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Edward Gibbon
Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5

CAPITOLO XXV

Governo e morte di Gioviano. Elezione di Valentiniano che associa il fratello Valente all'Impero, e fa la final divisione degl'Imperi dell'Oriente e dell'Occidente. Ribellione di Procopio. Amministrazione civile ed ecclesiastica. La Germania. La Gran-Brettagna. L'Affrica. L'Oriente. Il Danubio. Morte di Valentiniano. I due suoi figli Graziano e Valentiniano II succedono all'Impero Occidentale.

La morte di Giuliano aveva lasciato in una situazione molto dubbia e pericolosa gli affari dell'Impero. S'era salvato il Romano esercito per mezzo di un ignominioso e forse necessario trattato1; ed i primi momenti di pace del pietoso Gioviano, destinati furono a restaurare la domestica tranquillità della Chiesa e dello Stato. L'indiscretezza del suo predecessore, invece di conciliare, aveva fomentato ad arte la guerra di religione, e la bilancia, che affettò di mantenere fra le ostili fazioni, non servì che a perpetuar la contesa, con le vicende di speranza e di timore, e con le reciproche pretensioni di antico possesso e di favore presente. I Cristiani avean dimenticato lo spirito del Vangelo; ed i Pagani s'erano imbevuti di quel della Chiesa. Nelle famiglie private si arano estinti i sentimenti della natura dal cieco furore dello zelo e della vendetta; era violata la maestà delle leggi, o se ne abusava; le città dell'Oriente venivan macchiate di sangue; ed i più implacabili nemici de' Romani si trovavano in seno al loro paese; Gioviano era stato educato nella professione del Cristianesimo; e nella marcia, che fece da Nisibi ad Antiochia, lo stendardo della croce, il Labaro di Costantino, che fu di nuovo spiegato alla testa delle Legioni, annunziò al popolo la fede del nuovo Imperatore. Appena salito sul trono mandò una circolare a tutti i Governatori delle Province, in cui confessava la divina verità, ed assicurava il legittimo stabilimento della religione Cristiana. Furono aboliti gl'insidiosi editti di Giuliano, le immunità Ecclesiastiche furono restituite ed ampliate; e Gioviano condiscese sino a dolersi, che le angustie de' tempi l'obbligassero a diminuir la dose delle caritatevoli distribuzioni2. I Cristiani eran tutti concordi nell'alto e sincero applauso, che davano al pio successor di Giuliano. Ma tuttavia ignoravano qual formula di fede o qual sinodo avrebbe scelto per norma dell'ortodossia; e la pace della Chiesa fece immediatamente risorgere le ardenti dispute, che si eran sospese nel tempo della persecuzione. I Vescovi, capi delle Sette contrarie fra loro, convinti dall'esperienza, che la lor sorte moltissimo dipendeva dalle prime impressioni, che si sarebbero fatte nella mente d'un ignorante soldato, si affrettarono di giungere alla Corte d'Edessa o d'Antiochia. Eran piene le pubbliche vie dell'Oriente di Vescovi Omousj, Arriani, Semiarriani ed Eunomiani, che procuravano di sorpassarsi l'uno l'altro nella santa carriera; gli appartamenti del palazzo risonavano dei loro clamori; e le orecchie del Principe venivano assalite, e forse rendute attonite pel singolar mescuglio di argomenti metafisici e di appassionate invettive3. La moderazione di Gioviano, che raccomandava la concordia e la carità, e rimetteva i contendenti alla decisione d'un futuro Concilio, era interpretata come un sintomo d'indifferenza; ma finalmente si scoprì e si dichiarò il suo attaccamento alla fede Nicena dalla riverenza ch'ei dimostrò per le virtù celestiali del grande Atanasio4. L'intrepido veterano della fede, al primo avviso della morte del tiranno, era uscito all'età di settanta anni dal suo ritiro. Le acclamazioni del popolo un'altra volta lo collocarono sulla sede Archiepiscopale; ed egli saviamente accettò o prevenne l'invito di Gioviano. Il venerabile aspetto, il tranquillo coraggio, e l'insinuante eloquenza d'Atanasio sostennero la riputazione ch'erasi già acquistato nelle Corti di quattro successivi Principi5. Tosto ch'egli ebbe guadagnato la confidenza, ed assicurata la fede del Cristiano Imperatore, tornò in trionfo alla propria Diocesi, e continuò per altri dieci anni6 a regolar con prudenti consigli e con instancabil vigore l'Ecclesiastico governo di Alessandria, dell'Egitto e della Chiesa Cattolica. Avanti di partire d'Antiochia, egli accertò Gioviano, che l'ortodossa sua devozione sarebbe stata premiata con un lungo e pacifico regno. Atanasio avea motivo di sperare, ch'egli avrebbe ottenuto o il merito d'una predizione adempita, o la scusa d'una grata, quantunque inefficace preghiera7.

