuni, – ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo piccherebbe quell’omaccio di Geppetto!..

E gli altri soggiungevano:

– Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno con i ragazzi!

Insomma, il carabiniere ha rimesso in libertà Pinocchio, e ha condotto in prigione Geppetto. Il quale, non avendo parole lì per lì[20] per difendersi, piangeva come un vitellino, e balbettava:

– Sciagurato figliolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!..

Quello che è accaduto dopo, è una storia così strana da non potersi quasi credere, e la racconterò in questi altri capitoli.

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