A. 395
Con Teodosio spirò il genio di Roma, poichè fu esso l'ultimo dei successori d'Augusto e di Costantino, che conducesse in campo gli eserciti e vedesse la sua autorità riconosciuta per tutta l'estensione dell'Impero. La memoria però delle sue virtù continuò tuttavia a difendere la debole ed inesperta età dei suoi figli. Dopo la morte del padre, Arcadio ed Onorio furono per unanime consenso del Mondo salutati come Imperatori legittimi dell'Oriente e dell'Occidente; fu ardentemente preso il giuramento di fedeltà da ogni ordine dello Stato, dai Senati dell'antica e della nuova Roma, dal Clero, dai Magistrati, da' Soldati e dal Popolo. Arcadio, che in quel tempo aveva l'età di circa diciotto anni, era nato in Ispagna nell'umile abitazione di una privata famiglia. Ma ricevè un'educazione principesca nel Palazzo di Costantinopoli; e passò l'ignobil sua vita in quella pacifica e splendida sede della real dignità, dalla quale pareva che regnasse sulle Province della Tracia, dell'Asia Minore, della Siria e dell'Egitto, dal Basso Danubio sino ai confini della Persia e dell'Etiopia. Onorio, fratello minore di lui, assunse, all'età d'undici anni, solo di nome il governo dell'Italia, dell'Affrica, della Gallia, della Spagna e della Britannia; e le truppe, che guardavano le frontiere del suo regno, s'opponevano ai Caledonj da una parte, ed ai Mori dall'altra. La grande e marzial Prefettura dell'Illirico restò divisa fra' due Principi: la difesa ed il possesso delle Province del Norico, della Pannonia e della Dalmazia sempre appartennero all'Impero Occidentale; ma le due vaste Diocesi della Dacia e della Macedonia, che Graziano aveva affidate al valor di Teodosio, furono per sempre unite all'Impero d'Oriente. I loro confini in Europa non eran molto diversi da quelli che ora separano i Germani dai Turchi, ed in quest'ultima e permanente divisione del Romano Impero furono ben bilanciati e compensati i rispettivi vantaggi del territorio, delle ricchezze, della popolazione e della forza militare. Parve che Io scettro ereditario dei figli di Teodosio fosse un dono della natura, e del padre loro; i Generali ed i Ministri erano assuefatti ad adorar la maestà dei reali fanciulli; e l'esercito ed il popolo non erano avvertiti dei loro diritti e del lor potere dal pericoloso esempio di una recente elezione. La scoperta, che appoco appoco si fece della debolezza d'Arcadio o d'Onorio, e le replicate calamità del lor Regno non furon bastanti a cancellare le profonde ed antiche impressioni della fedeltà. I sudditi Romani, che sempre venerarono le persone, o piuttosto i nomi dei loro Principi, riguardarono con uguale abborrimento i ribelli, che si opposero all'autorità del Trono, ed i ministri che ne abusarono.
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Teodosio aveva oscurato la gloria del suo Regno coll'elevazion di Ruffino, odioso favorito, che in un secolo di civile e religiosa fazione ha meritato da tutte le parti l'imputazione d'ogni delitto. Il forte impulso dell'ambizione e dell'avarizia1 aveva tratto Ruffino ad abbandonare il suo paese natìo, oscuro angolo della Gallia2, per avanzare la sua fortuna nella Capital dell'Oriente: il talento di un'ardita e facile elocuzione3 l'abilitò a riuscire nella lucrosa profession della legge; ed il buon successo, ch'egli ebbe in tal professione, lo fece regolarmente passare agl'impieghi più onorevoli ed importanti dello Stato. Fu egli a grado a grado innalzato fino al posto di Maestro degli Uffizi. Nell'esercizio delle sue varie funzioni, tanto essenzialmente connesse con tutto il sistema del governo civile, acquistò la confidenza di un Monarca, che presto conobbe la sua diligenza e capacità negli affari, e che rimase lungo tempo nell'ignoranza dell'orgoglio, della malizia e dell'avidità, a cui esso era disposto. Si nascondevano questi vizi sotto la maschera di una grandissima dissimulazione4; le passioni di lui non servivano che a quelle del suo Signore: pure nell'orrida strage di Tessalonica il crudel Ruffino infiammò il furore, senz'imitare il pentimento di Teodosio. Il Ministro, che rimirava con altiera indifferenza il resto dell'uman genere, non perdonò mai neppure l'apparenza di un'ingiuria; ed i suoi personali nemici avevan perduto secondo lui il merito di tutti i servigi pubblici. Promoto, Generale dell'infanteria, avea salvato