Origine, e dottrina dei Paoliziani. Persecuzioni che soffersero dagli imperatori greci. Loro ribellione in Armenia ec. Migrazione nella Tracia. Dottrina de' medesimi propagata in Occidente. Germi, caratteri e conseguenza della Riforma.
Il Cristianesimo avea presa l'indole delle nazioni presso le quali a mano a mano allignò. I nativi della Sorìa e dell'Egitto all'indolenza di una divozione contemplativa si abbandonavano: Roma cristiana volea tuttavia governar l'Universo; mentre, discussioni di teologia metafisica, occupavano lo spirito e la loquacità de' popoli della Grecia. In vece di adorar silenziosi gl'incomprensibili misteri della Trinità, o della Incarnazione, si diedero ad agitare con calore sottili controversie che dilatarono la loro Fede, a scapito forse della carità, e della ragione1. Incominciando dai giorni del Concilio di Nicea, e venendo sino alla fine del settimo secolo, le guerre spirituali turbarono la pace e l'unità della Chiesa; e tanto operarono sulla decadenza, e la rovina dell'Impero che tale circostanza mi ha anche troppo spesso costretto a tener dietro ai Concilj, ad esaminare i simboli, ad enumerare le Sette di questo burrascoso periodo degli ecclesiastici Annali. Dopo lo incominciamento dell'ottavo secolo, e fino agli ultimi giorni dell'Impero di Costantinopoli, il rumore delle controversie si fece udir più di rado. Sazia era la curiosità, stanco lo zelo, e i decreti di sei Concilj aveano immutabilmente determinati gli articoli del Simbolo cattolico. Lo spirito della disputa, comunque frivolo e pernicioso esser si possa, abbisogna almeno di una certa energia, e tiene operose alcune facoltà intellettuali; ma i Greci avviliti si contentavano, in que' giorni, di digiunare, di orare, e di obbedir ciecamente al loro Patriarca, e al loro clero. La Vergine, e i Santi, le reliquie e le immagini, i miracoli e le visioni, divennero il solo argomento delle prediche de' frati e della divozione del popolo; e sotto nome di popolo possiamo qui senza ingiustizia comprendere le classi primarie della società. Gl'Imperatori della Isaurica dinastia che si accinsero a scotere da questo letargo i loro sudditi, scelsero cattivo istante, e temperamenti aspri anzi che no; e se anche la ragione fece in quel tempo alcuni proseliti2, molto maggior numero l'interesse, o il timore ne soggiogò: ma l'Oriente difese, o sospirò le sue Immagini un'altra volta, e la loro restaurazione, qual festa trionfale, dell'Ortodossia fu celebrata: in tai giorni di sommessione passiva e uniforme, i Capi della Chiesa si trovarono sciolti dalle molestie, o vogliam dire, privi dei diletti della superstizione. Spariti erano i Pagani; nel silenzio e nella oscurità giaceansi gli Ebrei: le dispute coi Latini, divenute meno frequenti, si riduceano a lontane ostilità contra un nazionale nemico, intanto che le Sette dell'Egitto, e della Sorìa godevano i vantaggi della tolleranza all'ombra dell'arabo califfato3. Verso la metà del settimo secolo, la tirannide spirituale elesse a vittime i Paoliziani4, la dottrina de' quali è un ramo di Manicheismo; e ridotta a stremo la loro pazienza, e spinti alla disperazione che li fece ribelli, si sparsero nell'Occidente, ove per ogni banda i germi della Riforma diffusero. Siami permesso, attesa l'importanza di tali avvenimenti, l'entrare in alcune particolarità sulle dottrine e la storia de' Paoliziani5; e poichè questi non sono in istato più di difendersi, mi sia parimente lecito, per servire alla imparzialità, e alla buona fede, il mettere in aperto tutto il bene, l'attenuare il male che gli avversarj loro ne dissero.
