Читать книгу «Prima Che Aneli» онлайн полностью📖 — Блейка Пирс — MyBook.
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CAPITOLO UNO

La vita di Mackenzie White si era trasformata in qualcosa che non si sarebbe mai immaginata. Non le era mai importato di vestire alla moda o di essere popolare. Nonostante fosse notevolmente bella secondo la maggior parte delle persone, non era mai stata una di quelle che suo padre amava definire “ragazze spocchiose”.

Eppure, era proprio così che si sentiva negli ultimi tempi. Diede la colpa ai preparativi per il matrimonio, a tutti quegli assaggi di torte e alle riviste specializzate. Svolazzava da una potenziale location all’altra, ordinava inviti elaborati, non riusciva a decidersi sul menù: insomma, in tutta la sua vita non si era mai sentita tanto vicina allo stereotipo femminile.

Proprio per questo, provò una sensazione di tranquillità quando prese in mano la familiare nove millimetri. Era come ritrovare un vecchio amico che conosceva la sua vera natura. Mackenzie sorrise ed entrò nella nuova area di simulazione e tiro del Bureau. Basata sulla stessa idea della famigerata Hogan’s Alley – un centro di addestramento progettato per avere l’aspetto di un comune quartiere urbano e utilizzata dall’FBI fin dalla fine degli anni ’80 – la nuova arena vantava attrezzature all’avanguardia e nuovi ostacoli, che quasi nessuno tra gli agenti e i tirocinanti aveva ancora avuto modo di provare. Una delle novità era costituita da bersagli robotizzati dotati di luci a infrarossi che funzionavano come il gioco laser tag. Se Mackenzie non avesse abbattuto il bersaglio abbastanza velocemente, il laser l’avrebbe colpita, facendo scattare un allarme sul giubbotto che indossava.

Le tornò in mente che Ellington l’aveva definita la versione del Bureau di American Ninja Warrior. Per come la vedeva Mackenzie, non ci era andato poi così lontano. Alzò lo sguardo verso la luce rossa nell'angolo dell’ingresso, in attesa. Appena divenne verde, Mackenzie non perse un solo istante.

Entrò nell’arena e subito si mise a cercare bersagli. Il modo in cui quel luogo era stato allestito ricordava un videogioco, con i bersagli che spuntavano da ogni angolo, da dietro ostacoli e persino dal soffitto. Erano agganciati a bracci robotizzati che restavano invisibili e, a quanto aveva capito Mackenzie, non lanciavano mai i bersagli nella stessa sequenza. Questo significava che quella, che era per lei la seconda volta, sarebbe stata una sessione completamente nuova e diversa dalla precedente.

Aveva fatto appena due passi, quando un bersaglio spuntò fuori da dietro una cassa posizionata strategicamente. Mackenzie lo abbatté con un colpo della sua nove millimetri, poi immediatamente proseguì in cerca di altri. Stavolta ne spuntò uno dal soffitto, ed era piccolo come una palla da softball. Mackenzie piazzò un proiettile esattamente al centro, e nello stesso istante un altro bersaglio si avvicinò da destra. Abbattuto anche quello, proseguì nella stanza.

Dire che trovava tutto quello catartico era un eufemismo. Anche se non era infastidita dai preparativi per le nozze, né dalla direzione che stava prendendo la sua vita, trovava comunque liberatorio potersi muovere seguendo l’istinto in reazione a situazioni intense. Ormai erano quattro mesi che Mackenzie non prendeva parte ad un caso attivo; si era invece concentrata sulle ultime pratiche riguardanti il caso di suo padre e, naturalmente, sull’imminente matrimonio con Ellington.

In quello stesso periodo aveva anche ottenuto una specie di promozione. Era ancora sotto McGrath e doveva fare rapporto direttamente a lui, ma era anche diventata il suo agente di riferimento. Era anche parte del motivo per cui non lavorava attivamente su nessun caso da quasi quattro mesi: McGrath era ancora intento a decidere quale dovesse essere il suo ruolo tra gli agenti che erano sotto la sua ala.

Mackenzie proseguì la sessione di allenamento quasi come un automa programmato specificamente per quello. I suoi movimenti erano fluidi e rapidi, la mira infallibile, e correva da una parte all’altra senza esitazioni. Se non altro, quei quattro mesi in cui era rimasta bloccata alla scrivania l’avevano motivata ancora di più a intraprendere quel tipo di allenamenti. Una volta tornata sul campo, aveva tutta l’intenzione di essere un agente migliore di quella che era quando aveva risolto il caso di suo padre.