l'Impero dall'invasione degli Ostrogoti; ma di mal animo soffriva la superiorità di un rivale, di cui sprezzava la professione e il carattere; e l'impaziente soldato in mezzo ad una pubblica assemblea fu provocato a punir con un colpo l'indecente orgoglio del favorito. Si rappresentò all'Imperatore quest'atto di violenza come un insulto, che alla sua dignità toccava di castigare. Si seppe la disgrazia e l'esilio di Promoto per mezzo di un ordine perentorio di portarsi senza dilazione ad un quartier militare sulle rive del Danubio; e la morte di quel Generale (quantunque restasse ucciso in una scaramuccia coi Barbari) fu imputata alle perfide arti di Ruffino5. Il sacrifizio di un Eroe soddisfece la sua vendetta; gli onori del Consolato elevaron la sua vanità; ma la sua potenza era sempre imperfetta e precaria; finattantochè gli importanti posti di Prefetto dell'Oriente e di Prefetto di Costantinopoli furon occupati da Taziano6 a da Procolo suo figlio; l'autorità unita dei quali bilanciò per qualche tempo l'ambizione e il favore del Maestro degli Uffizi. I due Prefetti furono accusati di rapina e di corruzione nell'amministrazione della giustizia e delle finanze. L'Imperatore costituì una speciale deputazione per fare il processo di quest'illustri delinquenti; furono eletti vari giudici ad aver parte nel delitto e nel rimorso dell'ingiustizia, ma il diritto di pronunziar la sentenza fu riservato al solo Presidente, e questi fu Ruffino medesimo. Il padre, spogliato della Prefettura dell'Oriente, fu cacciato in una prigione; ma il figlio, sapendo che pochi sono i ministri che si possano trovare innocenti, allorchè un nemico è loro giudice, era segretamente fuggito; e Ruffino avrebbe dovuto contentarsi della vittima meno colpevole, se il dispotismo non si fosse piegato ad usare il più basso e vile artifizio. Il processo fu fatto con tale apparenza d'equità e di moderazione, che lusingò Taziano della speranza di un favorevole evento; la sua fiducia s'accrebbe per le solenni assicurazioni ed i perfidi giuramenti del Presidente, che ardì mescolarvi il sacro nome di Teodosio medesimo, e l'infelice padre s'indusse finalmente a richiamare con una privata lettera il fuggitivo Procolo. Questi fu immediatamente arrestato, sottoposto all'esame, condannato e decapitato in uno dei sobborghi di Costantinopoli con una precipitazione che sconcertò la clemenza dell'Imperatore. Senza rispettar le disgrazie di un Senator Consolare, i crudeli giudici di Taziano lo costrinsero a rimirare l'esecuzione del suo figlio: era già stata posta al collo di lui stesso la corda fatale: ma nel momento, in cui aspettava, e forse desiderava il sollievo di una pronta morte, gli fu permesso di passare il misero avanzo di sua vecchiezza nella povertà e nell'esilio7. La pena dei due Prefetti si poteva per avventura scusare con le parti riprensibili di lor condotta; poteva palliarsi l'inimicizia di Ruffino con la gelosa ed insociabil natura dell'ambizione. Ma egli si lasciò trasportare da uno spirito di vendetta ugualmente contrario alla prudenza, che alla giustizia, quando tolse al natìo loro paese di Licia il grado di provincia Romana; notò un innocente popolo di una marca d'ignominia; e dichiarò che i concittadini di Taziano e di Procolo dovessero per sempre restare incapaci di godere alcun impiego d'onore o vantaggio sotto il governo Imperiale8. I più rei fatti però non impedivano al nuovo Prefetto dell'Oriente (poichè Ruffino immediatamente successe agli onori vacanti del suo avversario) di eseguire quei religiosi doveri, che in quel tempo si risguardavano come più essenziali per la salute. Aveva fabbricato nel sobborgo di Calcedonia, chiamato la Quercia, una magnifica villa, alla quale aveva devotamente aggiunto una splendida Chiesa consacrata agli Apostoli S. Pietro e S. Paolo, e continuamente santificata dalle preghiere e dalla penitenza di una regolare società di Monaci. Si convocò un numeroso e quasi general concilio dei Vescovi dell'Impero Orientale per celebrare nel medesimo tempo la dedicazion della Chiesa ed il Battesimo del Fondatore. Si fece questa doppia ceremonia con pompa straordinaria; e quando Ruffino fu purgato nel sacro fonte da tutte le colpe, che aveva fin allora commesse, un venerabil eremita dell'Egitto imprudentemente si presentò per mallevadore di un altiero ed ambizioso politico9.