I Gnostici che turbata aveano l'infanzia del Cristianesimo, soggiacquero finalmente al peso della potenza e della autorità della Chiesa. Lungi dal pareggiare, o superare i cattolici in ricchezze, sapere, e numero, i deboli partigiani che conservava ancor questa Setta, scacciati dalle Capitali dell'Oriente, e dell'Occidente, confinati vennero ne' villaggi e per mezzo ai monti situati presso l'Eufrate. Il quinto secolo ne offre alcune vestigia di Marcioniti6, ma tutti i settarj furono compresi per ultimo sotto la sola denominazione di Manichei; eretici che essendosi attentati a voler conciliare le dottrine di Zoroastro, e di Cristo, da entrambe le Religioni una persecuzione del pari accanita patirono. Durante il regno del pronipote di Eraclio, ne' dintorni di Samosato, più celebre per essere stata patria di Luciano, che per l'onore di aver dato il suo nome ad un regno della Sorìa, apparve un riformatore, che i suoi discepoli, i Paoliziani, considerarono bentosto qual missionario eletto dal cielo per annunziare la verità, e degno della confidenza degli uomini. Cotesto riformatore, di nome Costantino, avea ricettato nella sua modesta abitazione di Mananali un diacono che ritornava dalla Sorìa, ov'era stato prigioniero; e ne ebbe in dono il Nuovo Testamento, dono tanto più da apprezzarsi che riguardi prudenziali del clero greco, e forse anche de' gnostici Sacerdoti, già nascondeano con grande cura agli occhi de' volgari questi volumi7. A tale lettura si limitarono gli studj di Costantino che ne fece regola di sua credenza; e gli stessi Cattolici, comunque impugnino le interpretazioni da esso date alle sacre carte, non gli negano di avere citati i testi nella loro purezza ed autenticità. Ma le cose, alle quali in siffatto studio volse l'animo più intensamente, furono gli scritti, e gli atti della vita di S. Paolo. I nemici della setta de' Paoliziani fondata dal ridetto Costantino, fanno derivare il nome della medesima, da qualcuno degli oscuri uomini che la predicarono; ma ho per fermo che tal nome i Paoliziani assumessero, come gloriosa testimonianza della loro divozione all'Appostolo dei Gentili. Costantino e i suoi alunni rappresentavano, diceano essi, Tito, Timoteo, Silvano, Tichico, primi discepoli di S. Paolo, e imposero alle Congregazioni che nell'Armenia, e nella Cappadocia instituirono, i nomi delle chiese edificate dagli Appostoli; innocente allusione che riaccese la ricordanza e l'esempio delle prime età della Chiesa. Questo fedele discepolo di S. Paolo, così nelle Epistole di esso come nell'Evangelio, si fe' a rintracciare il Simbolo de' primi cristiani; e qualunque sia stato il frutto di tali indagini, ogni protestante applaudirà, se non altro, alla intenzione che le suggerì. Ma se il testo delle Scritture seguìto dai Paoliziani avea il pregio di essere puro, altrettanto intero non potea dirsi. I lor primi dottori non ammettevano le due Epistole di S. Pietro, riguardandolo come l'appostolo della Circoncisione8, e accusandolo di avere difesa contra il loro appostolo favorito l'osservanza della legge mosaica.9 Pari ai Gnostici disprezzavano tutti i libri dell'Antico Testamento, senza por mente che quelli di Mosè e de' Profeti erano stati consacrati dai decreti della Chiesa cattolica. Con non minore ardimento, e senza dubbio, con maggior ragione, Costantino, il nuovo Silvano, rigettava quelle visioni cui pubblicarono in sì pomposi, ed enormi volumi le Sette orientali; que' favolosi componimenti10 de' Patriarchi ebrei, e de' saggi dell'oriente, quegli Evangelj, quelle epistole, e quegli atti supposti, sotto de' quali nel primo secolo della chiesa, il codice ortodosso andava sepolto; nè facea grazia alla teologia di Manete, nè alle eresie che a questa si riferivano, nè alle trenta classi di Eoni, dalla fertile immaginazione di Valentino creati. I Paoliziani riprovavano con tutta sincerità la memoria, e le opinioni de' Manichei: onde doleansi della ingiustizia de' loro avversarj, nell'attribuire una sì lodevole denominazione ai discepoli di S. Paolo, e di Gesù Cristo.
I Capi de' Paoliziani rompendo molte anella della catena ecclesiastica, si erano fatti più liberi col ridurre a meno il numero de' padroni che la profana ragione alla voce de' misteri e de' miracoli sottomettevano. La setta de' Gnostici era nata prima che si professasse pubblicamente il culto cattolico, e, oltre al silenzio di S. Paolo, e degli Evangelisti, la consuetudine e l'odio preservarono i Paoliziani dalle innovazioni, che, a poco a poco, nella disciplina, e nella dottrina della Chiesa allignarono11. Essi pensavano veder sotto forma verace quegli oggetti, che, in lor sentenza, la sola superstizione aveva disfigurati. In una immagine che diceasi scesa dal cielo, essi non iscorgeano se non se il lavoro di un uomo, il cui solo ingegno potea dar valore al legno, o alla tela che egli avea posta in opera; nelle reliquie miracolose, ossa e ceneri inanimate, prive di virtù, e forse non mai appartenute alla persona cui venivano attribuite; la vera croce, l'albero della vita, non era, ad avviso loro, che un pezzo, o sano, o guasto, di legno; il corpo, e