La forza più tenue, quando è applicata ad aiutare e dirigere la naturale inclinazione del suo oggetto, opera con irresistibile peso; e Gioviano ebbe la buona fortuna d'abbracciar le opinioni religiose, che erano sostenute dallo spirito di quel tempo e dallo zelo e dal numero del più potente partito8. Sotto il regno di lui il Cristianesimo ottenne una facile e durevol vittoria; ed appena cessò il favore della reale protezione, il genio del Paganesimo, che ardentemente si era innalzato e favorito dagli artifizi di Giuliano, cadde irreparabilmente a terra. In molte città i tempj furono chiusi o abbandonati; i filosofi, che aveano abusato della passeggiera loro potenza, stimaron prudente consiglio quello di radersi la barba, e di mascherare la lor professione; ed i Cristiani godevano d'essere in grado allora di perdonare o di vendicare le ingiurie, che avean sofferte nel regno antecedente9. Fu dissipata però la costernazione del Mondo Pagano mediante un savio e grazioso editto di tolleranza, in cui Gioviano espressamente dichiarò, che sebbene avrebbe severamente punito i sacrileghi riti della magia, pure i suoi sudditi potevan liberamente e con sicurezza esercitare le cerimonie dell'antico culto. Ci si è conservata la memoria di questa legge dall'oratore Temistio, che dal Senato di Costantinopoli fu deputato ad esporre il suo fedele omaggio al nuovo Imperatore. Temistio si diffonde sulla clemenza della Natura Divina, sulla facilità degli errori umani, su' diritti della coscienza, e sull'indipendenza dello spirito; ed inculca eloquentemente i principj d'una filosofica tolleranza, di cui la superstizione medesima non ha rossore d'implorar l'aiuto nel tempo della sua calamità. Egli osserva giustamente, che nelle recenti mutazioni ambe le religioni erano state alternativamente disonorate dagli apparenti acquisti d'indegni proseliti, di que' divoti della regnante porpora, che passavano senza ragione e senza vergogna dalla chiesa al tempio, e dagli altari di Giove alla sacra mensa de' Cristiani10.

Nello spazio di sette mesi le truppe Romane, che allora eran tornate ad Antiochia, aveano fatto una marcia di mille cinquecento miglia, nella quale avevan sofferto tutti i travagli della guerra, della fame e del clima. Nonostanti i loro servigi, le loro fatiche e l'approssimarsi dell'inverno, il timido ed impaziente Gioviano non concedette agli uomini ed ai cavalli che un riposo di sei settimane. L'Imperatore non potè soffrire le indiscrete e maliziose satire del popolo d'Antiochia11. Era egli ansioso di occupare il palazzo di Costantinopoli, e di prevenir l'ambizione di qualche competitore, che avrebbe potuto aspirare al vacante omaggio dell'Europa. Ma ricevè ben presto la grata notizia, che si riconosceva la sua sovranità dal Bosforo Tracio fino all'oceano Atlantico. Con le prime lettere, che spedì dal campo della Mesopotamia, egli avea delegato il comando militare della Gallia e dell'Illirico a Malarico, prode e fedele uffiziale della nazione dei Franchi; ed al Conte Luciliano, suo suocero, che si era già segnalato per coraggio e buona condotta nella difesa di Nisibi. Malarico avea ricusato un impiego, di cui non si credeva capace, e Luciliano era stato trucidato a Reims in un accidentale ammutinamento delle coorti Batave12.