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Il carattere di Teodosio obbligò il suo Ministro all'ipocrisia, che mascherò, ed alle volte impedì l'abuso del potere; e Ruffino temeva di sturbare l'indolente sonnolenza di un Principe tuttavia capace di far uso dell'abilità e della virtù, che innalzato l'avevano al trono10. Ma l'assenza, e poco dopo, la morte dell'Imperatore confermò l'assoluta autorità di Ruffino sulla persona e gli stati d'Arcadio, giovane debole, che l'orgoglioso Prefetto considerava come suo pupillo, piuttosto che suo Sovrano. Non curando la pubblica fama, soddisfaceva egli le proprie passioni senza rimorso e senza resistenza; ed il maligno e rapace suo spirito rigettava qualunque passione che avesse potuto contribuire alla propria gloria, o alla pubblica felicità. L'avarizia di lui,11 che sembra esser prevalsa nella corrotta sua mente sopra ogni altro sentimento, tirò a sè la ricchezza dell'Oriente per mezzo dei varj artifizj di una particolar e general estorsione, come di tasse oppressive, di scandalose corruzioni, di smoderate pene pecuniarie, d'ingiuste confiscazioni, di testamenti forzati o fittizi, coi quali il Tiranno spogliava i figli degli stranieri o dei suoi nemici della lor legittima eredità; e per mezzo della pubblica vendita della giustizia e del favore; infame traffico ch'ei stabilì nel palazzo di Costantinopoli. L'ambizioso candidato a spese della miglior parte del suo patrimonio ardentemente sollecitava gli onori ed i vantaggi di qualche provinciale governo; s'abbandonavano al più liberal compratore le vite ed i beni dell'infelice popolo; e la pubblica scontentezza alle volte veniva quietata dal sacrificio d'un delinquente non popolare, di cui la pena era sol vantaggiosa al Prefetto dell'Oriente, complice e giudice di esso ad un tempo. Se l'avarizia non fosse la più cieca fra le umane passioni, i motivi di Ruffino potrebbero eccitar la nostra curiosità; e saremmo tentati a cercare per qual fine violasse ogni principio d'umanità e di giustizia onde accumular quegl'immensi tesori, che egli non poteva spendere senza follia, nè possedere senza pericolo. Forse vanamente s'immaginava d'affaticarsi per l'utilità d'una sua figlia unica, alla quale aveva intenzione di dare in isposo il suo real pupillo, e l'augusto grado d'Imperatrice dell'Oriente. S'ingannò forse coll'opinione, che l'avarizia fosse l'istrumento della sua ambizione. Aspirava egli a stabilire la sua fortuna sopra una base indipendente e sicura, che non fosse più sottoposta al capriccio del giovane Imperatore; pure trascurò di conciliarsi la benevolenza de' soldati e del popolo mediante una generosa distribuzione di quelle ricchezze, che aveva acquistate con tanta fatica e con tante colpe. L'estrema parsimonia di Ruffino non gli lasciò che il rimprovero e l'invidia d'una male acquistata dovizia; i suoi domestici lo servivano senz'affezione; e l'odio universale dell'uman genere non era frenato che dall'influenza d'un timore servile. Il destino di Luciano mostrò all'Oriente, che il Prefetto, l'industria del quale era molto diminuita nella spedizione degli ordinari negozj, era instancabile ed attivo nel procurar la vendetta. Luciano, figlio del Prefetto Florenzio, oppressor della Gallia e nemico di Giuliano, aveva impiegato una parte considerabile del suo patrimonio, frutto della rapina e della corruzione, a comprar l'amicizia di Ruffino e l'alto uffizio di Conte dell'Oriente. Ma il nuovo Magistrato imprudentemente abbandonò le massime della Corte e di quel tempo, disonorò il suo benefattore col contrasto d'una virtuosa e moderata