Giunse in fondo all’arena senza quasi accorgersi di aver finito. Sulla parete davanti a sé trovò una grande porta metallica. Quando oltrepassò la linea gialla sul pavimento, la porta si richiuse. Entrò quindi in uno stanzino dove si trovavano un tavolo e un monitor sulla parete. Sullo schermo c’erano i suoi risultati: diciassette bersagli abbattuti su diciassette. Nove colpi erano centri perfetti. La valutazione complessiva della sua sessione era ottantanove percento; il cinque percento in più rispetto alla volta precedente e il nove percento in più rispetto ai centodiciannove risultati ottenuti dagli altri agenti e tirocinanti.

Devo fare più pratica, pensò uscendo e dirigendosi verso lo spogliatoio. Prima di cambiarsi, prese il cellulare dallo zaino e vide un messaggio di Ellington.

La mamma ha appena chiamato. Arriverà un po’ in anticipo. Mi dispiace...

Mackenzie sospirò profondamente. Quel giorno, lei ed Ellington avevano in programma di andare a vedere una possibile sala per il ricevimento, e avevano deciso di invitare la madre di lui. Mackenzie l’avrebbe incontrata per la prima volta e si sentiva di nuovo una ragazzina del liceo che sperava di passare l’esame di una madre protettiva e amorevole.

Divertente, pensò Mackenzie. Eccezionalmente abile con la pistola, nervi d’acciaio... ma ho ancora paura di incontrare la mia futura suocera.

Tutte quelle questioni di vita casalinga iniziavano a darle sui nervi. Ciononostante, mentre si cambiava, avvertì un moto d’eccitazione. Stavano per vedere la sala che aveva scelto lei. Poi, fra sei settimane, si sarebbero sposati. Iniziava a sentirsi emozionata. Con un sorriso stampato in viso, si avviò verso casa.

***

A quanto pareva, Ellington era nervoso almeno quanto Mackenzie per quell’incontro. Entrando in casa, lo trovò in cucina che camminava avanti e indietro. Non sembrava esattamente preoccupato, ma i suoi movimenti tradivano una certa tensione nervosa.

“Sembri spaventato” commentò Mackenzie, accomodandosi su uno sgabello.

“Mi è appena venuto in mente che oggi sono due settimane esatte da quando le pratiche del mio divorzio sono state chiuse. Tu, io e praticamente ogni altro essere razionale sa che queste cose vanno per le lunghe per via della burocrazia. Ma mia madre... ti assicuro che non si farà sfuggire l’occasione di farmelo notare nel momento meno opportuno.”

“Sai, in teoria dovresti farmi venire voglia di incontrarla, non farmela passare” disse Mackenzie.

“Lo so. Di solito è una persona adorabile, ma a volte... insomma, quando vuole sa essere una stronza.”

Mackenzie si alzò e andò ad abbracciarlo. “È suo diritto in quanto donna. Ce l’abbiamo tutte, sai.”

“Certo che lo so” replicò lui con un sorrisino, quindi le diede un bacio sulle labbra. “Allora... ti senti pronta?”

“Vediamo: ho preso assassini, fatto inseguimenti al cardiopalma, guardato nella canna di innumerevoli pistole... No, direi che non sono pronta. Sono terrorizzata.”

“Allora saremo terrorizzati insieme.”

Uscirono dall’appartamento tranquillamente, come ormai facevano da quando erano andati a convivere. Mackenzie aveva già l’impressione di essere sposata con Ellington. Sapeva tutto di lui. Si era abituata al suo leggero russare e persino alla sua predilezione per la musica glam metal anni ’80. Inoltre, adorava le spruzzate di grigio che Ellington iniziava a mostrare sulle tempie.

Insieme avevano passato l’inferno; i casi più difficili Mackenzie li aveva affrontati con lui al suo fianco. Ecco perché era certa che fossero più che pronti per il matrimonio e tutto quello che comportava, suocera lunatica inclusa.

“Devo proprio chiedertelo” disse Mackenzie entrando in auto. “Ti senti più leggero adesso che il divorzio è chiuso e ti sei tolto quel peso dalle spalle?”

“Assolutamente. Era un macigno, direi.”

“Forse avremmo dovuto invitare la tua ex moglie al matrimonio? Credo che tua madre lo avrebbe apprezzato.”

“Giuro che un giorno riderò alle tue battute. Davvero.”

“Lo spero bene” ribatté Mackenzie. “Sarà una convivenza noiosa se non imparerai a riconoscere il mio genio comico.”

Ellington allungò la mano per stringere quella di Mackenzie e le sorrise raggiante, come se fossero una coppia che si era appena innamorata. Poi mise in moto e si avviarono verso quello che Mackenzie era quasi sicura sarebbe stato il luogo in cui si sarebbero sposati. Entrambi erano talmente al settimo cielo che gli sembrava quasi di vedere il loro futuro oltre il parabrezza, luminoso e brillante.