il sangue di Gesù Cristo, un minuzzolo di pane, e una tazza di vino12, dono della natura, e simbolo della Grazia. Essi toglievano alla madre di Dio i suoi celesti onori, la sua immacolata verginità13, nè davano ai Santi, o agli angeli l'incarico di farsi mediatori per essi nel cielo, o di soccorrerli sulla Terra. Nella amministrazione de' Sacramenti voleano aboliti gli oggetti visibili di culto, e le parole del Vangelo, secondo essi, non additavano che il battesimo e la comunione de' fedeli. Liberissimi nell'interpretare le scritture, ogni qualvolta il significato letterale impacciavali, si rifuggivano ne' labirinti delle figure e dell'allegoria. Molta cura dimostrarono di infrangere i vincoli posti fra l'Antico, e il Nuovo Testamento14, e riguardando il secondo come la raccolta degli oracoli di Dio, abborrivano il primo, divulgandolo invenzion favolosa ed assurda degli uomini, o dei demonj. Non può recarne maraviglia che essi scorgessero nel Vangelo, il mistero ortodosso della Trinità; ma invece di confessare la natura umana, e i patimenti reali di Gesù Cristo, la costoro immaginazione si dilettava creargli un corpo celeste che si fosse fatto strada per quel della Vergine, siccome l'acqua attraversa un condotto. Un fantoccio sostituito al Redentore sopra una croce, giusta l'opinione di questi settarj, mandò a vuoto il furor degli Ebrei. Un simbolo di tal natura non conveniva nè meno allo spirito ne' tempi d'allora15, e que' medesimi fra i Cristiani che lamentavano non essere le dottrine religiose ristrette al mite giogo imposto da Gesù Cristo e da' suoi Appostoli, giustamente si offesero che i Paoliziani osassero violare l'unità di Dio, primo articolo della Religion naturale e della Religion rivelata. Perchè comunque i Paoliziani credessero con fiducia e speranza il Padre, il Cristo, l'anima umana e il mondo invisibile, supponeano ad un tempo l'eternità della materia, sostanza ostinata e ribelle, origine di un secondo Principio, di un ente operante, creatore del mondo visibile, e che userà della sua possanza temporale, fino alla consumazione definitiva della morte e del peccato16. L'esistenza del mal morale, e del male fisico, avea introdotti questi due principj nella filosofia, e nelle religioni antiche dell'Oriente, d'onde una tale dottrina fra le varie Sette de' Gnostici s'era diffusa. Vennero intorno ad Arimane ideate tante opinioni diverse, quante gradazioni è lecito il fantasticare, fra la natura di un dio rivale dell'altro, e quella di un demonio subordinato; fra l'indole di un ente vinto dalla passione, o dalla fragilità, e quella di un ente per propria essenza malvagio; ma a malgrado d'ogni umano sforzo, la bontà e la potenza di Ormuzd, trovavansi alla contraria estremità della linea, e quanto avvicinavasi all'uno de' due enti, dovea scostarsi dall'altro nelle proporzioni medesime17.
Le fatiche appostoliche18 di Costantino Silvano gli moltiplicarono ben tosto i discepoli, segreto compenso alla sua spirituale ambizione. Sotto lo stendardo di lui si raccolsero gli avanzi delle Sette gnostiche, e principalmente i Manichei dell'Armenia. Convertì, o sedusse co' suoi argomenti molti Cattolici, e predicò con buon successo nelle contrade del Ponto19 e della Cappadocia, da lungo tempo imbevutesi della religione di Zoroastro. I dottori Paoliziani, paghi di un soprannome tratto dalle Scritture, e del titolo modesto di compagni di pellegrinaggio, distinti per austerità di costumi, per zelo o sapere, ed anche per la fama che godevano di avere ricevuti i doni dello Spirito Santo, ma incapaci di desiderare e di ottenere le ricchezze e gli onori dei prelati ortodossi, ne censuravano amaramente le anticristiane vanità, riprovando persino la denominazione di anziani, o di sacerdoti, come istituzione della Sinagoga. La nuova Setta si dilatò grandemente nelle province dell'Asia Minore, situate al levante dell'Eufrate. Sei principali Congregazioni della medesima rappresentavano le chiese alle quali S. Paolo indiritte avea le sue epistole. Silvano pose la sua dimora nei dintorni di Colonia20, in quella parte del Ponto che rendettero parimente famosa gli altari di Bellona21 e i miracoli di S. Gregorio2223. Qui venne fuggendo il governo tollerante degli Arabi e qui, dopo ventisette anni di predicazione, perì vittima della persecuzione de' Romani. Que' devoti imperatori, che di rado aveano proscritte le vite d'altri eretici meno odiosi di questi, condannarono senza misericordia la dottrina, gli scritti e le persone dei Montanisti e de' Manichei. Consegnati alle fiamme i lor libri, chiunque osò conservarne o professare le opinioni che vi si racchiudevano, a ignominiosa morte fu condannato24
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На этой странице вы можете прочитать онлайн книгу «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11», автора Эдварда Гиббона. Данная книга имеет возрастное ограничение 12+, относится к жанру «Зарубежная старинная литература».. Книга «Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11» была издана в 2017 году. Приятного чтения!
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