Ma la moderazione di Giovino, maestro generale della cavalleria, che seppe dimenticare il disegno della sua disgrazia, presto quietò il tumulto, e confermò i dubbiosi animi dei soldati. Fu dato e preso con leali acclamazioni il giuramento di fedeltà; e i deputati degli eserciti Occidentali13 salutarono il nuovo loro Sovrano, come scendeva dal monte Tauro verso la città di Tiana nella Cappadocia. Da Tiana continuò la sua frettolosa marcia verso Ancira, capitale della provincia di Galazia, dove Gioviano assunse, insieme col piccol suo figliuolino, il nome e le insegne del Consolato14. Dadastana15, oscura città quasi ad uguale distanza tra Ancira e Nicea, era destinata per fatale termine del viaggio e della vita di esso. Dopo una copiosa e forse intemperante cena andò a riposare, e la mattina seguente l'Imperator Gioviano fu trovato morto nel letto. In diverse maniere fu esposta la causa di quest'improvvisa morte. Alcuni la riguardarono come l'effetto d'una indigestione cagionata o dalla quantità del vino, o dalla qualità dei funghi ch'egli aveva golosamente mangiati la sera. Secondo altri, fu soffocato nel sonno dal vapore del carbone, cui trasse dalle muraglie della camera la dannosa umidità d'un intonaco fresco16. Ma la mancanza di una regolare inquisizione intorno alla morte di un Principe, il regno e la persona del quale andaron presto in obblio, sembra che fosse la sola circostanza che sostenesse i maliziosi susurri di veleno e di domestico tradimento17. Il corpo di Gioviano fu mandato a Costantinopoli per esser sepolto coi suoi predecessori; ed incontrossi per via la mesta processione da Carito sua moglie, figlia del Conte Luciliano, che tuttavia piangeva la recente morte del padre, e s'affrettava ad asciugare le lacrime fra gli abbracciamenti di un Imperiale marito. Amareggiavasi lo sconcerto ed il dolore di essa dall'ansietà della tenerezza materna. Sei settimane avanti la morte di Gioviano, il piccolo suo figlio era stato posto nella sedia curule, adornato del titolo di Nobilissimo, e delle vane insegne del Consolato. Non essendo il real fanciullo, che avea preso dall'avo il nome di Varroniano, consapevole di sua fortuna, la sola gelosia del Governo si rammentava ch'egli era figlio d'un Imperatore. Sedici anni dopo viveva ancora, ma era già stato privato d'un occhio; e l'afflitta sua madre ad ogni momento aspettava, che le fosse strappata quell'innocente vittima dalle braccia, per tranquillare col proprio sangue i sospetti del regnante Sovrano18.

Dopo la morte di Gioviano rimase il trono Romano per dieci giorni19 senza Signore. I Ministri ed i Generali continuarono ad unirsi in consiglio, ad esercitare le respettive loro funzioni, a mantener l'ordine pubblico, ed a condurre pacificamente l'esercito verso la città di Nicea nella Bitinia, che si era scelta per luogo della nuova elezione20. In una solenne adunanza delle civili e militari potestà dell'Impero, fu di nuovo concordemente offerto il diadema al Prefetto Sallustio. Egli ebbe la gloria di farne un secondo rifiuto; e quando allegate furono le virtù del padre in favore del figlio, il Prefetto con la fermezza d'un generoso patriota dichiarò agli Elettori, che la debole vecchiezza dell'uno, e l'inesperta gioventù dell'altro erano ugualmente incapaci dei laboriosi doveri del governo. Si proposero diversi candidati: e dopo ponderate le obbiezioni al carattere od alla situazione di essi, furono l'un dopo l'altro rigettati; ma tosto che venne pronunziato il nome di Valentiniano, il merito di quest'uffiziale riunì i suffragi di tutta l'assemblea, ed ottenne la sincera approvazione di Sallustio medesimo. Valentiniano21 era figliuolo del Conte Graziano, nativo di Cibali nella Pannonia, il quale da un'oscura condizione si era innalzato, mediante un'incomparabil destrezza e vigore, al comando militare dell'Affrica e della Gran Brettagna, da cui erasi ritirato con ampie ricchezze e con sospetta integrità. Il grado però ed i servigi di Graziano contribuirono a favorire i primi passi della promozione di suo figlio; e gli porsero un'opportuna occasione di spiegar quelle sode ed utili qualità, che ne sollevarono il carattere sopra l'ordinario livello dei suoi compagni soldati. Valentiniano era alto di statura, grazioso e maestoso. Il virile suo aspetto, che portava impressi alti segni di sentimento e di spirito, inspirava fiducia agli amici, ed ai nemici timore; e per secondare gli sforzi dell'indomito suo valore, il figlio di Graziano aveva ereditato i vantaggi di una forte e sana costituzione. Coll'abitudine della castità e temperanza, che raffrena gli appetiti ed invigorisce le forze, Valentiniano si mantenne la propria e la pubblica stima. Le occupazioni di una vita militare avean distratto la sua gioventù dall'eleganti ricerche della letteratura; egli ignorava la lingua Greca e le arti della Rettorica: ma siccome l'animo dell'oratore non era mai sconcertato da timida perplessità, egli era capace, ogni volta che l'occasione lo richiedeva, d'esporre i risoluti suoi sentimenti con facile ed ardita eloquenza. Le uniche leggi, che esso aveva studiato, eran quelle della marzial disciplina; e presto si distinse per la laboriosa diligenza e l'inflessibil severità, con cui adempiva e sosteneva i doveri del campo. Al tempo di Giuliano egli si espose al pericolo della disgrazia, pel disprezzo che dimostrò in pubblico verso la religion dominante22; ma dalla successiva condotta di lui parrebbe, che l'indiscreta ed inopportuna libertà di Valentiniano fosse stata l'effetto di militar baldanza, piuttosto che di uno zelo Cristiano. N'ebbe per altro il perdono, e fu sempre impiegato da un Principe che stimava il suo merito23; e nei vari successi della guerra Persiana egli accrebbe quella riputazione, che erasi già acquistato sulle rive del Reno. La prestezza e felicità, con cui eseguì un'importante commissione, gli aprì l'adito al favor di Gioviano ed all'onorevol comando della seconda scuola, o compagnia dei Targettieri, o sia delle guardie domestiche. Nel marciar che faceva da Antiochia, era giunto ai suoi quartieri d'Ancira, quando gli fu inaspettatamente significato, senz'arte o intrigo veruno, d'assumere nel quarantesimo terzo anno della sua età, l'assoluto governo del Romano Impero.