CAPITOLO DUE

Quinn Tuck aveva un semplice sogno: vendere il contenuto di alcuni di quei magazzini a qualche stupido, come quelli che vedeva nel reality Affari al Buio. Quello che faceva gli fruttava guadagni niente male: ogni mese portava a casa quasi seimila dollari al mese per i depositi che gestiva. E, da quando aveva estinto il mutuo sulla sua casa l’anno prima, era riuscito a risparmiare quel tanto che bastava per portare sua moglie a Parigi – cosa di cui lei non aveva mai smesso di parlare da quando avevano iniziato a uscire insieme venticinque anni prima.

A dirla tutta, gli sarebbe piaciuto vendere tutta la casa e traslocare altrove. Magari in Wyoming, uno stato che non interessava a molti, ma che era al tempo stesso molto bello e anche economico. Sua moglie però non ci sarebbe mai voluta andare, anche se sarebbe stata ben felice se lui avesse lasciato il giro d’affari dei magazzini.

Innanzitutto, i clienti erano quasi tutti dei coglioni snob. Del resto, erano persone che avevano così tanti oggetti da non sapere dove metterli e dover prendere in affitto dello spazio extra. In secondo luogo, sua moglie non avrebbe certo sentito la mancanza di tutti quegli affittuari pignoli che lo disturbavano di sabato per le cose più stupide. Quella mattina a telefonargli era stata un’anziana donna che aveva in affitto due unità, sostenendo di aver avvertito un odore disgustoso provenire dal magazzino di fianco al suo.

Solitamente, Quinn avrebbe detto che sarebbe andato a controllare, per poi invece non fare niente. Ma quella era una situazione complicata. Due anni prima aveva ricevuto una lamentela simile; aveva aspettato tre giorni prima di andare a controllare, per poi scoprire che un procione era riuscito a intrufolarsi in uno dei box senza più uscire. Quando Quinn l’aveva trovato, era gonfio e morto da almeno una settimana.

Ecco perché, quel sabato mattina, si era recato al deposito dove si trovavano i magazzini, invece di restarsene a letto a cercare di convincere la moglie a fare sesso con lui con la promessa di quel viaggio a Parigi.

Quinn scese dal suo camion e si avviò tra i magazzini. Ogni blocco conteneva sei unità, tutte delle stesse dimensioni. Raggiunto il terzo blocco, si accorse che la signora non aveva affatto esagerato. Percepiva già un lezzo terribile, a due box di distanza. Tirò fuori il mazzo di chiavi e cercò fino a trovare quella del numero 35.

Giunto alla porta, aveva quasi paura di aprirla. La puzza era davvero tremenda. Cominciò a chiedersi se qualcuno ci avesse accidentalmente chiuso dentro il proprio cane, e nessuno l’avesse sentito abbaiare. Quell’immagine spazzò via dalla sua mente ogni residuo pensiero sui suoi programmi con la moglie.

Con una smorfia di disgusto per il fetore, Quinn inserì la chiave nella serratura dell’unità 35. Una volta udito lo scatto, Quinn la tolse e sollevò la saracinesca.

La puzza lo investì con tale violenza da farlo arretrare di qualche passo, minacciando di farlo vomitare. Quinn si coprì bocca e naso con una mano, quindi fece un passo in avanti.

Ma non ne fece altri. Riusciva a vedere l’origine del fetore anche restando fuori dal container.

C’era un cadavere per terra. Era vicino alla porta, a pochi passi dagli oggetti ammassati sul retro: scatoloni, armadietti, cassette del latte piene di oggetti di ogni genere.

Il corpo apparteneva ad una ragazza che sembrava poco più che ventenne. Quinn non vedeva ferite evidenti su di lei, ma era sdraiata in una pozza di sangue, ormai secco sul pavimento di cemento.

La ragazza era pallida come un lenzuolo e gli occhi erano spalancati e immobili. Per un istante, Quinn ebbe l’impressione che lo stesse fissando.

Quinn sentì un grido risalirgli la gola. Allontanandosi prima di perdere il controllo, prese il cellulare dalla tasca e compose il 911. Non era nemmeno sicuro che fosse il numero giusto da chiamare per una situazione del genere, ma era l’unico che gli era venuto in mente.

Quando l’operatore rispose, Quinn stava cercando di voltarsi dall’altra parte, ma era come se non riuscisse a distogliere lo sguardo da quella scena raccapricciante; così rimase con gli occhi fissi in quelli della ragazza morta.

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