amministrazione, e pretese di ricusar di fare un atto d'ingiustizia, che avrebbe potuto tendere al vantaggio dello zio dell'Imperatore. Arcadio facilmente fu persuaso a punire il supposto insulto; ed il Prefetto dell'Oriente risolvè di eseguire in persona la crudel vendetta, che meditava contro quell'ingrato ministro del suo potere. Fece con gran fretta il viaggio di sette o ottocento miglia da Costantinopoli ad Antiochia, entrò in tempo di notte nella capital della Siria, e sparse una costernazione universale nel popolo, che non sapeva il disegno di lui, ma ne conosceva l'indole. Il Conte delle quindici Province dell'Oriente fu tratto, come il più vil malfattore, avanti all'arbitrario tribunal di Ruffino. Non ostante la più chiara evidenza della sua integrità, che non fu alterata neppur dalla voce d'un accusatore, Luciano fu condannato, quasi senza processo, a soffrire una crudele ed ignominiosa pena. I Ministri del tiranno, per ordine ed in presenza di esso, lo batteron sul collo con strisce di cuoio armate di piombo; e quando per la violenza del tormento incominciava a mancare, fu chiuso in una lettiga, ed allontanato per nascondere le sue agonie di morte agli occhi della sdegnata città. Appena ebbe Ruffino eseguito quest'atto inumano, che era l'unico oggetto della sua spedizione, tornò fra le segrete e profonde maledizioni d'un tremante popolo da Antiochia a Costantinopoli; e fu accelerata la sua diligenza dalla speranza di celebrar senza dilazione le nozze della sua figlia coll'Imperator dell'Oriente12.
Ma Ruffino sperimentò ben presto, che un prudente Ministro dovrebbe assicurarsi costantemente del reale suo schiavo per mezzo della forte, quantunque invisibile, catena dell'abitudine; e che il merito, e molto più facilmente il favore dell'assente si cancella in breve tempo dalla mente d'un capriccioso e debol Sovrano. Mentre il Prefetto soddisfaceva in Antiochia la sua vendetta, una segreta cospirazione degli eunuchi favoriti, diretta da Eutropio gran Ciamberlano, rovinava i fondamenti del suo potere nel palazzo di Costantinopoli. Scuoprirono essi, che Arcadio non era inclinato ad amare la figlia di Ruffino, che senza suo consenso gli si era destinata per moglie, e pensarono di sostituire in luogo di lei la bella Eudossia, figlia di Bautone13, Generale de' Franchi al servizio di Roma, la quale, dopo la morte del padre, era stata educata nella famiglia de' figli di Promoto. Il giovane Imperatore, di cui si era diligentemente guardata la castità dalla pia cura d'Arsenio suo tutore14, prestò ardentemente orecchio alle artificiose e lusinghiere descrizioni delle grazie d'Eudossia; ne vide con impaziente ardore il ritratto; e conobbe la necessità di nascondere i suoi amorosi disegni ad un Ministro, che era sì altamente interessato ad opporsi all'esecuzione della sua felicità. Poco dopo il ritorno di Ruffino, fu annunciata la prossima cerimonia delle nozze reali al popolo di Costantinopoli che preparavasi a celebrare con false e finte acclamazioni la fortuna della figlia di esso. Uscì dalle porte del palazzo nella matrimonial pompa uno splendido corteggio di eunuchi e di uffiziali, che portavano alto il diadema, le vesti, ed i preziosi ornamenti della futura Imperatrice. Passò la solenne processione per le contrade della città, che erano adornate di ghirlande, e piene di spettatori; ma quando giunse alla casa dei figli di Promoto, il principal eunuco v'entrò rispettosamente, vestì la bella Eudossia degli abiti Imperiali, e la condusse in trionfo al palazzo e al letto d'Arcadio15
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