L'invito dei Ministri e dei Generali a Nicea sarebbe stato di poco rilievo, se non si fosse confermato dalla voce dell'esercito. Il vecchio Sallustio, che aveva frequentemente osservate le irregolari fluttuazioni delle adunanze popolari, propose che nissuna di quelle persone, la cui militar dignità poteva eccitare un partito in loro favore, comparisse in pubblico, sotto pena di morte, nel giorno dell'inaugurazione. Pure tanto prevalse l'antica superstizione, che a questo pericoloso intervallo volontariamente s'aggiunse tutto un giorno, perchè in esso appunto cadeva l'intercalazione dell'anno bisestile24. Finalmente, quando si suppose che l'ora fosse propizia, Valentiniano comparve sopra un alto Tribunale; fu applaudita la giudiziosa elezione; ed il nuovo Principe venne solennemente adornato del diadema e della porpora in mezzo alle acclamazioni delle truppe, che eran disposte in ordine di guerra intorno al Tribunale. Ma stendendo egli la mano per parlare all'armata moltitudine, ad un tratto eccitossi un ansioso mormorio nelle file, che appoco appoco scoppiò in un alto ed imperioso grido, ch'ei nominasse immediatamente un collega nell'Impero. La intrepida tranquillità di Valentiniano ottenne silenzio ed impose rispetto. Egli così parlò all'assemblea: «Pochi momenti fa, o miei compagni soldati, era in vostro potere di lasciarmi nell'oscurità di una condizione privata. Giudicando dalla testimonianza della passata mia vita, che io meritassi di regnare, mi avete posto sul trono. Adesso è mio dovere di provvedere alla salute ed al vantaggio della Repubblica. Il peso dell'Universo è troppo grande, senza dubbio, per le mani d'un debol mortale. Io so quali sono i limiti delle mie forze e l'incertezza della mia vita; e lungi dallo sfuggire, io sono ansioso di sollecitare l'aiuto di un degno collega. Ma dove la discordia può esser fatale, la scelta di un fedele amico richiede una matura e seria deliberazione. Di questo io avrò cura. La vostra condotta sia fedele e costante. Ritiratevi ai vostri quartieri; rinfrescate gli spiriti ed i corpi; ed attendete il solito donativo in occasione dell'innalzamento al trono d'un nuovo Imperatore25». Le attonite truppe con una mescolanza d'orgoglio, di soddisfazione e di terrore ubbidirono alla voce del loro Signore. Le ardenti lor grida si convertirono in una tacita riverenza; e Valentiniano, circondato dalle aquile delle legioni e dalle diverse bandiere della cavalleria e della infanteria, fu condotto con pompa militare al palazzo di Nicea. Siccome però conosceva l'importanza di prevenire qualche imprudente dichiarazion de' soldati, consultò l'assemblea de' suoi capitani, e furono brevemente espressi i veri lor sentimenti dalla generosa libertà di Dagalaifo: «Ottimo Principe» (disse questo uffiziale) «se avete riguardo solo alla vostra famiglia, voi avete un fratello; ma se amate la Repubblica, cercate il più meritevole fra i Romani26». L'Imperatore, che soppresse il dispiacere senza alterare la sua intenzione, s'avanzò lentamente da Nicea verso Nicomedia o Costantinopoli. In uno dei sobborghi di quella capitale27

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